Tutto Vero!
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Tutto Vero! - Alessandro Romagnolo
Alessandro Romagnolo
Tutto vero!
A parte il titolo, Tutto vero! è un racconto d’invenzione. Ogni eventuale coincidenza con personaggi e situazioni reali è da considerarsi puramente casuale
Capitolo primo
31 dicembre 2005.
«A tutti capita di vivere la crisi dei quarant’anni, a chi prima a chi dopo. È come tornare a essere adolescenti e chi non vuole rendersene conto fatica a uscirne».
Anna si scosse dai suoi pensieri quando sentì la bionda davanti a sé pronunciare queste parole. Fino a quel momento la conversazione si era trascinata su argomenti banali, tipici di una festa di Capodanno tra amici, in mezzo alla solita confusione e alle continue interruzioni dei bambini che giocano, litigano, piangono e si sporcano.
Per la prima volta le sembrò di poter dare un volto al malessere che provava da qualche tempo, che la faceva sentire incompleta e frustrata a lavoro, che le smuoveva un senso di colpa nei confronti della famiglia perché non riusciva a dedicargli molto tempo, che la portava a percepirsi fuori posto quando era con i sui coetanei. In fondo si considerava molto più giovane di loro. Dentro di sé si sentiva appena uscita da un'intensa e sofferta adolescenza, più vicina ai suoi bambini che ai genitori che incontrava a scuola o alle feste dell’asilo. Conosceva abbastanza poco la biondina e, prima che il suo solito autocontrollo intervenisse, le sfuggì una domanda: «E come si può uscirne?».
«Be', ognuno deve trovare il modo da solo. Qualcuno però racconta di esserci riuscito provando a fare qualcosa che abbia stupito se stesso. Credo sia vero».
«Ma tu hai quarant'anni?» le chiese Anna incuriosita. La bionda le era sembrata molto più giovane.
«Non ancora, io sono del '70, ma Giampi ne ha quarantuno e secondo me è in piena crisi» concluse sorridendo e girandosi verso l'uomo alla sua sinistra che, avendo colto solo le ultime parole, si guardò intorno tra il divertito e il confuso.
Anna si soffermò su quei due e li riconobbe: erano la famosa coppia del loro storico giro di amici, prima del liceo e poi dell'università. Erano i belli
della comitiva, invidiati un po' da tutti. Lui lo era davvero. Aveva qualche anno più di loro e, come accade nei film, si era messo insieme alla ragazza più carina della scuola.
«Alle persone più mature può capitare di viverla persino in anticipo» continuò la bionda.
«Quindi raramente accade agli uomini» ammiccò la bruna alla sua sinistra, raccogliendo qualche mugugno di consenso.
«Dipende e, comunque, meglio prima che dopo. Più tardi accade e peggio sarà, meno consapevolezza si ha e più tempo si impiega a farsela passare».
«Ma scusa, come fai a saperlo?» chiese di nuovo Anna.
«Le mie colleghe e i miei colleghi sono quasi tutti sulla quarantina e non ce n'è uno che non sia separato o sia in procinto di farlo, che non sia in rotta di collisione con il capo o con i suoi compagni di lavoro, che non corra dietro a qualche ventenne. Dicono che la crisi dei quarant'anni sia passeggera, simile a quella che si prova nell'adolescenza. Un fatto ormonale, insomma. Si va alla ricerca di qualcosa di nuovo per esorcizzare la paura di invecchiare».
Anna rimase affascinata e, sorreggendosi il mento con il pugno continuò a fissare la ragazza bionda che, accortasene, le sorrise gentilmente e le disse, porgendole la mano: «Io sono Cecilia, ti ricordi di me, no? Tu sei Anna, vero?».
Anna tornò in sé e, arrossendo leggermente, rispose a quella stretta forte e calda: «Certo, sono Anna Guerzoni».
Pur ricambiando il sorriso, rimase lì impalata. Non si aspettava di essere riconosciuta da quella ragazza che le era sempre sembrata lontana mille miglia. Se l'era immaginata altera e distaccata, invece tutto di lei le piaceva: il suo modo di porsi, la voce forte e chiara, il sorriso.
Non si sarebbe mai aspettata di trovare proprio quella sera, in mezzo a una totale confusione, la prima spiegazione al suo stato d’inquietudine. Forse avrebbe dovuto rimandare la fuga. Quel biglietto lo avrebbe staccato un'altra volta.
Arrivò di corsa un bambino coi i capelli castani e leggermente lunghi, con la bocca sporca di cioccolato. Piagnucolava e chiamava la mamma.
«Vieni qui, Nicola, che cos'è successo?» gli chiese Anna e, senza badare alla risposta del piccolo si limitò a pulirgli il viso, rimettergli in sesto maglia e pantaloni e fargli una carezza.
Cecilia le chiese: «Quanto ha?».
«Cinque anni a giugno».
«È una meraviglia!».
«Grazie. Ma cosa intendi per stupire se stessi?».
«Cosa?».
«Vorrei sapere come si riesce a superare la crisi. Sempre che uno sia in crisi, naturalmente».
«Come ti ho detto non ho esperienza diretta, se non quella che vivo guardando Giampi» e allungò un braccio a carezzare la spalla dell'uomo che, rivolto ai due vicini che lo seguivano attenti, proseguì infervorato il suo racconto, probabilmente una storia sulle moto.
«Forse occorrerebbe qualcosa fuori dal comune, che so, imparare una lingua, cambiare lavoro, costruirsi una casa nuova, partecipare a una maratona, provare una nuova emozione... magari un amore». Sembrò incerta sulle ultime parole che aveva pronunciato a voce bassa, quasi pentendosene.
«Ma naturalmente questo non succede a chi ha una famiglia felice» aggiunse con aria colpevole, guardandola negli occhi.
Anna non disse niente. Arrivò l'altra figlia, di corsa pure lei, a chiederle qualcosa e la conversazione si perse nella confusione generale della festa.
Capitolo secondo
1 gennaio 2006, notte fonda.
Da qualche tempo il Capodanno a casa di Lorenzo e Luciana era praticamente l’unica occasione grazie alla quale il nucleo storico della vecchia comitiva aveva modo di ritrovarsi. Gli altri partecipavano raramente e poi, per qualche altro anno, non ci si vedeva più.
La festa proseguì seguendo il più classico copione di San Silvestro: un gruppo di persone sulla quarantina, tutti con famiglia e figli alle spalle, cercava di fare tardi almeno una volta tanto, ma finiva per cedere agli sbadigli e ai capricci dei loro bambini sfiniti dalla stanchezza.
Poco dopo le 2, anche la famiglia di Anna salutò e tornò a casa. Abitavano poco distante, proprio in centro a Verona. I loro piccoli, Nicola e Sabrina, dormivano sul divano da un pezzo e non si accorsero di niente, beati loro. Presero la macchina, salirono le scale portando i figli in braccio. Arrivati li svestirono e li accompagnarono in bagno. Quando Anna e suo marito arrivarono a letto erano esausti, come sempre ultimamente, ma almeno per una volta si erano sforzati di stare un po' insieme agli amici.
Anna non prese subito sonno. Il giorno prima si era detta che avrebbe dovuto tentare di fare quello che aveva chiaro da anni: fuggire. Una parte di sé, oscura e inconscia, si era ripromessa di riuscirci.
Non sapeva da dove le veniva questa specie di ossessione. Il suo lato razionale, invece, le ripeteva con una chiarezza cristallina che aveva tutto ciò che poteva desiderare, una casa, un lavoro, una famiglia e soprattutto dei figli. Sapeva che niente avrebbe potuto allontanarla dai suoi bambini belli e bravi, come rispondeva quando qualcuno si complimentava con lei. Per quanto riguardava suo marito non poteva desiderare di più. Era un uomo quieto, affettuoso e premuroso. Da tempo si era tirato in disparte per lasciare spazio a lei e alla sua carriera. Inoltre faceva qualsiasi cosa per dimostrargli il suo amore, mentre Anna, a essere onesti, non faceva altrettanto.
Di giorno in giorno il piano di fuga si era arricchito di dettagli sempre più precisi e concreti, che Anna andava via via aumentando consultando internet da computer su cui nessuno avrebbe potuto rintracciarla. Persino a questo aveva pensato.
Alla tv, infatti, aveva sentito di gente che aveva tentato di scomparire, ma era stata poi tradita da un cellulare acceso, da una carta di credito, da una frequentazione troppo assidua a un internet cafè. Anche una brigatista rossa era stata scoperta così, qualche anno prima. Per questo aveva conservato in un cassetto una vecchia patente e una carta d'identità che aveva creduto smarrita, ma che sarebbe stata valida fino al 2008.
Sapeva ormai con certezza quali sarebbero stati i prossimi passi da fare. Avrebbe dovuto spegnere il cellulare, andare in banca, prelevare dal suo conto quel tanto che bastava, diciamo cinquemila euro, senza lasciare in difficoltà economiche Carlo, nascondere i soldi nei posti più impensabili che aveva già predisposto: doppi fondi di valigie, in un marsupio, dentro una cintura porta valori e in tutta una serie di articoli rigorosamente di poco valore, comprati nei più disparate occasioni nel corso degli anni e tenuti in fondo a un cassetto. Poi sarebbe dovuta andare alla stazione evitando le telecamere, che ormai erano dappertutto, prendere un treno senza prenotazione