Io Sogno Anche Di Giorno
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Io Sogno Anche Di Giorno - Cinzia Marini
16
CAPITOLO1
IL BUONGIORNO SI VEDE DAL MATTINO
La connessione adsl non è attiva. Maledizione, non è possibile, non si può lavorare in questo modo. La mia pazienza è oramai al limite. Mezz'ora di navigazione e patapunf, dopo neanche aver fatto in tempo ad accomodarti sulla poltrona di nuovo l'icona malefica segnala il malfunzionamento del servizio. Che palle! Telefonerò di nuovo al 187 e perderò un'altra mezz'ora tra le linee congestionate, la chiamata che cade puntualmente e i controlli che devono fare in remoto.
«Il pranzo è pronto!» sento urlare dalla cucina, è mia madre che mi dà il primo avvertimento, tra un minuto si affaccerà dalla porta e se tra massimo due non mi vedrà arrivare comincerà con le sue battute tipo: «È la prima e l'ultima volta che cucino per te! Se non vieni a mangiare subito domani troverai il piatto vuoto!»
Sorrido tra me, le sue minacce non attaccano, è da circa una decina d'anni che afferma di togliermi i viveri ma io so che non lo farebbe mai. Ah le madri! Se le persone del mondo si comportassero tutte come le mamme non ci sarebbero guerre, malvagità e odio.
«Forza cocca» eccola di nuovo, questa volta si avvicina con un tegame in mano. Che mi voglia dare una tegamata in testa? Ah no, lo mette nella credenza, che vado mai a pensare.
«Dai dai cocca, mi sembri un po' deperita...» e mentre lo dice mi monitora la guancia stringendo il mio muscolo facciale tra il pollice e l'indice. Il bello è che è pure convinta, lo vedo dai suoi occhi scrutatori. Deperita. Mi sembra brutto dirlo ma credo che mia madre stia diventando ipermetrope o quella cosa giù di lì che succede quando uno non ci vede più tanto bene da vicino. Non è che sia proprio grassa, ma ho sempre dovuto combattere con la pancetta e le maniglie sui fianchi, insomma tutti quei problemini che, a meno che tu non sia una super fortunata col fisico da modella, quasi tutte hanno. Potrei assomigliare un po' a Bridget Jones se non fosse che non sono alta come lei, né bionda, né con gli occhi azzurri. Dalla più tenera età ho sempre avuto un senso d'inferiorità verso gli altri, sarà perché ero la più piccolina, la più bruttina, la più timida e insicura, la meno brillante tra le ragazzine della mia età.
Per completare il quadro c'è anche da dire che il mio nome veniva storpiato volontariamente da quei ragazzini che mi davano il tormento solo per il gusto di veder star male una persona. Ora che sono grande e matura quando mi capita di sentire delle vicende di bullismo o maltrattamenti tra coetanei si accende come una spia nella mia testa e i ricordi affiorano, ancora un po' dolorosi. Ecco, adesso cercherò di deviare la mia mente verso altri pensieri più entusiasmanti anche se, per dire la verità, non è che abbia niente di cui rallegrarmi particolarmente. Sopravvivo se così si può dire. Un lavoro che non mi piace, dei colleghi che non sopporto, una vita sentimentale da buttare nel cassonetto, poche amicizie e soprattutto una certa dose di insicurezza e inadeguatezza nei confronti degli altri, sempre più belli, più alla moda, più dinamici, più intelligenti.
«Azzurra!» ecco mia madre di nuovo all'attacco.
«Vengo, vengo mà» dico io «che hai preparato di buono?»
«Forse lo era» ribatte la mamma un po' imbronciata «ma un quarto d'ora fa, quando le ho tolte dal fuoco».
Ah ecco, fettuccine al ragù, le ho viste da sopra la sua spalla, sono perfette per il mio girovita ma oggi farò un'eccezione, al limite rinuncerò alla mia dose quotidiana di dolce dopo pranzo. Avevo anche cominciato una dieta qualche tempo fa ma non ce l'ho proprio fatta, dopo un paio di giorni l'astinenza da carboidrati e soprattutto zuccheri ha iniziato a dare i suoi effetti: intrattabilità, irritabilità e soprattutto mal di testa. A completare il quadro c'è la mia assuefazione al caffè che non può assolutamente mancare. E pensare che da quando ero ventenne il mio cuore ha cominciato a fare qualche capriccetto e ad accelerare sempre più finché un bel giorno sono caduta a terra come un sacco di patate.
«Una piccola percentuale di stress e una buona componente ansiosa» disse il cardiologo dal quale mi portarono mamma e papà preoccupatissimi.
«Io consiglierei un blando tranquillante, e una terapia psicologica potrebbe essere di supporto».
Quelle parole gettarono nel panico i miei genitori che forse associavano la figura dello psicologo a quella di un esorcista. Devo dirlo con un po' di rammarico, ma mamma e papà sono stati sempre all'antica e su certi aspetti della vita anche un po' fuori dal mondo. Andai avanti così per parecchio tempo, dopo di che iniziai un ciclo di sedute che mi aiutarono a capire quali fossero i punti deboli della mia personalità.
Squilla il cellulare.
«Dev'essere Matilda. Ti ha cercato un'oretta fa quando eri sotto la doccia» si ricorda improvvisamente mia madre.
Ma bene, è la mia capufficio e non l'ho neppure richiamata. Chissà che cosa vorrà? Ogni volta che mi chiama sento una certa agitazione alla bocca dello stomaco. In genere c'è sempre qualcosa che non va o che poteva essere fatto meglio. Io sono l'ultima assunta in un'azienda composta quasi esclusivamente da uomini, la cui occupazione principale è parlare di avventure, sesso, tette e sederi e quando ne hanno l'occasione spuntano mille battutine per metterti in imbarazzo poiché non ho un ragazzo e presumono nemmeno una misera vita sessuale. A complicare le cose si aggiunge il pessimo rapporto con una mia collega, Gisella, che sembra avere un'antipatia congenita verso di me e trova ogni occasione per mettermi in cattiva luce.
È dura essere arrivati alla soglia dei trent'anni e non aver raggiunto obiettivi importanti né dal punto di vista professionale né da quello sentimentale.
«Azzurra, sono Matilda» mi riporta alla realtà la voce brusca della mia superiore.
«Dobbiamo parlare di una cosa importante domani mattina. Appena arrivi vieni nel mio ufficio».
Ho il cuore in gola. «Certo Matilda» rispondo con noncuranza, «mi vuoi anticipare qualcosa?»
«Oh sì, certo. Abbiamo deciso che lavorerai fianco a fianco con Gisella».
Silenzio. Il mio cuore deve aver perso un battito. La voce di Matilda mi sembra lontana anni luce. Dice qualcosa a proposito della scadenza di un contratto. Mi saluta. Chiudo la conversazione.
«Perfetto» penso. «La mia vita è rovinata».
È mattina. La luce del sole filtra attraverso le tendine colorate della mia camera. Cerco di mettere a fuoco l'ora sulla sveglia di fronte a me. Le sei, be' potrei dormire ancora un po', se non fosse che già il mio cervello si rifiuta di ritornare in quello stato di torpore in cui ricade piacevolmente prima di tuffarmi nella mia avventurosa giornata.
Oggi credo di non aver neanche bisogno della mia doppia dose mattutina di caffè: corto e ristretto il primo, allungato con latte il secondo, perché già il mio nervosismo è quasi al livello massimo di saturazione.
«Ok» dico a me stessa. «Nervi saldi. Tu sei la migliore là dentro. Ce la puoi fare». Ma chi sto prendendo in giro? Finirò al solito per logorarmi lo stomaco senza riuscire ad impormi nemmeno quando ne avrei tutte le ragioni perché so fare bene il mio lavoro e sono una persona rispettosa degli altri.
Se esistesse dovrei frequentare un corso su come diventare una perfetta stronza
... sarebbe l'unico modo per sopravvivere se non vuoi farti mettere i piedi in testa da tutti.
Oppure potrei comprare un dobermann, addestrarlo all'attacco con un pupazzo di pezza e una volta pronto, lanciarlo su chi so io per un bel morso alla giugulare. Mi metto in macchina e dopo dieci minuti mi ricordo che ho dimenticato le mie compresse al biancospino e camomilla sul tavolo della cucina. Maledizione, non posso tornare a prenderle ora, ci vorrebbe troppo tempo e sarei in ritardo pazzesco. Pazienza, se dovessi andare in iperventilazione chiameranno qualche operatore medico per aiutarmi, ma se io e la megera rimanessimo da sole in ufficio, sono sicura che quella mi farebbe morire e poi ballerebbe sopra il mio cadavere ringraziando il suo demone protettore perché è riuscita a farmi fuori.
Matilda mi aspetta nel suo ufficio. È una signora di mezza età con una stazza parecchio imponente, gli occhi grandi, scrutatori, e un paio di occhiali tondi che la fanno assomigliare a un gufo. Mi sorride da dietro le lenti spesse. Ricambio il sorriso, e nel frattempo rimugino tra me e me che anche se dovrò lavorare con Gisella non staremo mai a stretto contatto perché lei ha come sua assistente Luisa, quindi sicuramente la mia sarà solo una collaborazione marginale. Sì, è così, che sciocca, mai fasciarsi la testa prima di rompersela.
«Allora» inizia Matilda «come ti ho accennato ieri io e la Direzione abbiamo deciso che tu lavorerai con Gisella e ti trasferirai nel suo ufficio».
Rimango allibita. «Ma come?» rispondo «Lei si occupa dei contratti e io della fatturazione. Mi dici cosa c'entra?»
Cacchio, le ho pure dato del tu, cosa mai successa in due anni che sono qui dentro.
«Il fatto è che non possiamo più contare su Luisa, la mole di lavoro per Gisella è troppo grande, mentre qui per la contabilità possiamo farcela anche da soli ora che la nostra commercialista interna sta per rientrare dalla maternità».
«Capisco» rispondo io. «Mi dispiace per Luisa, ma cos'è successo? Ha preso un periodo di ferie? O non sta bene? In ogni caso quando dovrebbe rientrare?»
Tre domande di fila, neanche fossi la Gestapo. Ma ho bisogno di sapere e subito.
«Per la verità Luisa ha dato le dimissioni».
Rimango di stucco, forse la mia bocca è rimasta aperta per due minuti tanto è lo stupore. Ma come? Luisa è una delle impiegate con più anzianità qui dentro, una delle più apprezzate. E poi ha pure un buon stipendio (lo so per certo perché me lo ha detto lei). Cosa succede? Qui c' è qualcosa che non mi torna.
«Naturalmente tu farai in tutto e per tutto le sue veci» conferma serafica Matilda come se avesse intuito i miei pensieri.
Divento un po' rossa ma devo parlare, devo assolutamente dirle la verità anche se lei lo sa già.
«Ecco Matilda, per la verità non mi trovo bene con Gisella, più di una volta ci siamo scontrate su questioni marginali, figurati lavorare insieme a stretto contatto condividendo lo stesso lavoro».
Matilda ha lo sguardo del gatto che si è mangiato il topo.
«Purtroppo dovrai fare buon viso a cattivo gioco. Gisella è indispensabile nel suo ramo e nessuno poteva sostituirla eccetto Luisa». Fa una pausa e per un attimo non sembra trovare le parole. «Tu sei l'unica che potrebbe essere in grado di fare lo stesso».
Ah, ecco spiegato l'arcano: sono l'unica cogliona qua dentro che sopporterebbe di lavorare con quel drago sputafuoco, a parte Luisa, ma evidentemente anche lei non ha retto e se n'è andata. Ora mi vengono in mente quelle chiacchiere in sala mensa o durante la pausa caffè sul rapporto conflittuale tra le due donne.
CAPITOLO 2
LA PROFEZIA
La giornata passa abbastanza velocemente. Questa sera voglio proprio rilassarmi e non pensare a niente. Uscirò con Simona e Valentina, due delle mie più care amiche, anzi le uniche vere amiche che abbia avuto nella mia vita. Prima di tutto però, voglio dare un'occhiatina all'oroscopo, non si sa mai, dovesse avvisarmi che qualcosa di nuovo sta arrivando. Che ne so, una vincita eccezionale oppure l'amore della mia vita. Potrei con più probabilità riuscire a vincere il primo premio della lotteria e centrare tutti i numeri al superenalotto piuttosto che trovare la mia anima gemella. Devo dire la verità, quasi ci ho rinunciato. Le mie storie sono tutte brevi, è il solito cliché, quando mi interessa qualcuno lui non è dello stesso parere, se invece è il contrario sono io a non provare attrazione. Non mi piace l'uomo appiccicoso, ma neanche quello che ti tratta come lo zerbino di casa sua, eppure non so per quale scherzo del destino non riesco proprio a trovare la via di mezzo. Forse dovrei lasciarmi andare, come mi sprona sempre Simona, godermi di più la vita, che tradotto per lei vuol dire: se ti piace vacci a letto, almeno avrai qualcosa di bello da ricordare il giorno dopo. Oppure dovrei abbassare le mie pretese. Forse è quello il mio problema: non è che cerchi chissà chi o cosa ma una persona che mi faccia stare bene e sentire me stessa, senza bisogno di fingere qualcosa che non sono. La mia ultima relazione è durata appena due mesi. Ero convinta che fosse l'uomo adatto a me: tranquillo, un po' pantofolaio, amante della televisione e dei pomeriggi passati a guardare partire di calcio. Non è che abbia niente contro il calcio, sia chiaro, ma alla lunga ho iniziato a odiare le partite in tv. Così alla fine gli ho detto: «Scegli, o me o Sky».
Ha scelto Sky. Be', non ho perso nulla. Mi sono convinta con il passare del tempo che preferisco la solitudine a un rapporto che non mi soddisfa al cento per cento. Va be', lo so, ognuno ha il suo carattere, i suoi difetti, le sue peculiarità, e non mi spiego come certe persone così diverse tra loro possano convivere insieme. Forse dovrei prenderla meno seriamente ed essere più paziente, più accondiscendente, più autoironica quando qualcuno mi fa notare i miei difetti. Ma non sonocosì, sono suscettibile di carattere, lo sono sempre stata e la mia regola è: non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te. Per cui non vedo perché debba essere sempre io (scusate la volgarità ma quando ci vuole ci vuole) a prendermela nel culo. Dopo gli enormi insuccessi riscossi nella vita sentimentale degli ultimi quindici anni, l'altra sera, nel pieno della notte ho deciso quale sarà il filo conduttore della mia