Il problema dell'equilibrio
By Dario Lodi
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Il problema dell'equilibrio - Dario Lodi
Dario Lodi
IL PROBLEMA
DELL’EQUILIBRIO
Abel Books
Proprietà letteraria riservata
© 2012 Abel Books
Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.
Le richieste per l’utilizzo della presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura privata devono essere inviate a:
Abel Books
via Terme di Traiano, 25
00053 Civitavecchia (Roma)
ISBN 9788897513735
Premessa
Come stare in piedi ed essere sicuri di non cadere. Forse. E il forse riguarda sia la posizione eretta che la sicurezza di mantenerla.
Allora una peregrinazione consapevole e inconsapevole nel saputo e nell’immaginato, contaminata da interpolazioni opportune e inopportune, ma con la speranza e la certezza che tutto sia credibile e che tutto abbia un significato speciale.
Così il detto e ridetto, le posizioni assunte, gli azzardi, le visioni, i ghirigori e le concretezze hanno un senso. Così l’essere e l’esistere si battono per l’essenza totale non invano: vincono e perdono, rivincono e riperdono, soffrendo e pazientando sul filo della ragione che vorrebbe ragionare di più. Molto di più. Ci riuscirà?
Orientarsi
La presenza, ad un certo punto, della necessità di orientarsi, come se l’orientamento fosse possibile in un contesto di disconoscenza basilare della situazione in cui ci si viene a trovare. La base di partenza è una supposizione che si concretizza secondo parametri personali, strettamente personali, i quali, tuttavia, non esistono soli. Il trauma avviene allorché ci si ritrova costretti ad apprezzare altro da sé.
L’apprezzamento è in verità una scoperta di sempre maggiore portata, a mano a mano che il mondo si apre davanti ai propri occhi, e nel contempo viene aperto da una brama di vedere che si acuisce istante dopo istante.
Prima della corsa, ci si sofferma per forza sulla richiesta di consistenza del tutto e sulle risposte vaghe che derivano da una perspicacia zoppa, per difetti congeniti di cui non ci si capacita. Si presume altro da sé e pare di sentire questa presunzione come una certezza di superiorità rispetto all’ordinario. Inutile chiedersi se è veramente così.
Piuttosto, per quanto sia disperante, è inevitabile insistere sulla vera costituzione dell’insieme: di cosa è fatto, al di là delle attribuzioni personali?
Queste attribuzioni non danno l’impressione di prendere le cose come si deve e dunque permane il mistero di fondo. La propria baldanza, a questo punto, perde la bussola, vale a dire anche il senso della stessa. E’ qualcosa di irreparabile?
Apparenza e realtà
Le cose come appaiono e come sono.
Forse un eccesso di scrupolo interpretativo, oppure un timore di inadeguatezza. Un timore sotterraneo, soffocato. Alla luce del sole, il tentativo spavaldo di mettere in equilibrio apparenza e realtà. E’ un impresa possibile e forse non difficile. Trovare punti di contatto che ci sono. Riscoprirli, ripercorrerli, ricercare conferme, ritrovarle.
E’ un esercizio indispensabile, irresistibile, anche se mai si ammetterà di ricorrervi continuamente. L’importanza dell’apparenza pari a quella della realtà, come se la si conoscesse. Un riferimento relativo, l’apparenza, che diventa assoluto.
E non per un capriccio, ma per una convinzione certa, voluta fortemente e giustificata. Perché non considerare un’evidenza tanto marcata?
Essa è nella realtà, ne scrive la parte che conta. Esiste per questo scopo. Dunque non è apparenza. L’affermazione esita, poi è ferma, poi esita di nuovo e quindi è ferma di nuovo, sicura. Una sicurezza rassicurante.
Le immagini hanno spessore. Si viene a capo della faccenda, si pensa che l’affermazione abbia senso compiuto e completo. La completezza conforta. Il concetto di apparenza non insiste nell’opera demolitoria.
Lo si allontana, ma si vorrebbe cancellarlo. Si ritiene tuttavia che l’allontanamento equivalga ad una cancellazione. La tensione verso il mantenimento del senso di appartenenza al concetto di realtà si trasforma in certezza, doverosa, di tutelarlo. Non deve essere un miraggio, non deve essere una fantasia. Non è probabile, è possibile la convinzione per cui l’apparenza sia una sovrastruttura tremebonda e nulla più.
La verità è altrove, non è nella trepidazione per un abbaglio (sarebbe sminuente, porterebbe ad una miniaturizzazione della propria presenza, sino all’invisibilità). Ora una certa disinvoltura rincuora, dà coraggio, dà la cosa come fatta: il fine è raggiunto e lì deve restare: tutto è realtà.
C’è autenticità nell’apparenza, si è autentici, e la realtà dovrebbe tenerne conto.
Le cose sistemate a dovere e secondo diritto. A mente fredda, fermando il mondo, è corretto dire
che il senso di apparenza è decaduto per sempre. Resta da capire se la realtà ne sia pienamente al corrente. Ma forse lo è e questo è un bel viatico per procedere senza il timore di pensare, di agire e di sentire per un miraggio.
Meandri
Nei meandri di una rilassatezza involontaria e quindi alle prese con un potere decisionale allentato. Vige solo la preoccupazione di non ricevere troppo male. La mente libera nozioni e informazioni. Ha molta libertà. La fantasia vi collabora. Le visioni sono impastate di desideri confusi, male espressi, in lotta per il primato.
Ci sono inconsistenze parziali da sostenere, da rinvigorire.
I sentimenti, vecchi e nuovi, si sovrappongono, si confondono, sono tesi ingenuamente verso qualcosa di ideale: il soddisfacimento delle proprie pulsioni nascoste, una selvaggia voglia di vivere, la moltiplicazione del desiderio esistenziale e la ricerca della sua significazione assoluta. Ma il soffocamento delle aspirazioni attraverso la resa grottesca delle figure viste con
il terzo occhio, quello di una coscienza avvilita dalle troppe rinunce, impaurita, delusa. Probabilmente nulla di svenevole, ma certo una perplessità, persino forte, di fronte ad un’impotenza via via evidente: non si sanno fissare le cose, inchiodarle nella realtà e dunque fare realtà a tutto tondo. La superficialità crea rimpianti e i rimpianti, per quanto tenuti a bada, costringono ad un’esistenza minore, ad un mondo minimo minimo, dove avviene il poco indispensabile ad una vana sopravvivenza. Si sopravvive sapendolo?
Controllo e partecipazione
Sarebbe bene avere del controllo. Per quel che vale, ma vale. Qualcosa occorre pur fare per convincere la realtà che si è reali.
Lo si è anche quando c’è della negatività, pur senza condividerla, pur non essendone consenzienti e quindi complici del delitto. Però si può essere comprensivi e indulgenti. La coscienza deve vigilare per rispetto di se stessa, pur facendo parte della realtà che non rispetta alcunché. La coscienza ha la vocazione di non essere indeterminata. Pensiero e azione hanno un senso o devono arrivare ad averlo. Quel senso deve possedere lo spessore di una cosa da opporre ad una cosa reale: ecco, posso cambiare la seconda