Scusate se non siamo morti in mare
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Book preview
Scusate se non siamo morti in mare - Emanuele Aldrovandi
SCUSATE SE NON SIAMO
MORTI IN MARE
© 2016 Cue Press
via Selice 84a, 40026 Imola, Bologna IT, cuepress.com
ISBN 978-88-99737-01-6
Direzione
Mattia Visani
Prefazione
Davide Carnevali
Immagine copertina
Jessica Montanari
Testo finalista al Premio Riccione 2015. Presentato in anteprima con il titolo Balenes al Festival PIIGS 2015 di Barcellona. Spettacolo finalista al Premio Scenario 2015. Prima rappresentazione: 22 febbraio 2016 al Teatro della Cooperativa di Milano. Regia: Pablo Solari. In scena: Matthieu Pastore (Morbido), Daniele Pitari (Robusto), Marcello Mocchi (Alto), Luz Beatriz Lattanzi (Bella). Scene: Maddalena Oriani, Davide Signorini. Sound Designer: Alessandro Levrero. Produzione: MaMiMò / Arte Combustibile. In collaborazione con la Corte Ospitale attraverso il bando Forever Young 2015.
Indice
Luoghi fuori dal comune
di Davide Carnevali
Scusate se non siamo morti in mare
Luoghi fuori dal comune
di Davide Carnevali
In questi anni mi è capitato spesso di discorrere di drammaturgia italiana con colleghi e operatori culturali di altri paesi. Le conversazioni vertono di solito sull’esistenza e l’attività di giovani autori, e il nome che ricorre è quello di Fausto Paravidino, che ha consolidato in questi anni una certa diffusione a livello europeo. Così, di solito, la domanda che mi viene posta è: «E dopo Paravidino? C’è qualche altro autore giovane che continua in quella direzione?». Le mie risposte variano secondo il periodo e i testi che ho occasione di leggere, perché la drammaturgia italiana, seppur non goda di uno status definito né di un riconoscimento istituzionale, esiste ed è attiva; esempi se ne possono fare molti, non è questa l’occasione per citarli tutti. Emanuele Aldrovandi è uno di questi, forse quello che più si è affermato, a forza di premi, negli ultimi anni. I paragoni sono incomodi, e accomunare più autori nel cerchio stretto del pericoloso termine generazione spesso non rivela altro che un’insana necessità di definizione e un desiderio altrettanto insano di creare artificialmente una tradizione. Non si tratta di ciò; ma credo che, in questo caso, il fatto di menzionare insieme almeno i nomi di Paravidino e Aldrovandi faccia bene a entrambi. Fa bene a un autore come Paravidino, la cui notorietà nel panorama teatrale italiano si vede ancor più giustificata nel momento in cui si afferma il suo ‘essere modello’ per altri autori. Fa bene a un autore come Aldrovandi perché parla a suo favore il fatto di aver saputo assimilare quanto di buono ci sia stato nell’autoria italiana, aprendo però a sua volta una strada nuova, che si spinge oltre quell’esperienza e sperimenta un linguaggio del tutto personale. Certo, come in Paravidino, anche in Aldrovandi c’è ancora l’abilità nell’intrecciare il dialogo, quel gusto per la rapidità della battuta e il senso dello humor, segni distintivi di quella drammaturgia anglosassone che continua a influenzare il nostro modo di guardare, leggere e scrivere teatro – e non solo attraverso il teatro, ma oggi anche e soprattutto attraverso le serie televisive, per esempio. Eppure, differentemente dagli autori anglosassoni e dal primo Paravidino, ad Aldrovandi non basta più andare a scovare nell’esistenza quotidiana il conflitto più accattivante, quello che permette di far funzionare una macchina drammaturgica ben oliata che porta la storia a uno scioglimento imprevisto eppure soddisfacente per lo spettatore. Ho l’impressione che nella scrittura di Aldrovandi, affinché la macchina drammaturgica renda al meglio, la situazione debba essere portata all’estremo delle sue possibilità. Deve fare un passo – ma solo un piccolo passo – oltre le circostanze dettate dalla convenzione estetica che intendiamo come realismo, e toccare – ma solo toccare – il grottesco. Il conflitto che sta al centro dell’opera resta ben ancorato alla realtà, ma la situazione che il conflitto genera stacca spesso i piedi da terra. Così quella bolla di verità scomoda che si nasconde sotto la superficie del felice rapporto di coppia dev’essere messa a confronto con la possibilità concreta della morte, come in Homicide House, per venire a galla e per esplodere. Nello stesso modo, in Scusate se non siamo morti in mare, l’istinto al dominio e all’annientamento del debole da parte del più forte, che è alla base di ogni razzismo, è posta nella