Il romanzo autobiografico
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Il romanzo autobiografico - Anna Lisa Del Carlo
Anna Lisa Del Carlo
IL ROMANZO AUTOBIOGRAFICO
La Bambina di Francesca Duranti
Argot edizioni
Proprietà letteraria riservata
© 2016 Argot edizioni
© 2015 Tra le righe libri
Andrea Giannasi editore
ISBN 9788899735050
INDICE
INTRODUZIONE
1. IL GENERE AUTOBIOGRAFICO
1.1 Incipit. Una prima definizione del genere
1.2 Quando nasce il genere. Breve excursus storico
1.3 Aspetti formali del genere: forma, tempi, luoghi, modi.
Ordine del discorso
2. IL ROMANZO AUTOBIOGRAFICO COME BENE CULTURALE
2.1 Non solo un genere letterario
2.2 Un genere, molti campi di utilizzo
2.3 L’autobiografia come bene culturale
2.4 Aspetti culturali dell’autobiografia: la storia, l’arte, ecc.
3. FRANCESCA DURANTI
3.1 Cenni biografici
3.2 La narrativa
3.3 Incontro con la scrittrice
4. L’AUTOBIOGRAFIA
4.1 La Bambina
5. L’IDENTIFICAZIONE DEI SEGNI CULTURALI
NE LA BAMBINA
5.1 La storia in cui vive il racconto
5.2 L’arte e l’architettura del paesaggio:
Villa Burlamacchi Rossi
5.3 Tracce di memoria popolare lucchese
CONCLUSIONI
BIBLIOGRAFIA
Introduzione
Questo libro nasce da un precedente studio relativo all’identificazione del romanzo autobiografico come bene culturale e dunque portatore di un grande valore particolare e al contempo universale. Lo studio di materie volte a fornire le adeguate conoscenze nel settore dei Beni Culturali con l’intento ultimo di permetterne il riconoscimento, la conservazione, la tutela, la valorizzazione e di favorirne la fruizione, mi ha permesso di rintracciare la chiave giusta per mostrare quanto sia possibile, guardando il mondo con occhio attento, riconoscere in esso i molteplici segni e valori culturali presenti, nonché la diversità degli oggetti materiali e immateriali in cui le culture si concretano.
In particolare il corso di Letteratura Contemporanea mi ha offerto lo strumento necessario a far percepire come i beni, materiali e immateriali, possano essere rintracciati nelle più svariate espressioni e forme e riconosciuti come valori culturali pur se non dichiarati tali giuridicamente e universalmente.
Questo strumento è il romanzo, e in particolare il romanzo autobiografico, che ho voluto analizzare proprio nella consapevolezza della sua identificazione come bene culturale e portatore dunque di un grande valore particolare, ma anche, come già sostenuto, universale.
Tutti i beni possono assumere un valore nuovo e non unicamente di natura economica. Gli esempi riportati sono diversi e nel corso del secondo capitolo si ricordano con affetto e ammirazione alcuni di quelli proposti dal Prof. Giacomo Corna Pellegrini in una delle sue lezioni del corso di Geografia Culturale rintracciabili anche nel testo Geografia dei valori culturali{1}. Egli porta in evidenza due tipologie di bene culturale: una relativa a tutti quei beni che sono riconosciuti formalmente di eccezionale valore storico, artistico, naturalistico; l’altra relativa a quei beni, espressione anch’essi d’immenso valore, ma non riconosciuti universalmente.
Il romanzo autobiografico rappresenta, in quest’ottica, un bene culturale perché permette di cogliere la molteplicità dei valori atti a rappresentare un vero e proprio patrimonio culturale.
Dopo avere analizzato, nel primo capitolo, il genere autobiografico partendo dalla definizione di Philippe Lejeune individuata nel suo studio intitolato "Il patto autobiografico", e dopo avere tracciato un breve excursus storico del genere, si è dapprima esaminato gli aspetti formali dell’autobiografia rifacendoci soprattutto ai testi di Lejeune e D’Intino, per poi trattare nel secondo capitolo l’autobiografia analizzandone gli aspetti da un’angolazione diversa, quella legata al profilo culturale: la storia e la memoria, la geografia umana, l’arte e il paesaggio, per il quale si sono esaminati diversi testi tra cui quelli di Ugo Fabietti, Giacomo Corna Pellegrini, ecc.
Dal terzo capitolo è stata approfondita la figura della scrittrice Francesca Duranti e il suo romanzo autobiografico La Bambina, perché si ritiene che in esso possano essere rintracciati molti elementi che non solo si incrociano con la storia, ma che possono essere considerati parte del patrimonio d’Italia, della cultura collettiva
di questo paese.
La scelta ovviamente non è casuale né per l’autrice, né per il romanzo. Nel primo caso si è trattato di scegliere una scrittrice che vive a Lucca perché l’obiettivo è proprio quello di chiarire quanto sia possibile conoscere meglio il contesto culturale di cui anche noi siamo parte attraverso la lettura di una scrittrice italiana. Nel secondo caso la scelta che è stata operata ci ha consentito di rintracciare proprio in quella vita narrata elementi che coinvolgono anche la nostra realtà, come a dire che il risolversi del racconto è indissolubile dal processo di acculturazione di cui siamo parte.
E’ stata inoltre riportata l’intervista che la stessa Francesca Duranti ha rilasciato e della quale vorremmo sottolineare la prospettiva volta all’indagine culturale, sia particolare e locale
, che universale. E’ infine l’ultimo capitolo quello che è stato riservato all’analisi specifica indirizzata all’individuazione dei segni culturali all’interno di questo romanzo, partendo dalla storia della Seconda guerra mondiale, per passare all’arte di cui la villa di Gattaiola, località nei pressi di Lucca e luogo protagonista delle vicende narrate, è la splendida culla, e concludere ripercorrendo le molte citazioni descritte inerenti al modo di vivere, alla scuola, alle feste religiose, ma ancora alle tante musiche, canzoni, letture, usi e costumi, caratterizzanti lo stile di vita e l’animo della gente lucchese durante gli anni di quel lungo conflitto, capaci di metterci in relazione con il nostro passato. Ciò non vuol dire imporre le tradizioni in quanto elementi dai quali non potersi o doversi distaccare, ma piuttosto considerarle come qualcosa
che ci raggiunge da lontano nel tempo, ma da molto vicino in termini di spazio e di cultura. Alcune le ricordiamo e le viviamo ancora: sono quelle tradizioni sopravvissute a questi anni che ci separano; altre invece sono nascoste chissà in quali libri, in quali case, in quali persone, e sotto quanta polvere, ma proprio per questo più appetibile è il loro sapore al momento in cui vengono rintracciate.
E proprio di identità si è parlato molto nel corso di Antropologia culturale, il cui fine era, tra gli altri, quello di riconoscere i processi culturali che caratterizzano le nostre società, per viverne più consapevolmente le complesse dinamiche.
Parlare di autobiografia significa parlare della formazione di una identità, allora dovremmo approfondire il significato di questo termine che appare talvolta banale, idealmente semplice da definire, ma che sappiamo essere un termine importante che rimanda a molte sfaccettature della sfera vitale umana, personale e collettiva.
Dal punto di vista antropologico la cultura è da intendersi in maniera olistica, ma non per questo deve essere conosciuta tutta, in tutte le sue parti. Quello che lo studio antropologico richiede è la considerazione di ogni aspetto della cultura in relazione ad altri aspetti della stessa, al fine di definire il contesto in cui si colloca. La ricostruzione del contesto consente di far emergere tutti i significati che un dato fenomeno può assumere se considerato da diversi punti di vista. Le diverse visioni dello stesso fenomeno vengono analizzate e comparate permettendo il collegamento di differenti contesti secondo una visione globale, la quale si apre verso una serie infinita e possibile di concatenazioni e interconnessioni possibili all’interno di una cultura o tra culture differenti.{2}
Francesco Remotti, docente di Antropologia, definisce l’identità un tentativo talvolta eroico e irrinunciabile di salvazione rispetto all’inesorabilità del flusso e del mutamento
.{3}
Questa affermazione, sicuramente provocatoria, è destinata a far capire che la sopravvivenza dell’uomo, a differenza degli animali, dipende più dalla cultura che dai geni. L’uomo nasce dunque incompleto e necessita di essere costruito
e di costruirsi
, fin da subito. La sua formazione avviene all’interno degli ambienti sociali in cui vive, variabili nel tempo e nello spazio e per questo essa parte dal locale. Ciò che viviamo e che definisce la nostra identità ci lascia però un certo margine, una certa libertà, atta a creare la nostra particolarità. La particolarità è dunque una condizione dell’identità e quanto più solida è, tanto più forte sarà la stessa identità. Allo stesso tempo, anche se paradossale, un’identità forte che intenda affermarsi sarà costretta a fare i conti con i limiti che presenta, pena l’ideologizzazione della stessa. Occorre dunque prendere coscienza, sia a livello individuale che collettivo, della propria identità per non rischiare di cristallizzarla
e, misconoscendo ciò che è estraneo ad essa, di promuovere l’intolleranza. Conoscere e riconoscere