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Storie d'Autore
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Storie d'Autore

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Un compendio di 10 racconti stringati in cui i protagonisti non sono eroi, forse non troveranno mai spazio sui media o nei testi di storia, ma spesso vittime anonime, emarginati da un destino beffardo, che se li avvinghia fra le mille contraddizioni sociali dei tempi moderni. Dall’emigrante al poliziotto, da chi non ha nulla da perdere a chi pretende giustizia, tutti vanno incontro al proprio destino in cerca di un futuro migliore e più giusto, dalla freddezza individuale al carattere solitario, dalla maestosa bontà di un pontefice, alle tristi storie meridionali sempre troppo amare, all’immancabile sfruttamento, alle sofferte storie d’amore delle giovani coppie.
LanguageItaliano
Release dateMar 15, 2016
ISBN9788892571129
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    Storie d'Autore - Salvatore Ferrara

    ferrara.sal@libero.it

    Prefazione

    A volte sono proprio i piccoli eventi ad incidere sulla nostra mente, molto più che le rivoluzioni e i cambiamenti radicali; nelle piccole vicende, insignificanti ai più, la gente umile e noi comuni mortali, qualche volta possiamo più facilmente riscontrarci come coraggiosi interpreti del nostro stesso destino.

    Molti nei nostri protagonisti non sono eroi, non troveranno mai spazio sui media o nei testi di storia, sono spesso vittime anonime, emarginati da un destino beffardo, che se li avvinghia fra le mille contraddizioni sociali. Dall’emigrante che, sapendo di non aver nulla da perdere, và incontro al proprio destino in cerca di un futuro, alla presunzione che mai aiuta, dalla freddezza individuale di un carattere solitario, alla maestosa bontà di un pontefice; dalle triste storie di un meridione sempre troppo arretrato perchè sfruttato, alle sofferte storie d’amore delle giovani coppie.

    Alcune sono state estrapolate da notizie brevi del tempo, riportate dai bollettini dell’epoca, per quelle realmente accadute si è cercato per quanto possibile di romanzarle senza stravolgerne i contenuti, rispettando il contesto storico-sociale e culturale ove si sono verificate. Per tutte comunque si è voluto sempre di mantenere una corrispondenza realistica con il periodo storico e una rappresentazione fedele e precisa alle circostanze originarie. Sovente a fare da corollario agli eventi un unico e ricorrente tema comune, con le sue mostruose assurdità e il carico di dolore e di ferite mai rimarginate del tutto, che si trascina dietro: la guerra.

    Un ultimo tributo doveroso è da riconoscere a tutti coloro che non ebbero mai giustizia o non potranno ormai più averne, a coloro che hanno dato irrimediabilmente ma non per colpa loro, tutto, spesso la loro stessa vita. Per coloro verso cui si è scagliata senza lasciargli via di scampo, non il destino, ma la cattiveria dei propri simili, per i vinti che hanno sempre agito nel giusto o facendo del bene senza ottenerne la dovuta riconoscenza; per coloro le cui idee sono rimaste incomprese o mai accettate, per quelli di cui nessuno ha mai scritto perché troppo ignoti o impotenti, per tutti questi uomini scriviamo e a loro vogliamo dedicare questa pubblicazione.

    Di alcune storie l’autore ne sta sviluppando ulteriori varianti, ampliati nei dettagli e nelle vicende, che saranno inserite nelle prossime versioni del testo.

    S. Ferrara

    Nuvola solitaria

    C’è una nuvola solitaria nel cielo, sopra il paese di Sant’Ilario, una nuvola bianca rimasta ancorata al cielo, è piacente e non sembra voler portare quella pioggia tanto attesa da queste parti, visto il torrido clima, come fosse un miraggio. Dicono si sia fermata lì da tanto tempo, imperterrita, neanche il vento riesce a spostarla, come se si rifiutasse di seguire le altre, quasi a voler contrastare il normale corso degli eventi, a voler fermare la storia, la storia in un piccolo borgo.

    Sicilia occidentale, fine anni ’60.

    Quando gli eventi non si riescono a spiegare con la razionalità o con l’apporto della scienza, ecco intervenire la leggenda metropolitana, con il suo carico simbolico di miti e tradizioni, quando non addirittura di fantasie, originate dalla cultura popolare, a fornire delle spiegazioni non sempre convincenti.

    La storia che ci accingiamo a raccontare, può, a prima vista, sembrare in alcuni sui aspetti caratterizzanti, insignificante ai più o commovente per altri, non è una di quelle storielle piacevoli da ascoltare, quelle che si raccontano nelle afose serate estive, trascorse fra le chiacchiere con le comari, sull’uscio dei portoni, o con le vicine di casa. E’ una storia con un triste epilogo, che lascia un terribile ed incolmabile vuoto e che il tempo non riuscirà mai a cancellare. Se è vero che la felicità è l’obiettivo principale della nostra vita, a Sant’Ilario, qualcuno la sta ancora aspettando. Comunque sia, è una storia realmente accaduta.

    La vicenda è una storia d’amore fra due ragazzi coetanei, che abitavano nello stesso paese ma non nello stesso quartiere, diciamo in due contrade diverse del paesino che proprio in quegli anni, come tanti altri del resto, conosceva uno straordinario quanto irregolare boom urbanistico, fatto di nuove costruzioni, sviluppo abitativo disordinato e espansione abnorme sulla pianura antistante. Non essendo regolato da una legislazione efficace, il paese, che tanto piccolo poi non è, si sviluppò caoticamente solo nell’antistante zona pianeggiante, staccandosi praticamente e isolando quello che era stato storicamente, la parte vecchia del borgo antico, e diventando una piccola città.

    Lui è uno brillante giovane, studente liceale del vicino capoluogo, distante una buona mezz’ora di corriera , tutti lo chiamavano Dino, abbreviazione di Leonardo, studente modello, di buona famiglia, dotato di talento, abile e sveglio, fisico regolare, una carnagione scura, occhi penetranti e capelli neri, come tanti da queste parti. Si era già fatto notare e non solo nel mondo scolastico, uno di quei figli che la Sicilia prima si lascia scappare e poi li rimpiange, perchè né ha un bisogno disperato. E’ quel fenomeno che i sociologi chiamano emigrazione intellettuale presente oggi più che mai. Insomma era chiaro che quel ragazzo avrebbe fatto strada.

    Di lei sappiamo poco, si chiamava Caterina, una ragazza estremamente seria, cresciuta proprio in una piccola e modesta casa nel borgo antico del paese, era molto attaccata alle tradizioni, semplice e modesta nei modi. Dopo la scuola dell’obbligo, voleva continuare a studiare, ma avrebbe dovuto viaggiare e essendo una donna, i genitori, pensarono che non era il caso di mandarla in giro, mettendo così fine alla sua carriera scolastica, senza porsi troppi problemi. Erano sempre stati poveri, ma di quella povertà che non gli pesava, erano onesti lavoratori, in un’altra epoca li avrebbero chiamati contadini del regno, tiravano avanti, con quello che avevano e non si lamentavano mai.

    Caterina non aveva pretese, non nutriva ambizioni né aspirazioni, era uscita solo poche volte dal paese, una sola volta fuori dall’isola in occasione di una partecipazione ad un matrimonio, occasionalmente qualche volta nel vicino capoluogo di provincia, per sbrigare qualche pratica amministrativa alla famiglia; fra l’altro non sembra gli sia piaciuto molto:

    Troppo caotica, e poi non si arriva mai – sosteneva.

    Caterina, non si preoccupa, sta bene lì, in fondo non gli manca niente e poi in quel borgo vi è nata e cresciuta, si trova a suo agio, ha l’affetto di vicini e parenti, è conosciuta e salutata da tutti e questo gli da sicurezza. Cresce, è una bella ragazza, fisicamente formosa, capelli lunghi, riservata e disinvolta. Tutto quello che chiedeva alla vita è un’esistenza dignitosa, come le era stato inculcato dalla severa educazione, la realizzazione dell’essere donna, accanto al suo uomo che un giorno verrà a prenderla per portarla via, come nelle fiabe che da bambina gli raccontavano. Sbaglieremmo però se la considerassimo un’ingenua.

    Vive in quel quartiere vecchio, arroccato sul crinale di una ripida collina, con le strade troppo strette e ripide per le moderne autovetture, che proprio in quegli anni di tumultuoso sviluppo economico, in molti lentamente cominciano ad utilizzare. I Residenti, viceversa cominciano ad abbandonarlo per sistemarsi nei nuovi e più accoglienti appartamenti realizzati sulla piana. Dall’altra parte del paese compaiono i negozi, i primi supermarket con le grandi vetrine addobbate e le insegne sempre illuminate, anche la notte, con una traduzione in un più comprensibile supermercato alimentare.

    I due si conoscono una sera, una coincidenza fortuita, le solite battute, scherzi fra compagni di scuola, comitive alle prese con giochi in piazza e le sagre di quartiere.

    Poche parole ed è subito passione travolgente, soprattutto da parte di lei, ma le restrizioni culturali d’allora non permettono il potersi liberamente frequentarsi o stare insieme. Appartarsi poi era considerato inconcepibile, impensabile agli occhi della gente.

    Qualora fossero stati visti si sarebbero dovuti giustificare, e avrebbero dovuto essere molto convincenti; la gente vede, ha orecchie dappertutto, parla, ai pettegoli nulla sfugge, inevitabilmente i genitori lo avrebbero saputo. Niente da fare, nessun incontro in pubblico. Un’eventuale relazione porterebbe irrimediabilmente a una richiesta di fidanzamento forzato e una scelta obbligata. Simili comportamenti possono sembrare illogici oggi, ma allora erano la norma. Il meridione di allora, fine anni ’60, è molto diverso dall’odierno, e molti comportamenti vanno visti con gli occhi di quel tempo, paesini isolati, scarse e limitate le comunicazioni, pressoché inesistenti gli scambi culturali, i collegamenti, quando esistenti, pochi e lenti. Tardavano ad arrivare anche la radio, i telefoni e le prime Tv.

    I due riescono a vedersi di nascosto un paio di volte, non avevano ancora moto o macchine per appartarsi, un’altra epoca, forse si scambiarono qualche lettera o bigliettino d’amore, allora erano molto in voga, non sappiamo di preciso; l’attrazione era ricambiata, ne erano certi entrambi, per loro andava bene così, pensavano al meglio, erano giovanissimi, e soprattutto ...se son rose fioriranno. A volte quando non riusciva a vederla per tanto tempo, Dino, era costretto a chiedere in prestito una vespa 50 special e salire su per il vecchio borgo, dove la vedeva nel cortile o nei pressi della sua abitazione o nel balcone, alle prese con le faccende domestiche.

    E’ naturale, l’adolescenza è un po’come la primavera, appena arriva è tutto uno sbocciare di bellissimi fiori, ma fra i tanti c’è ne era uno ancora più bello degli altri, che sembrava non voler mai appassire. Di incontri invece poco, saluti sussurrati e sinceri, qualche bacio, piccoli colloqui, un’infinità di profondi sguardi, di quegli sguardi che penetrano perforandola qualunque coscienza, che sembrano parlare, e voler dire tanto. Diceva Freud, dietro uno sguardo c’è sempre qualcosa, ed era certamente vero, c’era tanto almeno allora, lo sapeva Dino che pur non avendolo studiato lo aveva capito, e lo sapeva lei che capiva benissimo e non si faceva domande. Un sorriso, uno sguardo fisso dentro gli occhi, un attimo di felicità e poi il senso di smarrimento e di sconforto, subito dopo, quando uno dei due si dileguava o si allontanava. Così il tempo passa ma nulla cambia, tutto resta immutato.

    Dino è sempre più spazientito per quella relazione che sembra non portare da nessuna parte, e poi non accetta minimamente tutte quelle tradizioni che giudica ... tanto stupide quanto inutili , vere e proprie limitazioni e vincoli sociali. Poi un giorno l’aspetta, e un po’di tempo che vuole fermarla, ma non ci riesce, una sera quasi bruscamente la incontra mentre torna a casa, è sola e gli dice: – Ti devo parlare Quì! Sei matto, ci vedono! Allora dove? Seguimi, senza farti notare Raggiunta una viuzza secondaria Dino, comincia, con aria molto imbarazzata, a parlare: – Devo partire! Vado a Milano, per ... l’università Gli occhi di Caterina si inumidirono, e quasi ingenuamente: – Starai via molto ? Non lo sò, un paio d’anni almeno, ma verrò spesso, vedrai ... . – Quando tornerai ... io sarò quì ad aspettarti Ma ti rendi conto, ..passeranno anni.. Non importa, io aspetterò! disse Caterina

    Questo è un po’ il riassunto succinto della conversazione di quella sera, un saluto, la fine di quei pochi incontri; l’incontro era più che altro un addio, per quando Dino lo addolcì con le solite promesse di ritornare, di cercarla, di ritrovarsi. Le tipiche promesse che gli innamorati si scambiano al chiaro di luna, giurandosi amore eterno. Questa volta le promesse furono sincere, ma l’essenza era un addio tramutato in un arrivederci a presto, una lontananza definitiva in un’assenza temporanea. Era un addio ma Caterina non lo capì, o non volle accettare, giustificò la partenza, apprezzò la sincerità, e poi c’era il patto, l’accordo mai messo in discussione, non era scritto, ma neanche violato da ambedue le parti, sembrava tranquillizzarla l’idea, che prima o poi sarebbe tornato. La mancanza non tardò a farsi sentire subito dopo, i rapporti si interruppero e solo i ricordi, quelli, restarono con una buona dose di nostalgia per i bei tempi, quando bastava uscire per vedersi, anche tutti i giorni.

    Il ragazzo, nella grande metropoli lombarda, si trovò bene, completa gli studi in legge brillantemente, quasi immediatamente trova lavoro presso una delle tante piccole aziende, con buone prospettive di carriera e un futuro incoraggiante. Decide di sistemarsi in città, lasciando definitivamente il paese natio. Pensa spesso alla sua Caterina, le ultime volte non l’ha vista neanche, strano, forse anche lei se ne sarà andata, pensò fra sé e sé, del resto era una gran brava ragazza. Lei, invece ha il corredo già pronto, gli manca solo il cavaliere che la venga a prendere, le

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