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Induzione Mnemonica
Induzione Mnemonica
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Induzione Mnemonica

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About this ebook

Come conquistare un pianeta senza invaderlo, senza guerra e perdite da ambo le parti e, soprattutto, senza distruggere la natura, fatta eccezione per la specie dominante? Semplice, fare in modo che la razza dominante si autodistrugga.

Poteri telepatici danno a un arcano popolo la possibilità di indurre i terrestri a sterminarsi, in preda a totale pazzia. È la fine di tutto? No, c’è chi resiste.

I protagonisti sono persone qualunque che si distinguono solo per la volontà di lottare, con una forza che nasce da una spietata introspezione, necessaria spinta emotiva.

Vi sono menti libere anche negli invasori più crudeli, e l’istinto di sopravvivenza dei nativi del pianeta Terra sarà sempre più forte di qualunque Induzione mnemonica.

L’Autore

Salvatore Zaffarana è un funzionario dello Stato. Si occupa di multilevel marketing. Ha pubblicato Nato da donna (0111 Edizioni, 2015), e ha scritto una trentina di romanzi brevi, riuniti in collana. Ha diversi hobby e poco tempo per coltivarli.
LanguageItaliano
PublisherEDIZIONI EVE
Release dateMar 1, 2016
ISBN9788899394486
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    Induzione Mnemonica - Salvatore Zaffarana

    Salvatore Zaffarana

    Induzione Mnemonica

    Edizioni Eve

    Salvatore Zaffarana

    Induzione Mnemonica

    Edizioni Eve

    Copertina di ELISABETTA DI PIETRO

    TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI

    Edizioni Eve è un marchio editoriale

    Di Editrice GDS

    Via Matteotti 23

    20069 Vaprio d’Adda-Mi

    www.edizionieve.it

    Ogni riferimento descritto a cose, a persone e luoghi sono da ritenersi del tutto casuale.

    Ce la puoi fare da solo, lo sai? Io lo so e anche tu lo sai! Ce la puoi fare da solo, almeno per i primi tempi, ovvio.

    Di nascosto? Senza che lo sappia qualcun’altro? Senza il parere del Consiglio? E se Lui lo viene a sapere?.

    Accidenti, se lui lo viene a sapere....

    Se lui lo viene a sapere, amen. Fottitene! Sei tu il prescelto. Lui lo è stato e ha svolto bene il suo lavoro, ma ora sei tu! Sei stato scelto dalla sorte, solo tu.

    So che mi hai sempre ben consigliato; è grazie a te che sono diventato... sì, insomma che sono quasi pronto, ma insomma, di nascosto da Lui? Sono cresciuto nella totale obbedienza, secondo i tuoi insegnamenti, e ora faccio di testa mia?.

    Sì, per tutti i numi! E poi non sei solo. Io ti sarò sempre al fianco anche se la cosa deve rimanere un segreto tra me e te. Nella mia posizione è mio dovere consigliarti di fare così capisci? Fa parte del tuo apprendistato, è il completamento di tutto quello che ti ho insegnato, ma se Lui lo venisse a sapere... Tu sei il Prescelto, diamine. Anche Lui ha iniziato così non lo sai? Me lo ha confidato una sera in cui... ma lasciamo perdere, quello è un altro discorso, forse un giorno te ne parlerò. Devi prendere l’iniziativa adesso, e io vedrò quello che posso fare nel consiglio. Lo sanno tutti che sei pronto e non possono fare altro che appoggiarti. È solo questione di tempo. Tu intanto datti da fare e fidati di me.

    Capitolo 1

    Era tutto imbottito. Sul pavimento non si riusciva neanche a camminare. L’imbottitura era onnipresente e costringeva a muovere i pochi passi concessi come fa un bambino di dieci mesi, come un marinaio sulla terraferma. Le pareti erano tutte imbottite per un’altezza di tre metri. Solo il soffitto era scevro da gommapiuma, assolutamente anonimo con un’unica interruzione costituita da una lampada al neon incassata, protetta da una griglia metallica saldamente avvitata e da una piccola, piccolissima telecamera. La luce era onnipresente; non la si poteva spegnere perché gli occupanti che si avvicendavano nella cella dovevano essere controllati 24 ore su 24, sempre, anche se non era materialmente possibile loro il suicidio. Era una delle celle di massima sicurezza del manicomio criminale di Aversa. L’attuale occupante della cella numero uno era colpevole di triplice omicidio e si trovava in una cella imbottita per pura prassi in quanto non era, al momento, in grado di far più del male né agli altri né a se stesso. Aveva massacrato un’intera famiglia, suoi vicini di casa e amici da lunga data, senza il benché minimo movente. Una domenica pomeriggio, dopo pranzo, aveva semplicemente suonato alla porta e aveva freddato con un colpo di pistola la donna del suo amico che gli aveva aperto la porta sorridendo. Era una bella donna, con capelli corvini e ricci, una classica bellezza mediterranea, e con ancora qualche chilo di più ereditato dalla gravidanza. La donna era morta ancora con il sorriso stampato sul bel viso e con un orrendo foro sulla fronte prodotto da una calibro 7,65 e un corrispondente foro sulla nuca notevolmente più ampio. Penetrato nell’abitazione aveva abbattuto il suo amico, che si stava precipitando verso la porta per capire cosa succedeva, con due colpi al torace e lo aveva finito con un colpo alla nuca. Era poi entrato nella camera di Lucy, la bambina di otto mesi, unica figlia dei suoi amici. L’infante era in terra a giocare e lui le sferrò un calcio al torace; la bambina non riuscì neanche a urlare con la cassa toracica fratturata in più punti, iniziò tuttavia a gemere come la Pariniana vergine cuccia e lui, freddamente, con un blando sorriso sulle labbra, calò il tallone con ferocia sul piccolo capo, più e più volte, tacitando quei deboli lamenti. Uscì dall’appartamento in silenzio lasciando impronte di virgineo sangue sul tappeto che rivestiva l’ingresso dell’appartamento e il corridoio condominiale. Entrò in casa propria, si versò un’abbondante dose di bourbon e si mise davanti al televisore a guardare il suo programma di sport domenicale preferito. Aveva dimenticato tutto, aveva dimenticato completamente, come se non si fosse mai mosso dalla poltrona.

    La polizia lo trovò così, tranquillo a vedere la TV con la pistola ancora calda poggiata sul tavolo e la scarpa destra macchiata di sangue. Non ricordava nulla! era stupito della presenza della polizia e del fatto di aver lasciato la porta aperta. Non capiva cosa volevano da lui. Lo ammanettarono e lo accompagnarono nell’appartamento a fianco dove si era compiuta la strage. Che cosa gli accadeva? Perché quella porta aperta gli incuteva paura, terrore... no, non avrebbe mai attraversato quella porta, non avrebbe mai varcato quella soglia, no! Al di là c’era il male, il buio in cui suo padre lo costringeva la notte perché non doveva averne paura, c’era l’orrore... no! Non poteva. Si divincolò dal poliziotto che lo teneva leggermente per un gomito e, con un improvviso salto, si gettò nella tromba delle scale. Fu sfortunato e non morì. Erano solo due piani e se la cavò con una caviglia lussata e la tibia dell’altra gamba fratturata in due punti. Fu curato in ospedale, piantonato a vista e ammanettato al letto.

    Fu trasferito al manicomio criminale di Aversa fisicamente sano e in totale stato catatonico.

    Capitolo 2

    Il dottor Rinaldi era, a dir poco, preoccupato. Sapeva che nel periodo estivo, causa il caldo torrido, avveniva una recrudescenza delle manifestazioni di malattia mentale in soggetti relativamente sereni durante il resto dell’anno ma si era ancora in primavera, con temperature perciò miti, e invece il numero dei pazienti ricoverati nelle strutture sanitarie della Capitale era enormemente aumentato nell’ultimo mese. Era un neuropsichiatra abbastanza giovane, di bella presenza nonostante l’incipiente calvizie che lo rendeva, anzi, più interessante. Dotato di un’intelligenza spiccata che, insieme al fatto di possedere alcuni amici al posto giusto, l’aveva portato a diventare all’età di 42 anni il responsabile presso il Ministero della Salute dei reparti di Psichiatria delle varie A.S.L. della Regione Lazio. La sua veste lo portava inoltre, ovviamente, ad avere contatti con le strutture sanitarie di tutta la Penisola, comprese quelle dove venivano ricoverati i pazienti più pericolosi, i manicomi criminali. Nei reparti dei vari nosocomi si provvedeva, infatti, a curare i disturbi dei pazienti pericolosi per se o per gli altri in maniera latente ma, per chi avesse già varcato la soglia e fatto del male al proprio prossimo vi era solo la prigione di massima sicurezza dove si poteva tentare di intervenire, con cure mediche, in quei casi disperati, senza che i pazienti potessero continuare a farsi del male o a nuocere agli altri. Il dottore non capiva. Si erano riacutizzati, in maniera abnorme, tutti quei casi di schizofrenia in cui i pazienti si sentivano spinti ad agire, a fare alcune cose, perché sentivano le voci, sentivano dentro la testa parole che gli ordinavano di fare questo e quello e, in tutti gli ultimi ricoveri, solo la fortuna era riuscita a evitare che si facessero seriamente del male; era questa la stranezza perché la gran massa dei soggetti ricoverati nell’ultimo mese erano schizofrenici con tendenze omicide, e invece tutti avevano tentato il suicidio quasi si trovassero all’ultimo stadio della malattia, di colpo e tutti insieme, di fatto impossibile! C’era poi quel caso ad Aversa, il primo occupante in una cella imbottita da diversi mesi. Un caso al momento inspiegabile; un tranquillo impiegato di quaranta anni, che aveva compiuto una strage senza alcun motivo e si era apparentemente dimenticato della cosa per tentare poi di uccidersi poco prima di essere messo davanti al fatto compiuto. Doveva indire una tavola rotonda con i suoi colleghi delle altre regioni per vedere come si stava evolvendo la situazione nel resto del territorio nazionale e poi, se del caso, interessare i diversi ministeri della Salute a livello europeo, se del caso, solo se necessario. Doveva andarci piano con i suoi dubbi, perché era troppo giovane e aveva troppi nemici acquattati nell’ombra che non gli avevano perdonato di aver fatto carriera così in fretta. Bisognava comunque incontrarsi al più presto, prima della fine della settimana. Si ripromise poi di chiamare il suo vecchio compagno di Liceo, forse l’unico vero amico che possedeva, per parlare con lui della cosa. Sandro era un maresciallo maggiore dell’Arma dei Carabinieri, con una personalità spiccatissima e la dote di saper ascoltare, trarre le logiche conclusioni ed esporle in modo chiaro. Molte volte Rinaldi si era confidato con lui per i motivi più disparati, tra cui quelli professionali, e non era stato raro il caso in cui aveva ricevuto l’illuminazione dal parere del suo amico. Voleva parlare con lui anche di queste recrudescenze ed era certo di ricevere anche questa volta un buon aiuto.

    Capitolo 3

    Paolo era un tipo comune. Un metro e settantacinque, imbiancato precocemente, pancetta e un volto banale completavano la figura di un anonimo impiegato cinquantenne dello Stato. Non aveva trascorso una bella vita per i troppi errori commessi e lui si dava la colpa di tutto, senza ipocrite giustificazioni. Ciò l’aveva, naturalmente, fatto cadere in un notevole stato di depressione che cercava tuttavia di combattere per non pesare psicologicamente sui componenti della famiglia. Era padre di tre figli con età compresa dai diciassette ai ventotto anni ed era felicemente sposato con una donna in gamba, molto in gamba. Lei gli aveva dato molte volte la forza di tirare avanti, di sopravvivere, di recitare per i figli. Laura era una donna con la testa sulle spalle, su cui ci si poteva contare. Da circa una settimana si era posto comunque in stato di malattia in ufficio.

    La depressione lo stava uccidendo. Riusciva solo a bere e a fumare ed era sempre più difficile trovare la forza per recitare con i figli. Sempre più spesso si chiudeva in se stesso e, sempre più spesso, era preso da attacchi di collera di cui facevano le spese gli altri componenti della famiglia. Lui non ce l’aveva con gli altri, ce l’aveva con se stesso, e si adirava solo perché non lo lasciavano in pace. Fu a causa di questo stato d’animo, condito dai continui scoppi di collera, che non si accorse del cambiamento sopravvenuto nelle due figlie più grandi. Pensava che fossero scontrose e irascibili a causa del suo comportamento e si stupiva solo un po’ che anche quando lui era calmo le ragazze continuavano a essere aggressive. Le conosceva come due donne con la testa sulle spalle, come la madre, e perciò tendeva a minimizzare il loro anomalo comportamento delle ultime settimane. Quella mattina, tuttavia, si spaventò. Era sdraiato in giardino a bere una birra e a compiangersi un po’ quando sentì delle urla inferocite provenire dalla cucina. Accorse e vide le due sorelle aggrovigliate in terra che se le stavano dando di santa ragione. Una, la più grande, aveva un coltello da cucina stretto in una mano e l’altra gli bloccava il polso convulsamente e con l’altra mano cercava di allontanare il volto inferocito della sorella. Il groviglio di membra era impressionante, si rotolavano una sull’altra con i vestiti strappati, praticamente seminude nella foga della lotta. Intervenne ovviamente in maniera energica e, dopo aver disarmato Lisa, stette ben attento a tenere separate le due donne finché non fu ristabilita una relativa calma. Obbligò le figlie a sedere al tavolo, con lui in mezzo, e pretese spiegazioni.

    La stronza mi ruba sempre i trucchi e quando io le chiedo se mi presta una gonna me la nega.

    Non è vero papà, se me l’avesse chiesta gliela avrei data ma lei se l’è presa di nascosto.

    Incredibile, pensò Paolo, per un motivo così stupido si stavano uccidendo! E forse non è la prima volta, forse hanno rischiato altre volte e io non lo so perché non ci sto mai in casa. Devo parlarne con Laura, lei saprà, senza dubbio, cosa fare.

    Capitolo 4

    Otello conosceva ormai da lunghi anni il reparto di Psichiatria dell’ospedale S. Giovanni di Roma. Ogni qual volta si sentiva strano suo fratello chiamava la guardia medica e quei dottori, sempre diversi, gli parlavano e parlavano e sembrava che sapessero tutto di lui; ma come facevano a sapere tutto di lui se erano sempre diversi? Senza meno c’era qualcuno che lo sorvegliava sempre e che li teneva informati. Doveva stare molto più attento per il futuro. Era controllato anche quando si chiudeva in camera sua al buio, lo sapeva questo; c’erano telecamere che vedevano anche al buio e piccoli, piccolissimi microfoni nascosti che ascoltavano anche i suoi sospiri, anche quando si masturbava in silenzio... loro lo sapevano senza dubbio alcuno e poi informavano tutti quei dottori, sempre diversi. Oh, quante volte aveva desiderato di ammazzarli tutti come cani rabbiosi! Quante volte aveva resistito alla tentazione di ammazzare anche quel porco di suo fratello che tutte le volte lo tradiva e chiamava quei dottorini e lo faceva sempre ricoverare in quell’accidenti di Ospedale. Questa volta tuttavia, notò con una certa sorpresa che l’ospedale era diverso, le corsie erano diverse. Avevano tolto quel colore

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