Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

La ragazza delle stelle
La ragazza delle stelle
La ragazza delle stelle
Ebook316 pages4 hours

La ragazza delle stelle

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Il racconto di una storia, in chiave autobiografica, che vedrà il protagonista passare da quei primi, strani momenti di un primo amore mai dimenticato a un percorso di crescita professionale e umano che lo porterà a scontrarsi, inevitabilmente, con la prima vera grande storia d'amore della sua vita. Cavalcando il tempo che scorre, in una storia all'apparenza perfetta, fino a quando la vita, o chi per essa, gli chiederà il tributo più pesante e doloroso. E poi quei mesi in cui tutto non avrà più un senso e in cui ognuno di noi, almeno una volta nella propria esistenza, cerca di trovare un motivo per non lasciarsi andare, provando a rinascere ancora. E scoprire che per quanto si possa aver ritrovato se stessi, o cambiato la propria natura più segreta, quell'amore così perfetto sarà rimasto lì, solo alla nostra vista: in un eterno ricordo che ogni volta ci farà innamorare di nuovo e ci torturerà ancora un po'.
LanguageItaliano
Release dateFeb 3, 2016
ISBN9788898980673
La ragazza delle stelle

Related to La ragazza delle stelle

Related ebooks

Performing Arts For You

View More

Related articles

Reviews for La ragazza delle stelle

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    La ragazza delle stelle - Umberto Canosci

    INTRODUZIONE

    Sarà il quinto libro che provo a scrivere su questa mia storia, di sicuro insuccesso, e già mentre batto le prime parole ho persino il dubbio di terminare la prima pagina d’introduzione.

    Spero solo che la colonna sonora che ho scelto per accompagnarmi in questa mia nuova avventura editoriale sia in grado di concedermi l’ispirazione e scrivere almeno la metà del mio primo scritto, che, per una serie di sfortunate coincidenze, non ha mai visto la luce.

    Per certi aspetti è meglio così.

    Non è il primo libro che provo a scrivere a onor del vero.

    Onestamente per me scrivere è una passione, ma generalmente è sempre una pioggia di righe di tanto in tanto sforzandomi di mettere nero su bianco cosa mi passa per la testa in quel preciso momento.

    Ho capito che fare un libro, seppur piccolo come quello che vi state apprestando a leggere, è molto più complicato e difficoltoso di quanto si possa immaginare: si tratta di cavalcare l’onda dell’ispirazione e creare una storia sufficientemente valida. Questa capacità non è così scontata come scrivere due righe di un’idea o un pensiero che ti fulmina la testa in particolari momenti.

    Così per anni ho provato a scrivere libri di tutti i tipi: romanzi storici sui pirati, saggi di filosofia (sicuramente da quattro soldi), raccolte di poesie. Ma nessuno di questi progetti riusciva a catturare l’ispirazione quanto bastava per proseguire oltre i primi timidi capitoli.

    Improvvisamente però mi è accaduta una cosa ed è da lì che nasce questo libro: ho capito che non c’era bisogno che mi inventassi delle storie o giocassi a fare il professore.

    Potevo finalmente guardare poco indietro alla mia vita e trovare qualcosa di mio di cui scrivere: soprattutto dopo che mi è accaduta una cosa che scoprirete leggendo.

    Finalmente c’era l’ispirazione giusta.

    Quello che andrete a leggere, qualora abbiate il tempo e la voglia di perdervi in righe assolutamente non di autore, sicuramente sgrammaticate e piene di non sense, sono il frutto di continui momenti d’ispirazione: scritti in qualsiasi attimo del giorno la stessa mi abbia preso.

    Mi sono trovato ad aprire il PC e battere quattro righe poco dopo pranzo come, il più delle volte, nelle ore più profonde della notte. Magari

    in quei tanti momenti in cui l’unica cosa che riuscivo a fare era rigirarmi in continuazione nel letto senza riuscire a chiudere occhio. Al punto che preso dalla disperazione, con gli occhi che dopo pochi minuti si ribellavano e iniziavano a incrociarsi sullo schermo, l’unico modo per riuscire a dormire era quello di scrivere e scrivere ancora.

    Mi è stato consigliato di affidarmi a una terza persona con il compito di correttore: mi sono rifiutato in quanto credo fermamente che un terzo che avesse corretto le mie righe, avrebbe snaturato il concetto stesso per cui questo libro esiste. Avrebbe tolto ed eliminato quella spontaneità propria di un bisogno, una necessità, di scrivere per sentirmi meglio e vorrei che quel senso di naturalezza sia conservato il più possibile: correndo il rischio che in alcuni punti la lettura possa essere difficoltosa e vi sia il bisogno di rileggere più volte la stessa frase per afferrarne bene il senso.

    Abbiate pazienza anche degli eventuali errori, o mostri, grammaticali che potreste trovare nel corso della lettura: ho voluto e dovuto correggerlo da solo, e nonostante l’abbia letto quasi fino a impararlo a memoria sono certo che qualcosa mi sia sfuggito.

    Un sentito grazie va perciò alla tastiera del mio PC retro illuminata: senza la quale probabilmente, giunto a questo punto, sarei diventato cieco da un pezzo e dal canto vostro avreste fatto ancora più fatica a carpire il senso della storia.

    Questo scritto voglio affrontarlo perciò come una sorta di sfogo: un tentativo personale di trovare un equilibrio, penso soprattutto e soltanto mentale, che ormai da un anno fatico anche solo ad avvicinare.

    Combinandone quasi di tutti i colori. Vivendo situazioni personalmente pesanti, affrontando momenti bui e altri più luminosi, cercando di scavalcare ostacoli, convincendomi di esserci riuscito e accorgermi poco dopo che in realtà l’ostacolo è rimasto lì davanti a me.

    Tutte queste avventure, queste vicissitudini, questi pensieri hanno un comune denominatore: una persona che mi ha preso il cuore e l’ha fatto a pezzettini, che mi ha rubato l’anima e non mi ha lasciato indicazioni su dove poterla ritrovare.

    E si sa: il mondo è un posto parecchio grande per girarlo tutto, e se alzando gli occhi al cielo, ti rendi conto di quante stelle brillano e di quanto siamo piccoli in confronto a loro, sei quasi tentato di mollare tutto e lasciarti morire così, senz’anima.

    Senz’altra motivazione, ma con un freddo vuoto che riempia le tue giornate.

    L’amore... l’amore.

    Molti ne parlano, ne cantano: alcuni arrivano pure a fare violenze o guerre in suo nome.

    Altri semplicemente non ci fanno nemmeno più caso, come se avere a fianco una persona sia una cosa normale: dovuta.

    Rimane, però, un problema bello grosso dato che fino a che non lo provi lo desideri con tutto te stesso cercandolo disperatamente: nemmeno fosse aria da respirare.

    Quando invece l’hai provato e non l’hai più, o lo eviti o lo rinneghi: pentendoti di aver avuto la possibilità di provarlo, maledicendo quel giorno in cui la vita ha deciso di darti l’occasione di bruciarti il cuore di passione e riempirti la vita con lo sguardo di una persona.

    Fare l’amore, quei due corpi che si muovono in una danza perfetta.

    Guardarsi, perdendosi sempre senza ragione apparente, negli occhi dell’altro: convinti che sarà così per sempre.

    E poi le lunghissime telefonate in attesa di potersi rivedere con quei giorni che scorrono lenti, inesorabili e la paura di non riuscire a riabbracciarsi per colpa del lavoro.

    Le ho vissute tutte.

    Fino all’ultimo.

    Dal primo sorriso imbarazzato, all’ultimo vaffanculo che probabilmente era la chiusura perfetta di un cerchio dove i due estremi alla fine coincidono.

    Tre anni e mezzo.

    Lunghi, belli e maledetti.

    Anni di rinunce fatte con il cuore inseguendo il sogno di una vita insieme, mesi di speranze vissute con l’anima piena di gioie e dolori, giorni di discussioni e d’amore sincero.

    Esplosi in un attimo.

    Chiudendo quella che è stata più di una storia d’amore, nel miglior modo che forse questa meritava.

    Qualcuno dei due disse poi che eravamo stati come un fulmine in piena estate: bellissimo, inaspettato, violento, intenso, troppo breve perché avesse un futuro.

    Ma che ha lasciato un segno profondo... in almeno uno dei due.

    E con questo tempo che passa inizio seriamente a temere che, dei due, quello che sia stato colpito di più dall’evolversi degli eventi sia stato io.

    Questo libro vuol provare a descrivere questi tre anni e mezzo e il successivo dalla rottura di questa storia: a dire il vero questo racconto inizia molti mesi prima di conoscerci, poco dopo il mio arruolamento nelle forze armate.

    In ogni caso è la mia storia.

    Una sicuramente di tante che riempiono questo mondo, ma sicuramente unica. Perché ogni persona è unica e le sue storie appartengono soltanto alla sua vita.

    Non abbiatene se la considererete vuota, semplice, scontata, ma giuro: non la scrivo per fare soldi o per inseguire fama e successo.

    La butto giù solo per terapia, nella speranza che una volta finita sarà iniziata a sorgere l’alba nella mia vita e che finalmente dopo una lunga notte i raggi di un nuovo Sole Nero illuminino il mio cammino ovunque il destino voglia che vada.

    Se invece apprezzerete ciò che avrò scritto, fate vostra questa mia storia, custoditela, portatela nel cuore e non fate i miei errori, i suoi errori: i nostri fottutissimi errori.

    Perché come molti di voi hanno già sentito dire o l’hanno già provato: l’importanza delle cose che riempiono la nostra vita si capisce solo quando queste non ci sono più.

    Troverete quindi di seguito un pezzo della mia vita: un frammento molto importante, vista l’età che avevo e il mestiere che ho scelto.

    Per protezione della sua privacy la chiamerò Lady: nome comunque per me molto importante e per molti aspetti legato strettamente a lei.

    Il perché lo scoprirete nel corso della lettura: ed è più banale di quanto voi possiate già immaginare.

    Anche i nomi delle persone a lei più vicine non saranno detti e alcuni dei dettagli più intimi che la riguardano eviterò di scriverne: perché qui hanno il diritto di esserci soltanto i miei pensieri, come pure le situazioni, che hanno coinvolto me e lei, cercando di salvaguardare il più possibile quella che è la sua vita privata.

    Cercherò di essere il più possibile fedele e oggettivo nel racconto e se qualora, in qualche punto, qualcosa possa sembrarvi assurdo, vi assicuro che è successo ciò che narro: purtroppo l’unico testimone non potrà sottoscrivere e, se lo vorrà fare, probabilmente negherà l’accaduto.

    Magari qualche punto non sarà proprio preciso, ma giacché scrivo dal primo giorno in cui questa storia è iniziata sono passati quattro anni e più: permettetemi che in qualche punto la memoria non sia proprio precisa.

    Soprattutto troverete le mie emozioni, i miei pensieri: tutto quello che nel corso della storia che narro mi è passato per la testa. Che fossero congetture, paure o gioie troveranno spazio nel seguirsi degli eventi.

    Da parte mia però scrivo con il cuore, con quell’amore che, seppur molto diverso rispetto a quello che all’inizio mi legò a quella persona, è rimasto immutato e delle due è andato a fortificarsi nella mia anima: a quel punto valuterete voi.

    Che poi più sincero dell’amore cosa c’è? Sopratutto di un amore che, mentre scrivo, non potrà avere un futuro da nessuna delle due parti.

    Da un amore così forte che come ha portato due persone a esserne una sola ora crea un abisso incolmabile.

    Di un amore che spinge uno dei due a doverne parlare, almeno scrivere, per cercare la pace: per non lasciare morire così una storia unica, che potrebbe benissimo essere il pezzo di un film, senza la necessità di avere alcun guadagno da queste parole, ma solo dare voce a quei due ragazzi innamorati e a chi, scrivendone, ne invidia la spensieratezza, il coraggio di aver lottato per il loro amore contro tutti e contro un mondo che alla fine è riuscito a dividerli per sempre.

    Ci tengo a ringraziare un po’ di persone: familiari e amici fidati che hanno saputo sopportarmi in questi mesi, starmi vicino a modo loro e cercare di aiutarmi nel curare questa profonda ferita.

    Chi portandomi ad affogare di tanto in tanto le mie tristezze in svariate bevute, chi facendomi scoprire il piacere dimenticato di una sana vita mondana, chi semplicemente ascoltandomi silenziosamente: insomma ognuno di loro in un modo unico e particolare.

    Un pensiero va in primis alla mia famiglia, ferita forse quasi quanto me dal modo in cui questa storia si è conclusa: avendola accolta a braccia aperte e avendole dato quell’ascolto in cui, di tanto in tanto, anche lei amava perdersi.

    Grazie Mà, Pà e Vitto.

    Poi ai miei pirati, e qui i nomi sono d’obbligo: Marco, Diego, Gae, Enrico, miei cari compagni di scorribande e gravità indescrivibili, ma sempre al pezzo nel non abbandonare mai l’unità di un gruppo di amici sinceri e legatissimi.

    A Giuly, Alessia e Anna che hanno saputo consigliarmi o magari nel silenzio ascoltare con pazienza la mia storia e alla fine comprendere quel dolore che cercavo di nascondere dietro un’esuberanza sospetta.

    Alla mia nippon Ines e ad Alessandro: l’una con le sue foto e incitamenti nell’avere lo zio più tosto del mondo e l’altro in splendide pedalate in giro per la Valtiberina, oppure per i momenti persi in semplici risate sincere.

    Un pensiero lo voglio rivolgere pure alla ragazza di mio fratello: che duramente mi ha sferzato, senza appoggiare le mie debolezze, convincendomi che dopotutto era necessario che tutto questo avvenisse.

    Grazie Gonny!

    Sicuramente altre persone da ringraziare per la loro vicinanza in ogni momento, anche con una semplice telefonata per chiedere come stessi, sono indubbiamente il buon Andrea, sua sorella Elisa e la Giulia: anche loro sempre pronti in qualsiasi ora del giorno e della notte a fornirmi un importante supporto umano, amici preziosi a cui non rinuncerò mai.

    Grazie a Fabrizio. Amico di vecchia data in quel di Livorno, con cui ho condiviso lunghi viaggi fino a casa ogni venerdì, che per me è stato sempre un fratello maggiore nel consigliarmi cosa fare e quando lo fare: sia nei momenti migliori sia in quelli peggiori.

    Un grazie anche a tutte quelle persone che nel corso di questo tempo da solo ho iniziato a conoscere e con cui ho avuto modo di passare piacevoli momenti insieme tra qualche bevuta o chiacchiera da bar.

    Vorrei dedicare, infine, un grazie anche ad alcuni miei colleghi di lavoro, che mi hanno spronato a cogliere l’occasione di quella grande sofferenza per creare un nuovo me stesso, a mettermi in gioco nello sport come nella vita professionale: Alessandro, Davide, Daniele, Michele, Dino Luca... la lista sarebbe molto più lunga. Uno su tutti, Vittorio: tra l’altro l’unica persona a conoscenza del libro mentre ancora lo sto scrivendo.

    Probabilmente, se non avessi avuto a fianco queste persone speciali, sarebbe andato tutto molto diversamente e sicuramente l’avrebbe fatto in peggio.

    Non basterebbe una vita per ripagarvi di questa vicinanza e della vostra preziosa amicizia: spero però che queste righe riescano a regalarvi un giusto tributo, assolutamente fondamentale, per tutti quei momenti passati insieme nel periodo, in questo momento, peggiore della mia vita.

    In ogni capitolo inserirò un pezzo di testo di qualche canzone che per me in quel momento ha significato qualcosa: che ero solito ascoltare fino alla nausea.

    E la musica ha un ruolo fondamentale in questa storia, ma anche questo lo capirete lungo il corso della lettura.

    Del resto ho sempre creduto che a ogni momento della nostra vita corrisponda una colonna sonora: come se vivendo, qualche melodia accompagnasse il nostro cammino lungo particolari situazioni, e che quei suoni ti entrino dentro per non uscirne più.

    Adesso però bando alle ciance, come si dice da me, e inizio il mio racconto.

    E ancora una volta il mio pensiero va a te, che mi hai rapito il cuore, fatto tuo e, dopo avermi fatto vedere l’immensità delle stelle, mi hai lasciato nel vuoto dell’universo.

    Non ti perdonerò mai, ma purtroppo o per fortuna quando ti dicevo, per sempre tuo lo ammettevo con il cuore: e così è.

    Ti lascio con la lettera da cui poi ho preso spunto per iniziare a scrivere il libro: quella famosa lettera che promisi ti avrei scritto e che tu hai ammesso di sperare di trovare ogni volta che tornavi a casa i primi mesi dopo che tutto era finito.

    Ciao,

    C’è voluto più di un anno.

    C’è voluto crederci ogni volta che aprivo il programma e cercavo di mettere in ordine le cose nella mia testa.

    C’è voluto di morire dentro ogni volta che scrivevo: soprattutto dei nostri primi momenti insieme.

    C’è voluto il coraggio di accettare tutto quello che nella mia vita stava cambiando e assecondare il cambiamento cercando di prendere il meglio.

    C’è voluta una moto e perderla, c’è voluto rialzarsi sano e aver visto la signora vestita di nero di fronte a me per dirle: No! Ancora no!

    C’è voluto cercare di superare ogni limite che avevo davanti al punto di farmi anche del male: sfidare le tenebre che sono nate in me e non essere una loro vittima ma un loro figlio.

    C’è voluto di rischiare di cadere quasi in depressione, sentire l’avvicinarsi degli attacchi di panico e riuscire a batterli sempre: c’è voluto di arrivare a un passo dalla follia.

    Ma alla fine ho portato a termine anche questa prova, perché nella sofferenza riesco a tirare fuori ancora più coraggio e determinazione.

    Sono diventato ciò che volevo diventare: e non mi basta, ho ancora fame di vivere e prendere a schiaffi la vita, fino a quel giorno in cui sarà lei a picchiarmi così forte da riuscire a stendermi al tappeto e non farmi rialzare più.

    Ho pianto da riempire oceani: ma sempre lacrime di rabbia, mai di tristezza.

    Ora ho scritto un libro, ma senza fare paragoni con nessuno: perché ora, che non siamo più una cosa sola, non ho da stupirti, non ti devo fare sentire importante o mia.

    Ma in questi mesi che ho passato da solo, ho finalmente capito che posso aver perso te, ma quello che quei due ragazzi hanno vissuto meritava di vivere per sempre.

    Che ciò che eri non doveva perdersi solo nei miei ricordi e morire soffocata da chi ora ha preso il suo posto: perché eri la creatura più bella che abbia mai visto.

    E se diventerà leggenda potranno dire che io fui l’orso che riuscì a conquistare una stella.

    CAPITOLO 1

    Punto di non ritorno

    Ormai Era quasi un anno che ero partito volontario nell’Esercito.

    Un anno intenso che avevo passato a Verona, tra RAV (Reggimento Addestramento Volontari) e reparto.

    Ero molto diverso da quando ero partito, benché già segnato da precedenti esperienze militari, siccome ex allievo della scuola navale militare F. Morosini. Luogo dove avevo già speso parte della mia adolescenza nella rigidità di un istituto di formazione e quel senso di rivincita che mi aveva spinto, anni prima, a partire di nuovo lontano da casa era quasi un lontano ricordo non del tutto dimenticato.

    Era però cresciuta in me la ferrea convinzione della strada che volevo seguire nella mia vita: ero deciso a diventare un fiero paracadutista della Folgore.

    E così con il tempo che passava e il concorso VFP4 ormai vinto, mi apprestavo ad aspettare la notifica del passaggio di status e del successivo trasferimento presso il Centro Addestramento Paracadutismo in Pisa.

    Mi ricordo però di quel cuore che faceva male quando pensavo a una persona: il mio primo grande amore.

    Una ragazza, J, con cui ero stato in pratica un mese soltanto: una storia pudica, da adolescenti.

    Solo tanti baci e una gran voglia di vedersi e stare insieme un pomeriggio a settimana: il nostro sabato.

    Il primo ti amo, i miei primi tocchi imbarazzati, lo scoprire un mondo nuovo e delle sensazioni mai provate prima, ma per tanto tempo cercate.

    E poi all’improvviso, come le prime storielle adolescenziali, finì così com’era iniziato.

    Del resto la mia vita mi è sempre sembrata un film.

    Da quel giorno, passarono settimane di tristezza e lacrime fino all’arrivo di quella lettera che, finalmente, mi portava a impegnare le mie giornate tra marce, addestramento e orari scanditi.

    Avevo solo il tempo, la sera prima di dormire, di ascoltare una qualche canzone, immaginarla, farmi scappare un sorriso e crollare di sonno.

    Tanto mi bastava per riprendermi da una ferita che all’epoca sembrava insuperabile.

    Poi con il passare del tempo quell’immagine divenne sempre più sfocata, confusa: dai tratti incerti e dubbiosi.

    Mi ricordavo solo il colore degli occhi, quelli sì, e dei capelli.

    Rimaneva però la sensazione incredibile che mi aveva lasciato dentro quel mese.

    Breve, ma per me intenso e pieno di emozioni al punto che dissi sempre, e sono pronto ad ammetterlo ancora, che non conta il tempo che passi con una persona, bensì come lo vivi e la qualità dello stesso.

    Perché con certe persone ci ho passato anche giorni interi per anni, ma dentro di me a ricordarle non mi succede niente: non provo nulla se non un semplice prendere atto che ci ho passato un tot di tempo insieme a far casino o due chiacchiere.

    E così con questo pensiero in testa, finì il mio iter addestrativo e fui mandato a reparto: dove avrei passato, come minimo, i successivi mesi della mia ferma annuale e, qualora avessi ricevuto l’eventuale rafferma, altri dodici mesi.

    Non era un granché: tanta fatica, sempre a guidare i Ducati in mezzo a Verona e zone limitrofe.

    Di tanto in tanto qualche picchetto per qualche ricorrenza e le relative prove divisa e pacchetti d’ordini che spezzavano la routine.

    Una notte al mese ero di servizio notturno a far veglia davanti ad un monitor dell’impianto a circuito chiuso o attaccato a un interruttore di qualche ingresso e poi via a riposo il giorno dopo.

    Altra adunata, altro fine settimana, altre disposizioni.

    Alla fine fare il militare è routine come qualsiasi altro lavoro: scordatevi la guerra, l’azione o l’addestramento intenso in molti reparti dell’esercito. Questo anche a causa dei fondi sempre più carenti a causa della crisi che, nel 2009, iniziava a corrodere le già esigue finanze delle forze armate.

    Ma la mia mente volava e non si fermava mai: andava oltre quel portone, oltre Verona, e sognava quel basco amaranto, i Leoni della Folgore, il rombo del C130 (che poi sarebbe diventato molto familiare) e lo spirito guerriero leggendario che da sempre la collettività militare e civile fa vivere nell’immaginario della figura del paracadutista.

    E così lentamente e con costanza mentre il tempo passava, cercavo di incanalare quelle sensazioni di fierezza per il percorso che avevo scelto per la mia vita e quelle di quel fantastico mese, in un calderone di energia da cui attingere nei momenti incerti.

    Ero pure arrivato ad un passo per mollare tutto e tornare a casa, essendo troppo idealista per accettare un sistema in cui predominava la forma dell’individuo piuttosto che la sostanza dello stesso.

    Ma poi ripensavo a quella ragazza, ai sacrifici che avevo fatto e a quel basco sempre più vicino.

    E resistevo, non mollavo.

    Riprendevo le forze, mi riappropriavo dei miei sogni e tiravo dritto a testa bassa tra scherni e persone che mi consigliavano di lasciar stare.

    Non è vita per te - Vedrai, poi rimpiangerai la vita che stai facendo ora.

    A nulla sarebbe servito anche vedere il mondo che girava al contrario a farmi cambiare idea per quanto ero determinato.

    E così dopo un anno dalla fine di quel mese, con un inverno che tutt’altro che timidamente bussava alla porta, mi recai fuori in un pub veronese a innaffiare il gargarozzo con dei colleghi ormai prossimi al congedo.

    Non sarebbe stata una notte come un’altra, ma non potevo certo saperlo in quel momento: immerso com’ero tra risate e fiumi di birra.

    Con l’alcool che scorreva e la lucidità che andava per la maggiore, presi il coraggio su due piedi e assaltai una bella donna che era lì nel locale. In pochi minuti, grazie probabilmente a un alcolico slancio, riuscì a crearci una piacevole conversazione.

    Ad anni di distanza credo che anche lei fosse abbastanza disinibita e così, chiacchiera dopo chiacchiera, mi ritrovai nel suo appartamento.

    I miei colleghi dissero che me ne andai via con lei prima ancora che loro decidessero di tornare in caserma: io

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1