A.R.C.A. vol.5 - Il patto di Lucifer
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A.R.C.A. vol.5 - Il patto di Lucifer - Matteo Marchisio
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IL PATTO DI LUCIFER
A.R.C.A vol.5
IL PATTO DI LUCIFER
di Matteo Marchisio
Sommario:
PROLOGO
SEI MESI PRIMA
ACCERCHIATI
URLA NELLA CENERE
SOLO
MATURITÀ
L’UOMO GIUSTO
LA VISTA DI TYRR
LA RICHIESTA DI UN UOMO IMPAZIENTE
RESTAURAZIONE
IL BUCINTORO
BESTIE NELLA ROCCIA
T45-E77
UN NOME PERICOLOSO
IL SIGNORE DELLE ONDE
PROVA DI FIDUCIA
IL SEGRETO DEGLI HAROK
CIBO FRESCO
IL CUORE DEL CONTE
LADY HAROK
SOTTO LA PIETRA
COME IN UN SOGNO
IL RISVEGLIO DEL DHAGOT
SENZA CONTROLLO
LA RAGIONE DEL DUBBIO
PEREGRINI
QUEL CHE RESTA DEI NAMIR
ADUNATA
SENTIERI DI GUERRA
COMPLETO
VINCOLI DI FAMIGLIA
LA FURIA DEI PROBI
MISSIONE COMPIUTA
MALFUNZIONAMENTO
IL PATTO DI LUCIFER
FINALMENTE A CASA
PROLOGO
Sullivan batté un pugno contro il vetro.
Maledizione! Pixel, mi dici che diavolo succede laggiù?
Grazie alle antenne della mia controparte sto captando una variazione nello stato entropico della materia nella zona abitata della Luna di Akis. Se i valori continueranno ad aumentare, potrebbe crearsi una singolarità a partire dalla struttura a tempio a ridosso delle montagne intorno alla cittadella.
Sullivan non capì completamente ciò che l’amico virtuale gli aveva appena riferito ma, nonostante la sua conoscenza della fisica quantistica fosse limitata, il ciclone che si stava creando in un punto della superficie azzurrina della Luna di Akis lo spaventava molto.
Gli ultimi dati ricevuti dalla Kar-21, ammiraglia Namir, avevano accresciuto questa sensazione. L’imponente flotta Mokter e Namir appostata dietro il suo fidato Parsifal manteneva saldamente il centro del campo di battaglia tenendosi a debita distanza dallo strano fenomeno che stava avvolgendo la Luna di Akis. Ai lati della loro formazione di vascelli da battaglia, i rimasugli dell’armata da guerra personale del Venerabile Tyrr continuava a combattere, sperando di poter riconquistare il terreno perso ed evitare l’accerchiamento della Luna di Akis.
Il comandante Nobel fissava il ciclone farsi sempre più ampio e furente.
Il Parsifal era l’unica nave della flotta in volo verso il pianetino, incurante di ciò a cui stava andando incontro.
Nonostante fossero a molte leghe spaziali dalla turbolenza in piena crescita, non potevano che tremare per ciò che rappresentava. A ciò si aggiungeva il fatto che ormai i piloti della Decima erano rimasti da soli e in condizioni sconosciute dopo l’esplosione della bomba gluinica.
Sullivan pretese altre informazioni da Pixel, aiutante virtuale ed ex pilota della Decima, che ripose con uno stillicidio di dati e calcoli.
Tutti nella plancia fissarono quel turbinio di nuvoloni neri, venati di tanto in tanto da nuance dorate e lampi azzurrini. Con il passare dei minuti si allungava sempre di più, afferrando la Luna di Akis, assumendo definitivamente la forma di un ciclone.
Un operatore della plancia disse che avevano una richiesta di comunicazione dall’ammiraglia Mokter.
Sullivan ripose alla comunicazione, avvicinandosi alla parete a cui era stato applicato una ampio schermo pieno di grafici. Tutte le icone colorate e schermate di scansioni, sparirono per lasciare spazio al volto di un uomo massiccio, dai lunghi capelli bianchi appiattiti all’indietro e lo sguardo penetrante.
Salve, Dakkar. State tutti bene?
, chiese Sullivan.
Nessuno dei loro poteva competere con i miei vascelli di classe Lava. La mia ammiraglia è stata colpita pesantemente ma è un nave potente, resisterà ancora per secoli. Vorrei sapere che cosa sta succedendo. Rileviamo qualcosa di strano avvolgere la Luna e dalla velocità con cui cresce non sembra amichevole. Avete notizie dei vostri?
No, purtroppo nulla dall’esplosione. Rileviamo variazione nel campo elettromagnetico nella zona abitativa
, iniziò il più giovane comandante del Parsifal.
L’operatore radio avvertì Sullivan di un’altra comunicazione in arrivo, marchiata come urgente. Si trattava dell’Autarca Namir in persona.
Il volto della giovane rappresentate del regno Namir prese forma accanto a quello di Dakkar ancora in linea, anch’essa visibilmente preoccupata per ciò che stava accadendo.
I capelli della ragazza erano leggermente scomposti, così come le guance appena rosate segno che era stremata dalla tensione della battaglia, in effetti era la prima vera operazione militare Namir da secoli.
Oramai la Luna di Akis era completamente avvolta dal ciclone, una mastodontica nube che assomigliava alle tempeste magnetiche visibili in lontananza dopo l’esplosione di una supernova.
Essendo tutti spazionauti esperti, temevano quel genere di eventi spaziali scegliendo sempre di evitarli.
Ma in quel momento ne avevano uno a poche migliaia di leghe spaziali e ne osservavano l’innaturale sviluppo ipertrofico. Tutto ciò era avvenuto in una manciata di minuti da quando era stato rilevato un cambiamento nei parametri gravitazionali della Luna di Akis, in seguito all’esplosione della bomba a dispersione gluinica.
Sullivan temeva che tutto ciò non fosse un effetto della deflagrazione di quel tipo di ordigno.
Sullivan, Nobel, eccovi! I nostri scanner hanno rilevano una caduta in picchiata dei valori gravitazionali, il pianeta potrebbe implodere da un momento all’altro! Inoltre la formazione nebulosa in pieno fermento sta assumendo la forma di una tempesta magnetica. Tornate nella formazione, dobbiamo allontanarci subito!
, disse la giovane Autarca.
Era la prima ragazza sotto i trent’anni a essersi guadagnata quella posizione.
Concordo pienamente con l’Autarca
, commentò Dakkar serio. Oramai la loro armata è in rotta, le nostre forze hanno circondato la Luna e la bomba ha annientato le gallerie. Tyrr non può andarsene. Possiamo bombardare dallo spazio le zone abitate.
Tornate indietro. Non avrebbe alcun senso logico rimanere nella vostra posizione
, supplicò l’Autarca.
Sullivan l’aveva conosciuta quando erano fuggiti dal Parsifal dopo il tradimento di Bose, ora governatore della Luna di Akis, all’epoca la ragazza era la migliore stratega Namir.
Sullivan si voltò verso Nobel che rispose al suo sguardo preoccupato scuotendo la testa.
Non possiamo, i nostri sono ancora laggiù. Si sta ancora combattendo nel tempio. Non possiamo abbandonare Frank e gli altri piloti
, fu la ragione del comandante del Parsifal.
Le comunicazioni si interruppero per un istante.
Gli schermi furono percorsi da increspature grigie e una sorta di aura tempestosa eruppe dal ciclone intorno alla Luna, espandendosi per alcune leghe, facendo diventare il pianetino un sfera appena visibile avvolta da nubi più nere dello spazio profondo, squarciate da lampi ed esplosioni di energia.
Ci risucchiano!
, urlò uno degli operatori.
Chiusero le comunicazioni in un attimo, facendo sparire il volto di Dakkar impietrito, e quello preoccupato dell’Autarca che li supplicava di rientrare.
Per un secondo Sullivan sorrise all’idea dell’Autarca scossa da sentimenti umani come la paura e l’incredulità.
Un potente cigolio percorse il Parsifal, che gemette come se fosse stato colpito da una forza mostruosa. Il sibilo dei propulsori che lottavano contro la potenza del risucchio crebbe, trasformandosi in un boato sordo.
Le luci principali si spensero e si attivarono quelle di emergenza.
Nobel, conoscendo ogni minimo suono che poteva produrre la sua nave, riconobbe i gemiti dello scafo al limite dello stress strutturale e si animò di colpo alzandosi, impartendo ordini precisi.
Dobbiamo abbandonare la nave!
Sullivan corse al vetro osservando come in lontananza fossero spariti alcuni incrociatori Mokter troppo danneggiati per ripiegare in fretta come avevano fatto le altre navi, in pieno allontanamento dalla battaglia sulla Luna.
I lampi ormai erano così vicini da rischiarare per qualche istante l’interno della fregata da caccia.
Pixel, contatta Frank usando ogni risorsa, voglio sapere se sono ancora vivi! Tutta la potenza al propulsore! Portaci lontano.
Le comunicazioni si sono interrotte, persino la mia controparte non è più raggiungibile. Inoltre non è possibile vincere la forza traente. Veniamo risucchiati con una velocità di dieci metri al secondo in accelerazione costante. Per la salvaguardia dell’equipaggio si consiglia una sbarco di emergenza sfruttando le scialuppe
, rispose Pixel da un altoparlante.
Sullivan non si perse d’animo correndo verso le sezioni inferiori per organizzare la fuga verso le capsule di emergenza.
Nobel si alzò in piedi muovendo lo sguardo intorno a sé, ricordando la sua nave nei momenti passati.
Udiva le paratie cigolare orrendamente come se cercassero di dirgli che erano al limite della sopportazione, e i motori lottare con tutta la loro potenza contro la forza che li risucchiava, trascinandoli con la leggerezza del vento che muove una foglia secca.
Gli altoparlanti sfrigolarono e qualche elaboratore esplose in una nuvoletta di scintille e fumo bluastro.
V… e… ni… teci a pren… dere...
Nobel si voltò di scatto, non essendo sicuro di quello che aveva appena udito tra gli screzi delle comunicazioni e i cigolii sempre più acuti.
Pixel, che cosa è stato?
Un frammento di comunicazione proveniente dalla Luna.
Nobel sbiancò, mentre nella sua mente si univano il messaggio appena ricevuto e l’immagine della tempesta che si allungava verso di loro come una piovra blasfema, crepitante di energia maligna allo stato puro. Dentro di lui fece capolino l’idea che da molto cercava di farsi strada tra i pensieri più positivi riguardo alla sua fine.
Sullivan rientrò trafelato in plancia, concentrato sullo spostamento dell’equipaggio nelle sezioni di emergenza e a predisporre l’abbandono nave.
Tutti pronti. È ora di abbandonare la nave, Nobel.
Non l’hai sentito, Sullivan?
Che cosa?
, rispose il giovane capitano del Parsifal sistemandosi la giacca della divisa e attivando alcuni interruttori da un pannello poco lontano.
Nella mente di Nobel saettò un pensiero, come un proiettile di diamante, che trapassò tutte le paure, speranze e sogni ammassati sull’orlo della sua coscienza, lasciando trapelare solo la verità.
Ormai gli restava una sola cosa da fare.
Niente, la singolarità aumenta a vista d’occhio. Dobbiamo andarcene al più presto. Da questa distanza, e con la spinta dei razzi, le capsule ce la faranno a raggiungere le altre navi della flotta. Le astronavi Mokter hanno potenza a sufficienza per allontanarsi, e lo stanno già facendo; se aspettiamo ancora saremo troppo lontani.
Concordo, Nobel. Ora via da qui!
Sullivan gli porse il braccio e lui incrociò il suo sguardo con quello del giovane amico, concentrato e speranzoso.
Scesero fino alla zona in cui erano allineate le capsule di salvataggio.
Pixel continuava a salmodiare una lista di danni che il suo Parsifal stava subendo, esortandoli ad abbandonare la nave.
Sullivan entrò nella capsula intuendo che il vecchio amico e comandante volesse essere l’ultimo ad abbandonare il vascello affidatogli decine di anni prima.
Nobel si voltò trovando gli sguardi degli uomini con cui aveva condiviso centinaia di avventure. Vide Zeta, il miglior esperto di robotica e meccanica di tutta la galassia, quello di molti operatori che erano sopravvissuti come lui a infinte battaglie e azioni. Poi posò il suo sguardo vecchio e stanco su Sullivan, il figlio che non aveva mai avuto.
Vide la sua maturità e capì che ormai era il suo momento.
Un comandante non abbandona mai la sua nave. È stato un onore servire con voi
, mormorò piano, guardando i compagni nelle capsule.
Tutti vennero percorsi da una scarica di adrenalina per quelle parole, sapendo inconsciamente che da lì a poco sarebbe accaduto qualcosa di terribile.
Pixel, esegui il file ImmaturaCanus1.1
Ricevuto. Esecuzione processo testamentario del comandante Nobel.
Gli sguardi spaventati dei presenti, fissi sulla sua figura leggermente incurvata appoggiata al bastone, non fecero in tempo a virare sul disperato.
Chiudere tutte le capsule e lanciarle. Ora!
I portelli si sbarrarono di colpo, prima che qualcuno dell’equipaggio riuscisse a sganciarsi dalla cinture di sicurezza.
Sullivan provò a raggiungere l’amico, urlando di non farlo, ma batté con violenza contro l’accesso della piccola capsula che si chiuse di scatto, percependo un dolore atroce al volto.
Cercando di pulirsi dal sangue che gli colava impetuoso dalle narici, strinse i denti per l’esplosione che sparò via le quattro capsule lontane, verso le navi della flotta.
Sullivan si lasciò pervadere dal dolore della perdita, pianse mentre gli altri marinai cercavano di fermare il sangue che gli sgorgava dal naso maciullato.
Questa volta, ammise tristemente dentro di sé, poteva essere davvero la fine per il comandante Nobel e il Parsifal.
Nobel rimase l’unico marinaio della sua fregata da caccia.
Pixel?
Agli ordini, comandante Nobel.
Entriamo nella tempesta, verso la Luna di Akis. Dia potenza e ci porti verso la squadra ARCA.
Ricevuto.
Tolga l’energia a tutti i sistemi non fondamentali, dirottandola ai motori e ai processori del sistema di guida: stiamo per entrare nella singolarità. Non dobbiamo perdere la rotta per nessun motivo. Punti alla vecchia entrata dei tunnel nella zona abitata principale.
Ricevuto.
Ancora una cosa.
Ordini pure, comandante Nobel.
Tutti i controlli fondamentali della nave alla consolle della mia poltrona in plancia e alla postazione di guida.
Fatto.
SEI MESI PRIMA
Sei mesi prima...
ACCERCHIATI
Morris guardò con il binocolo la piccola carovana.
Avanzava lenta nella neve, battuta dal vento gelido in quella mattinata luminosa.
Vicino a lui un Namir controllava la zona, manovrando una squadriglia di droni in alto nelle nuvole della ionosfera, uno dei pochi luoghi non pattugliati dai nemici.
Intorno erano state accatastate le ultime casse di equipaggiamento.
Molti Namir sopravvissuti al devastante attacco subito a Kuta-Hegyi erano fuggiti tra i ghiacci del proprio pianeta, trovando la morte nei crepacci gelidi e per mano dei laser delle sentinelle meccaniche Mokter, mentre squadre di mercenari della vecchia Armata Comune entravano in ogni città, battendo casa dopo casa, massacrando chiunque incontrassero.
Avevano subito l’ira dei Figli di Tlaloc, e, dopo tre giorni di rastrellamenti, pochi potevano sperare di raccontarlo ai nipoti.
Il gruppo continuava a camminare lento, scortato da due droni aerei marchiati come di proprietà della difesa perimetrale di uno dei villaggi alle pendici della montagna di Kuta-Hegyi.
Dal punto in cui si trovava Morris si potevano individuare slitte e androidi di servizio, carichi dei pochi beni che quel centinaio di Namir aveva potuto afferrare durante la fuga.
Morris tirò su con il naso, rabbrividendo. La sua giacca autoriscaldante non funzionava più così bene.
Se solo Boss fosse stato con noi
, pensò guardandosi intorno.
Ricordò l’ultima volta che l’aveva visto, buttandosi all’inseguimento di Lord Dakkar nel cuore della Vandea. Evitò che i ricordi del carissimo amico lo assalissero continuando a supervisionare l’avanzata.
Altri tecnici iniziarono a sistemare alcuni elaboratori portatili, mettendo online i pochi droni rimasti, disposti intorno alla piccola base nascosta. In basso i compagni stavano riposandosi dopo aver parcheggiato gli ARCA, anch’essi preoccupati non solo per la missione, ma per la loro stessa vita.
Ormai, tagliati fuori da ogni contatto con l’esterno avevano perso i compagni del Parsifal e del resto della flotta Namir partita durante l’attacco per fronteggiare nello spazio la squadra navale Mokter e mercenaria.
Qualcosa non va, capitano Morris
, disse il tecnico.
In che senso?
, rispose portando lo zoom del binocolo al massimo, ma non trovando nulla di strano nella carovana.
Sto cercando di inserirmi nel sistema di controllo dei due droni di difesa ai superstiti diretti verso di noi, ma non ci riesco.
E allora?
Secondo lei un gruppo di sopravvissuti tiene gli unici due droni di scorta in standby, impostandoli sul silenzio radio?
Giusto
, rifletté Morris studiando le lucine nella parte frontale delle macchine in lontananza.
Cerca di contattarli su tutte le frequenze.
Il vecchio Autarca fece il suo ingresso nella stanzina.
Molti lo salutarono educatamente, ma senza smettere di lavorare. L’anziano a capo di ciò che rimaneva della popolazione della più grande città di quell’emisfero era praticamente indistinguibile dalla massa dei sopravvissuti, anch’egli vestito con abiti di emergenza, con appesi lungo la cintura elaboratori e schermi trasparenti. Il suo volto magro dal pallore verdeggiante era scavato dall’insonnia, e le mani arrosate dalle ore di saldature elettriche.
C’è qualche problema?
, chiese avvicinandosi alla feritoia nel ghiaccio da cui Morris stava osservando i superstiti.
Forse, sembra ci sia qualcosa che non va con i droni di scorta
, rispose Morris concentrato.
"Altri sopravvissuti?
Così pare.
Quelle macchine sono contrassegnate con i simboli della riserva perimetrale. Nessuno di quei droni era stato attivato, gli avamposti minori sono stati messi fuori combattimento dai primi missili IEM. Non avevano uno schermo abbastanza potente.
Allora come li hanno rimessi in funzione, se sono scappati?
, chiese Morris.
Nessuno rispose, provando a cercare una soluzione a quell’enigma.
Mando uno dei miei a controllare
, concluse il comandante dell’unità ARCA.
L’Autarca mise una mano sul braccio di Morris.
No, aspetta, in questo luogo ci sono i pochi sopravvissuti. Nella Montagna c’erano dieci milioni di Namir. Qui siamo in seimila. Finché non riusciremo a contattare la nostra flotta e i vostri sul Parsifal voi piloti siete la nostra unica speranza. Nei corridoi della montagna avete abbattuto più nemici di tutti i nostri droni.
Morris rifletté su ciò che gli era stato detto. Annuì, poi si rimise a controllare.
Qualunque cosa gli dicessero, non concepiva il fatto di affidarsi solamente a robot. I Namir si erano rivelati ottime persone, coraggiosi e dotati di un’intelligenza sopraffina, ma troppo legati alla tecnologia. Lui, nonostante tutto preferiva un approccio più umano; o sentimentale, come dicevano i Namir per sminuire le reazioni umane.
L’Autarca ordinò che uno dei droni di sorveglianza al perimetro partisse verso il gruppo, a circa cinquecento metri dal loro bunker nascosto tra i blocchi di ghiaccio innevati.
Morris camminò preoccupato, andando vicino a uno dei tecnici in collegamento con i droni nella ionosfera.
Tutto bene qui?
Sì, anche se ora rileviamo un picco di onde elettromagnetiche al margine della nostra zona di controllo
, ripose il ragazzo ticchettando su una tastiera trasparente semicircolare.
Hawk si strinse nel mantello. Reprimendo i tremori buttò un'altra mattonella di gherigli di noci mandrakane nella stufetta. La tecnologia di sopravvivenza Namir poteva rendere quegli ambienti vivibili per gente abituata a climi artici, ma per lui e i suoi compagni, si trattava di sfiorare l’assideramento ogni volta che smettevano di muoversi.
Anche il cibo di sintesi sembrava avere sempre meno effetto su di loro, rendendoli spossati. Per tre giorni non avevano smesso di lavorare e combattere e quella piccola pausa sembrava il paradiso.
Prima l’attacco a sorpresa da parte di un gigantesco esercito di Mokter e mercenari provenienti dalla Luna di Akis, poi la fuga precipitosa nelle lande gelide, combattendo per giorni con i nervi a fior di pelle. Quell’ambiente così ostile li aveva spossati quasi più della battaglia.
Daboo assomigliava a una catasta di abiti e la sua pelle, ambrata tipica dei Kibarua delle foreste centrali, aveva assunto un colorito verdastro, tanto da rendere quasi invisibili i Damu che gli decoravano il viso e il corpo.
Hawk e Sword stavano riparando un sensore, passandosi una tazza di tè fumante.
Ux dormiva avvolto come una crisalide in una spessa tenda termica con cui normalmente coprivano gli ARCA.
Vede?
spiegò l’operatore a Morris. Di nuovo. Giurerei che qualcosa li abbia seguiti. Questi picchi sono tipici di macchine alimentate a carburante nucleare. Non riusciamo a capire di cosa si tratta perché sono troppo lontani, ma c’è di sicuro qualcosa che si muove oltre il campo d’azione dei nostri sensori.
Morris fissava il gruppo di superstiti battuto dai venti gelidi. Sembrava aver rallentato. Dovevano essere senza energie.
Il drone ha dato conferma dei sospetti?
, chiese.
Tre minuti al raggiungimento della carovana.
Maledizione!
, esclamò l’Autarca.
Tutti i presenti smisero ogni azione, raggiungendo lo schermo che il loro rappresentate supremo aveva appena installato contro una parete, collegandolo ai sensori della base.
Dal nulla erano spuntati tre hovercraft Mokter e stavano puntando sui Namir a piedi.
Perché i droni non aprono il fuoco?
, chiese l’Autarca.
Non so, Signore, sembra che le armi siano in avaria
, arrivò da uno degli operatori.
Vado io
, tagliò corto Morris.
Corse via, voltandosi per un secondo appena verso il volto attonito dell’Autarca. Morris sapeva che ormai si sentivano in trappola. La logica avrebbe voluto che non perdessero nessuna unità per un salvataggio in extremis, ma che umani erano se voltavano le spalle ai propri simili?
Lui e l’Autarca si erano già scontrati su questa posizione settimane prima, ma il pilota era riuscito a far breccia nei ragionamenti iperlogici dell’Autarca, ragion per cui poté uscire senza che nessuno lo fermasse.
Tenetemi aggiornato
, arrivò dalla sua radio personale in collegamento con quella sala crisi in via di allestimento, appena uscì dalla sala di controllo.
Morris irruppe di colpo nelle stanza, trovando gli amici intenti a non morire di freddo.
Una colonna di profughi è stata seguita fino qui da hovercraft nemici, li faranno a pezzi prima ancora che i loro giocattoli abbiano capito che devono difenderli!
, spiegò raccogliendo le giberne e il casco da pilota.
Ux sembrò ritornare dal regno dei morti alzandosi di colpo con il telo sopra la testa e sbiascicando a voce bassa: Vengo con te. Il mio ARCA è a posto
.
Un attimo dopo i due uscirono di corsa, puntando al modesto hangar prima del portone che li separava dall’esterno.
Daboo, Sword e Hawk si guardarono, incrociando gli sguardi preoccupati.
Poco dopo si sollevarono, dirigendosi lentamente anche loro all’hangar, il senso del dovere verso gli amici imponeva di tenersi pronti in caso avessero dovuto prestare loro supporto.
Morris attivò i booster che sibilarono per il freddo eccessivo.
Piano piano la temperatura dei sistemi di movimento aumentò e poterono prendere quota.
Qui Morris, in uscita.
Qui Ux, in uscita con Morris verso carovana alleata in arrivo.
I due ARCA rombarono oltre un piccolo accesso, risalendo un pozzo scavato nel permafrost.
L’interno della cabina si illuminò quando gli schermi panoramici trasmisero il lucore estremo dell’esterno. Davanti a loro si spalancava una landa immacolata. Lontano intravidero una macchiolina grigia e oltre, in un punto marcato di rosso sull’olomappa i tre hovercraft nemici in avvicinamento.
I droni di scorta non rispondono, devono esser fuori uso, fate il possibile!
, arrivò via radio dall’Autarca.
Le due armature robotizzate accelerarono il passo, lasciando dietro di sé una striscia di ioni rosa e vapore, volando rasenti alla neve farinosa.
Scollinarono da una duna candida, trovando la massa dei disperati in fuga sotto il colpi degli hovercraft Mokter.
Morris superò un uomo che si tramutò un attimo dopo in una