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Bella Ciao
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Ebook98 pages2 hours

Bella Ciao

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“Una mattina mi son svegliato” dice la canzone partigiana. E una mattina il vecchio Erio si sveglia, ma invece dell'invasor ad attenderlo trova un'Alfa Duetto d'altri tempi. Al volante l'amico ed ex allievo, deciso a rapirlo ai giardini post-togliattiani popolati di badanti per un viaggio in collina. Là, tra le pieghe dei calanchi e il profilo del monte Cimone, in una sola estate Erio ha incontrato e perduto il primo amore della sua vita. Questa è la storia di quel viaggio. Ed è la storia di Maria, uccisa a sedici anni nella rappresaglia nazista di Ospitaletto di Marano. L’autore per spiegare le motivazioni del libro dice: “Sono anni che transito con la mia bicicletta nei pressi della lapide collocata accanto all'albero di fronte al viale che porta alla chiesa. Ogni tanto mi fermo e, nel vuoto che mi circonda, riesco a commuovermi ancora.
LanguageItaliano
PublisherIncontri
Release dateDec 10, 2012
ISBN9788897982388
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    Bella Ciao - Francesco Ricci

    Collana Proposte

    Francesco Ricci

    Bella ciao

    Postfazione di Giuliano Albarani

    Incontri Editrice

    Bella ciao

    A Giuseppe e Sofia

    ben sapendo che, come dice Novalis,

    ogni ricordo è il presente

    Sono sicuro,

    sicurissimo che c’è un paradiso

    di prati infiniti

    per le erbe solitarie.

    ettore sottsass

    1

    Senza illusioni, non ci sarà mai grandezza di pensiero. Così dice il poeta. Ma Erio inizia a tremare come una foglia. E anche se non dovrei, smarrisco ogni illusione. Le mani stropicciate vibrano come l’asse di un trampolino sollecitato dai salti di un robusto tuffatore. Gliele prendo e rimango stupito dalla loro fragilità. Ricordo quando le agitava quelle mani, durante lezioni impregnate di consapevolezza. Il mio vecchio prof. Tocco le mani e sento le ossa. Quando si dice pelle e ossa. Lo guardo negli occhi accarezzando quel grumo di pelle affusolato e ceruleo. Cerco di tranquillizzarlo dandogli l’illusione di poter sragionare serenamente. Perché so che i suoi pensieri sono grandi, anche se ormai giunti al capolinea.

    – Ho paura.

    La voce di Erio è filo spinato. Vorrei portarlo su un tappeto volante e preservarlo da ogni inquietudine.

    – La malattia mi nasconde la morte, mentre io vorrei vederla in faccia. Ma lei me la nasconde, per questo ho paura.

    – Ti va se facciamo due passi?

    Erio si convince a fatica. Gli tolgo le pantofole e gli calzo i sandali.

    – Vanno bene così?

    – Vanno bene.

    Lo aiuto ad alzarsi dalla poltrona, gli porgo la stampella e ci dirigiamo verso l’uscio. Prima di aprire la porta Erio si ferma vicino alla mensola e prende un mazzo di chiavi.

    – Ce le ho già le chiavi.

    – Io voglio le mie.

    – Molto bene Erio. Dai usciamo.

    Camminiamo lentamente nel giardinetto post-togliattiano di case concepite con il sano realismo del benessere condiviso, disseminato di foglie e alla luce di un sole imperterrito di un’estate che non vuole finire più. Siamo a Modena, ma è come se fossimo nell’Emilia intera. Mi accorgo che Erio sta per avere una nuova crisi. Devo dirottarlo in qualche modo. Deviare i cattivi pensieri.

    – So che da giovane hai lavorato in fabbrica. Non me ne hai mai parlato.

    – D’estate, per racimolare qualche lira. Alla centrale termica.

    Una luce interiore si accende ad illuminare il volto che per un attimo torna bambino. Si calma e nello stesso tempo si concentra. Mi parla, seppur con grande fatica.

    – Dovevo controllare i livelli attraverso una consolle piena di bottoni.

    Le mani iniziano a danzare verso il cielo. Il capo si piega leggermente verso di me. Gli occhi sembrano più liquidi del solito.

    – Nessuno poteva entrare nella centrale. Noi del reparto eravamo in sei. Giorno e notte. Facevamo i turni. Solo il capo reparto poteva decidere chi fare entrare.

    Ci sediamo su una panchina all’ombra degli ippocastani, in un pomeriggio punteggiato dal volo radente delle rondini. Ci fermiamo a guardare un po’ la vita scorrere. Ognuno con i propri pensieri, ma probabilmente ben sintonizzati, novelli Peter Sellers e Ringo Starr in quel magico film di cui non ricordo il titolo. Erio riprende fiato.

    – Dalla catena, per andare a pisciare, se passavi dalla centrale risparmiavi un sacco di tempo. Tempo utile per fumare una sigaretta ad esempio. Fortuna che io non ho mai fumato. Sai che fila? Ma il capo era un bastardo e impediva a tutti di passare. Però quando facevo il turno di notte, e non c’era nessun altro che mi rompesse le scatole, se qualcuno voleva passare, era il benvenuto. Solo di notte.

    Davanti a noi un lieve transitare: una mamma in bicicletta con il figlioletto sul seggiolino; due ragazze in pantaloncini da ginnastica e t-shirt pronte ad andare al vicino campo scuola per l’allenamento di atletica pomeridiano; un nonno che arranca con due bastoncini da neve e lo sguardo fisso perso nel vuoto.

    – Sai che quello veniva alla Fiat?

    – Davvero?

    – Sì, stava alla catena.

    – Ciao Armando, come va?

    Erio si rivolge all’anziano che tira dritto, come se nulla potesse distrarlo dal suo obiettivo. Sembra un automa, costruito in oltre trent’anni alla catena di montaggio.

    – Armando si chiama, ma non sente più e non parla più. Un comunista, di quelli veri. Fin troppo. Con lui non si poteva mai scherzare. Parlare di Juve o di Modena o di Cineshino, quando mai. Ti fulminava con gli occhi facendoti sentire un povero coglione. Però, quando c’erano casini, di lui ti potevi fidare. Pare che suo padre fosse stato torturato e ucciso dai repubblichini. Con il ferro da stiro rovente. Gli bruciarono le cosce e poi il torace. Suo padre non disse mai una parola. Alla fine gli tirarono un colpo in testa. Brutta storia. E di questa storia Armando non ne parlava mai.

    Il giardino alberato che s’insinua fra una moltitudine di palazzine avrebbe bisogno di acqua. Ma non piove da settimane e le zanzare tigre sferrano attacchi micidiali. Ci alziamo e camminiamo lentamente verso casa. è un percorso a tappe, con le panchine a fare da punti ristoro.

    – Mi fanno male i polpacci. Voglio anch’io una carrozzina.

    Erio indica un anziano signore spinto da una giovane ragazza.

    – Siamo solo tutti vecchi qui. A parte queste donne venute da chissà dove.

    – Non hai bisogno della carrozzina Erio. A volte mi sembra che tu faccia i capricci. Guarda che ti fa bene sforzarti un po’.

    – Per che cosa? Questa malattia è vigliacca e mi porta dove vuole lei. Adesso sono qui, ma fra un minuto chissà dove sono.

    – Ti ci vedo sulla carrozzina. Ti siedi e poi ti alzi. Continuamente. Come fai di notte.

    La notte per Erio è un buco nero. Quando si sdraia non vede più niente. Per questo si alza di continuo nel vano tentativo di trovare un po’ di calma. Ma nelle sue notti c’è sempre tanta confusione. Nel buio Erio vede tutte le età della sua vita sovrapporsi indistinte. E non ci capisce più nulla. Allora inizia a muoversi, ad agitarsi e a chiamare Maria, l’amata sorella, oppure Alice, la moglie che non c’è più.

    – Tu sai dove sono andate le donne?

    – Erio, perché fai così? Non ricordi?

    – Dov’è Maria?

    – Maria non c’è più da un pezzo.

    – Davvero?

    – Dai Erio, lo sai benissimo.

    – E Alice?

    – Altrettanto, caro mio. Erio, non ti tormentare ti prego.

    Una coppia di ragazzi invade il nostro campo visivo. Si avvicinano mano nella mano e fuggono lontano. I giovani oggi attraversano il parco con una fretta esagerata, come sospinti da un’energia invisibile, per svicolare tra le macerie di chi giovane non è più. Vicino al cancello che introduce nella palazzina di Erio ci sono due panchine separate da un lungo tavolo in legno. è il punto di ritrovo principale di tutto il giardino. C’è Olga piegata nella sua carrozzina che sbava continuamente e mugugna parole incomprensibili. C’è Nino che si

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