A tradimento
By Lidia Tusa
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About this ebook
Nell’immediato dopoguerra, nel cuore di una Sicilia ancora legata alla terra e dominata dal patriarcato, un inconfessabile segreto familiare ostacola il fidanzamento di due giovani innamorati. Non è tuttavia di timidi amori contrastati che si nutre il racconto. La passione, pericolosa, estrema e furente irromperà sulla scena, alterando il prevedibile e banale corso degli eventi, imprimendo una svolta inattesa anche alla narrazione, che vira dagli iniziali toni agresti di stampo quasi verista ad una moderna contemplazione della follia umana, in grado di stravolgere i destini che incrocia.
A tradimento ha ricevuto la menzione speciale della giuria al Premio Nazionale di Letteratura rurale “Parole di terra”, II edizione, 2015, per “l’efficacia del ritmo e l’originale ambientazione narrativa”.
Lidia Tusa vive in Sicilia e produce olio di oliva biologico in provincia di Catania.
Questo è il suo primo romanzo. L'autrice devolverà la metà del guadagno derivante dalla vendita di questo libro all'associazione SOS Mediterranee (sosmediterranee.org), impegnata con la nave Aquarius nel primo soccorso in mare dei migranti.
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Book preview
A tradimento - Lidia Tusa
Lidia Tusa
A tradimento
2016 © Lidia Tusa (lidiatusa@gmail.com)
Qualsiasi riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale
In copertina: elaborazione grafica di Cinzia Terruzzi
UUID: f568f19c-eaa5-11e5-9f4d-0f7870795abd
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write (http://write.streetlib.com)
un prodotto di Simplicissimus Book Farm
A Zeno, mio padre
Questo mar di vita infìdo
ha per vento sol la sorte
E se amiche ha un dì le stelle
ha nell’altro le procelle.
E per porto ha poi la morte.
La fede nei tradimenti
Musica di Attilio Ariosti
Libretto di Girolamo Gigli
Berlino 1701
Prologo
Sicilia, 1945
La terra disseminata di buche, crolli e miseria ovunque. Lutti e violenze appena trascorsi. Famiglie devastate dal dolore. Figli partiti per la guerra e mai più tornati, o tornati con la morte negli occhi.
Denaro inutile, perché non c’è più nulla da comprare e il necessario spesso si ottiene col baratto.
Ma la vita lentamente riprende. Si coltiva di nuovo la terra. Si ricostruisce. Si studia. Si lavora.
Le ragazze trovano il modo per farsi belle: un nastro, i capelli arricciati col ferro caldo. Chi ha un grammofono improvvisa piccole riunioni per festeggiare fratelli e cugini tornati dal fronte. Pochi dolci di mandorla, granite di limone, strisce di stoffa colorata a mo’ di festoni.
I giovani non osano avvicinarsi alle ragazze, che li guardano di sottecchi. Si cerca di non attirare l’attenzione delle madri, delle zie e delle nonne che sorvegliano attentamente, bisbigliando fra loro, intessendo oscure trame nuziali. Solo con il loro consenso i giovani rivolgono la parola alle cugine e alle loro amiche. Sono frasi di circostanza, formali. Il tu
è riservato a chi si conosce dall’infanzia. Ciononostante, nascono simpatie, passioni.
Si è lieti di essere vivi e che la strada continui; il domani appare già migliore dell’oggi.
All’impossibilità di frequentarsi liberamente si rimedia con gli sguardi; alle parole con biglietti furtivi, consegnati grazie alla complicità di famigli compiacenti. Conquistato l’affetto, bisogna ottenere anche la benevolenza degli adulti, di chi ha ancora il potere di decidere della sorte di quei primi amori nati sulle ceneri della guerra.
Nulla è più come prima e dunque i vecchi si aggrappano alle tradizioni.
Una giovane di buona famiglia va tutelata, circondata da una rete che la tenga lontana da approcci indesiderati. Non si può certo segregarla, ma dev’essere tenuta d’occhio e affidata esclusivamente a chi offra garanzie di serietà. Può studiare, ma in collegio dalle monache. Può ricevere lezioni di musica, se vuole, ma solo da anziani maestri. Andrà in chiesa la domenica, ma con i suoi. Presenzierà ad incontri sociali e conviviali, rivolgendo la parola solo a chi è gradito alla famiglia. Non uscirà di casa se non accompagnata e mai oltre le prime ore del pomeriggio.
A nessuno è dato sapere cosa provi, cosa pensi, cosa si aspetti dalla vita. E lei stessa non prova, non pensa e nulla si aspetta dalla vita, se non ciò che ha imparato da chi l’ha allevata.
Intorno a lei prende forma la nostra storia.
I. Nina e Zeno
Hanno attraversato la guerra indenni, sono fuggiti nottetempo dalle bombe, imparando a distinguere i soldati stranieri dalle divise e dagli elmetti.
Lei, Nina, aveva compiuto da poco diciott’anni; suo cugino Zeno ne aveva un paio in più.
I loro padri erano fratelli. Essere cugini di primo grado non era di per sé un ostacolo, ma il padre di lui non vedeva di buon occhio quest’amore nascente.
Non una parola era stata detta sull’argomento: Iano, il padre di Zeno parlava poco, non era con le parole che otteneva ciò che voleva. Bastava lo sguardo, un cenno del capo o un monosillabo che non ammetteva repliche. I suoi parchi discorsi erano sempre giudizi senz’appello e manifestazioni di una volontà che non era ammissibile contraddire.
Zeno aveva capito, dunque, che Iano era contrario e questo era un problema per il giovane figlio, abituato a non contrastare mai la volontà paterna.
L’opposizione del padre nasceva da un motivo inconfessabile.
Se padre e figlio fossero vissuti in un’altra epoca, in cui i sentimenti irrompono con parole dette ad alta voce, forse si sarebbero rivolti frasi sgradevoli. Forse avrebbero litigato violentemente, offendendosi e negando l’affetto che li legava. Forse il figlio sarebbe andato via di casa sbattendo la porta.
Ma non era tempo, quello, in cui certe cose potevano essere dette apertamente. Un figlio rispettoso e prono alla volontà paterna non avrebbe osato neanche pensarle certe parole.
– Lo so perché non vuoi che io e Nina ci fidanziamo… dillo, se hai coraggio! Noi… noi ti diamo fastidio perché… lo sanno tutti… che tu e sua zia Elvira… Che credi, che non lo so? Tutti lo sanno! Anche la mamma lo sa!
Nella mente di Zeno un pensiero del genere non avrebbe potuto trovare né voce né forma; il ragazzo preferiva ignorare quello che tanti sapevano e ripetevano sottovoce.
Nina, dal canto suo, tenuta nella bambagia com’era, sconosceva del tutto la vera natura dei rapporti fra zia Elvira, sorella della madre e zio Iano, fratello del padre. Non era stupida e aveva percepito la stranezza di certe situazioni. Aveva timidamente provato a chiederne spiegazioni, ma ne aveva ricevuto risposte elusive, che le avevano solo rafforzato la convinzione che qualcosa non andasse come doveva.
Perché, ad esempio, lo zio Iano veniva a trovarli sempre da solo, senza portare con sé la moglie e i figli più piccoli? Solo Zeno lo accompagnava, a volte. Forse perché il cugino quando si trovava col padre alla fattoria non poteva essere lasciato a casa come un impiegato qualunque?
Quando lo zio Iano veniva da solo era affabile e loquace, si intratteneva con la madre e la zia, anche quando il padre di Nina era assente. A volte scherzava con loro e sorrideva spesso.
Quando portava Zeno con sé, il suo comportamento era completamente differente: salutava distrattamente le donne di casa e se il padre di Nina era fuori andava subito a cercarlo, non trattenendosi oltre con loro. Se, invece, lo trovava in casa, rivolgeva la parola quasi esclusivamente a lui, senza indugiare in chiacchiere e quasi senza guardarle in faccia.
E perché poi sua madre e zia Elvira, dimostravano tanto rispetto e considerazione verso lo zio Iano e, allo stesso tempo, ostentavano disprezzo e insofferenza verso sua moglie, la zia Melina?
Cosa poteva aver mai fatto di tanto grave quella piccola donna, che passava tutto il suo tempo chiusa in casa ad allevare i figli? Perché la madre e zia Elvira non perdevano occasione per criticarla sempre in tutto, anche in