Singolare avventura di Leonardo e Vitaliano nella città di pietra gialla
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La vicenda del professore Brancati si intreccia con quella dell’alunno Sciascia sullo sfondo della “città di pietra gialla”, “Nissa”.
Il titolo, intenzionalmente brancatiano, richiama quello del giovanile romanzo dello scrittore di Pachino, “Singolare avventura di viaggio”.
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Book preview
Singolare avventura di Leonardo e Vitaliano nella città di pietra gialla - Sergio Mangiavillano
L’immagine rovesciata
Prove di narrativa siciliana
1
collana diretta da
Sergio Mangiavillano
Sergio Mangiavillano
Singolare avventura
di Leonardo e Vitaliano
nella città di pietra gialla
Edizioni Lussografica
© Copyright Aprile 2015
Edizioni Lussografica
Caltanissetta
Tutti i diritti sono riservati
ISBN 978-88-8243-371-0
In copertina:
Nicolò Granata - Verso il santuario,
olio su tela cm 35x50
Nel 2004, in coincidenza con il cinquantesimo anniversario dalla scomparsa di Vitaliano Brancati, pubblicai presso l’editore Salvatore Sciascia il saggio critico I piaceri dell’umorismo
.
A distanza di dieci anni e a sessanta dalla morte, do alle stampe un racconto sul suo soggiorno nisseno alla fine degli anni Trenta del ’900 quando Vitaliano insegnava all’Istituto Magistrale IX Maggio, frequentato da Leonardo Sciascia.
La vicenda del professore Brancati si intreccia con quella dell’alunno Sciascia sullo sfondo della città di pietra gialla
, Caltanissetta, Nissa.
Il titolo, intenzionalmente brancatiano, richiama quello del giovanile romanzo dello scrittore di Pachino, Singolare avventura di viaggio
.
S.M.
Da Regalpetra a Nissa
Leonardo aveva appena terminato di imbastire il panciotto del vestito di velluto marrone di don Lollò Sferrazza, che doveva essere consegnato l’indomani.
- Posso allontanarmi prima, oggi? – chiese rivolto allo zio Salvatore.
- Hai impegni? – domandò distratto lo zio.
- Nessuno, vorrei assistere al passaggio del corteo dei contadini che tornano dalla campagna con le loro bestie.
- Che ci trovi d’interessante?
- Solo in questo periodo – rispose Leonardo – è possibile vedere questo spettacolo; è come guardare una scena di un film.
- Va bene, permesso; cerca, però, di non approfittare del privilegio di essere mio nipote – sorrise bonariamente zio Totò.
Da quando era finita la scuola, Leonardo aveva cominciato a lavorare come apprendista nella sartoria del fratello di Pasquale Sciascia, suo padre, per imparare il mestiere. Spirava una lieve brezza di monte quel tardo pomeriggio del luglio 1935, la calura arroventata che da tre giorni non aveva dato tregua veniva ora spazzata lentamente via da quel venticello leggero e ristoratore che si portava appresso una fragranza di essenze vegetali dai campi olezzanti di spighe e di fieno. Leonardo si fermò sul ciglio dello stradone a osservare la lunga fila dei muli e dei carretti carichi di sacchi di grano, di ritorno dalle riarse campagne a nord di Canicattì, dopo la pisatura. Erano tenuti per le redini da uomini affaticati, ma soddisfatti del raccolto di quell’anno in cui Dio non era stato avaro con loro. Con lo sguardo acuto e penetrante fissava i volti bruciati dal sole, protetti da pesanti coppole, avvizziti, e tuttavia in pace con gli animali che li accompagnavano con passo lento e cadenzato, pronti a riprendere, all’alba, il loro duro lavoro.
Altre volte aveva scrutato con curiosità le facce scavate dei minatori, di ritorno, il sabato, in paese, dalle zolfare che si allungavano fino a Montedoro e che ammorbavano l’aria e bruciavano i terreni col fumo sprigionatosi dalla combustione del minerale. Da quei volti traspariva una sorta di rabbia compressa, un piglio indurato e livido. La domenica, però, quegli stessi uomini, sporchi e cenciosi, si sarebbero ritrovati in piazza trasformati: l’abito buono, le facce rasate, i baffetti curati, gli stivaletti lustrati, sprizzanti voglia di vivere, entravano e uscivano dalle mescite, passeggiavano pavoneggiandosi con aria fiera e altezzosa.
Tanto erano riconoscibili quelli, quanto anonimi erano, invece, i lavoratori delle saline minerarie, un’altra risorsa del paese, se non fosse stato per quell’oscillare leggero degli occhi causato dal nistagmo, una patologia che si contrae nelle cave di sale, e per i reumatismi, conseguenza dell’elevata umidità dell’ambiente di lavoro. Il salinaro era un tipico lavoro di Regalpetra e numerosi erano anche i regalpetresi che vendevano il sale, con i loro carretti, nei paesi vicini.
Seguendo l’ultimo mulo, Leonardo fece il breve percorso che lo separava dalla sua casa, sovrastata dalla stretta scalinata che portava al santuario di Maria SS. del Monte. Trovò tutta la famiglia riunita: il padre, la madre Gigia, lo zio Salvatore, le zie nubili Angela e Nica che lo avevano cresciuto, il fratello Giuseppe e la sorellina Anna.
- Siediti accanto a me – disse Pasquale Sciascia, rivolto a Leonardo – e ascolta attentamente; quello che sto per dire riguarda soprattutto il futuro tuo e dei tuoi fratelli. A Regalpetra un mestiere forse non ti potrebbe mancare, lo zio Totò mi dice che come sarto te la potresti anche cavare, nonostante tu continui a ripetere che vorresti fare il falegname; per Pepè e Anna col tempo si vedrà, dopo che avranno finito le scuole, ma forse è meglio pensare un po’ più in grande. Proprio ieri ho ricevuto una proposta di lavoro come amministratore di una miniera di zolfo di Assoro. L’idea di accettarla mi alletta, la paga è buona, ma, soprattutto, potrebbe essere l’occasione da cogliere a volo per trasferirci in città, a Nissa, dove potresti proseguire gli studi al Magistrale dal momento che hai superato l’esame di ammissione.
- Assoro, però, non è vicina a Nissa – obiettò Nica – come farai a raggiungere la miniera?
- Mi arrangerò – rispose Pasquale – tornerò a fine settimana oppure di tanto in tanto, l’importante è avere la sicurezza economica e, soprattutto, dare ai ragazzi l’opportunità di studiare. Si tratta di fare un balzo in avanti per tutta la famiglia, per loro…
- Nanà potrebbe riuscire un buon artigiano – osservò lo zio Totò – ma quello del sarto è un mestiere sacrificato e i guadagni sono quello che sono; e poi, oggi, è importante avere un cocciu di littra per farsi avanti, per contare nella società. Avete visto come è riuscito Bebè, il figlio di massaro Ciccio Lo Giudice? Si è laureato all’università di Palermo, ha vinto subito il concorso e già insegna la liceo di Nissa. Per farlo studiare suo padre ha venduto il terreno della Noce e secondo me ha fatto un ottimo investimento: oggi suo figlio è professionato, tutta la famiglia ne ha guadagnato, è più rispettata, è una delle poche burgisi del paese