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Un segreto è come una bugia
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Un segreto è come una bugia

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About this ebook

Il passato è passato. Ma il passato di Cristina ha un nome: Massimiliano Fosco. Il suo fantasma, compagno silenzioso onnipresente, la perseguita dall’estate di 15 anni prima. Dalla sua morte, la donna non ha commesso errori, diventando maniacale nel programmare la sua esistenza, perché consapevole che una piccola disattenzione ha decretato per sempre una svolta nella sua vita. Quando un grosso cliente sta per siglare un contratto milionario, Cristina riceve una telefonata. All’altro capo del telefono, un uomo, dice di conoscere il suo segreto, quello con cui ha dovuto dolorosamente convivere e, che, la lega alla morte di Massimiliano. L’apparente suicidio di un ex-allenatore di basket mette in moto una serie di eventi, che coinvolgerà, prima lo psicologo Michele Segreto, poi Angelina Velasquez e il capitano Raniero, chiamati a investigare. Il paziente lavoro investigativo e le intuizioni di Segreto, porteranno lentamente a far luce sui retroscena della morte di Massimiliano e del suo allenatore. Così, affrontando i fantasmi del passato, dove tutto ha avuto inizio, Cristina potrà espiare le sue colpe, e sciogliere i legacci che hanno tenuto prigionieri i protagonisti di quella estate. Biografia: Roberta Bianchessi, lettrice appassionata, ha iniziato a scrivere giovanissima. La scrittura è per lei come un ponte, tra il mondo reale e quello fantastico, dove ama ogni tanto rifugiarsi. Quando può, ama viaggiare e immergersi nei luoghi che visita, che per lei sono uno spunto per dar forma alle sue storie e ai suoi personaggi. Il romanzo “Un segreto è come una bugia” è la sua prima opera pubblicata
LanguageItaliano
PublisherYoucanprint
Release dateMay 24, 2018
ISBN9788893323581
Un segreto è come una bugia

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    Un segreto è come una bugia - Roberta Bianchessi

    twitter.com/youcanprintit

    A Red

    che mi ha lasciato un vuoto nel cuore

    e tanti bei ricordi

    PROLOGO

    Ci sono luoghi nella vita che restano indelebili nella nostra memoria, come un’istantanea. Posti che la mente umana riesce a ricostruire come un immenso puzzle. Alcuni sono piacevoli, legati a ricordi che sanno scaldarci il cuore e far apparire sulle nostre labbra stanche un sorriso.

    Io però ne conservo nitida l’immagine di uno in grado di provocarmi solo una profonda angoscia: è il luogo maledetto dell’estate dei miei 11 anni, l’estate in cui la mia vita è cambiata per sempre.

    Questo posto spaventoso, con le sue grigie pareti scrostate e le piastrelle sbeccate che il sangue sta cominciando a tingere di un rosso brunito, è il luogo dove mi trovo adesso.

    Non sto sanguinando, eppure sto morendo. La mia bocca spalancata è incapace persino di gridare, un velo scarlatto mi ottenebra la vista e quei suoi occhi accusatori mi si parano davanti, eterni, come ogni notte da quell’estate.

    Non avevo diritto di vivere questa vita, il debito che ho contratto quel giorno mi ha lentamente consumata. Forse, ponendo fine alla mia esistenza, potrei riscattarmi almeno ai suoi occhi.

    Però… ho paura di morire.

    Le lacrime gelide mi solcano le guance in fiamme, bagnandomi le labbra fino a farmi assaporare quel loro sapore acre.

    Annaspo, quasi speranzosa di salvarmi, con un alito di disperazione che mi sconquassa il corpo mentre il tuo Angelo Vendicatore grida forte il suo dolore esigendo la mia vita per la tua.

    Capitolo 1

    - Ė rosso tiziano, guarda quant’è bello! – ridacchio sputando un po’ di birra.

    - Ma se non sai nemmeno com’è il rosso tiziano! – sbotta lui canzonandomi – Fino a un attimo fa parlavi di rosso carminio – incalza divertito, ridendo sguaiatamente.

    - No, non è rosso carminio – protesto subito stringendomi nelle spalle con un vezzo quasi aristocratico – Rosso carminio è il colore delle labbra di Rachele – puntualizzo con aria saccente, stiracchiandomi – questo è proprio rosso tiziano.

    - Non ho mai visto una farfalla rossa – sospira voltandosi e incrociando i miei occhi.

    Sorrido, il suo tono di voce è così caldo che mi ci potrei avvolgere e forse non sentirei più quest’aria gelida che mi sta facendo tremare.

    - Non credevo l’avresti fatto veramente… - sospira sfiorandomi la guancia con due dita, come se delineasse i contorni del mio viso, proprio come un cieco – sei tutta matta! – mi sfiora le labbra con un bacio e il suo odore mi si incolla al corpo.

    - Chissà… quella polverina che hanno sulle ali… se ne avessi un poco anch’io… - sto dicendo delle scemenze, la birra mi sta dando alla testa. Getto a terra la lattina vuota e il rumore metallico echeggia in questa notte silenziosa – mi piacerebbe volare via – sussurro, socchiudendo gli occhi.

    Lui scoppia a ridere, mentre versa altra birra che mi inzuppa la maglietta, ne ingolla un altro sorso senza smettere di fissarmi. La maglietta è diventata trasparente e il reggiseno di pizzo lascia intravedere le curve abbondanti che mi sono cresciute nell’ultimo anno.

    - Dai spogliati - dice su di giri, passandosi la lingua sulle labbra screpolate – fammele vedere meglio – mi alita sul collo mentre infila le dita sotto il tessuto umido – voglio proprio sentirlo il sapore della birra sul tuo corpo.

    - Sei un maiale – protesto arricciando le labbra, mentre sollevo le braccia per sfilare la maglietta. Le sue mani si chiudono a coppa sopra il pizzo bagnato, facendomi tremare – Continua - imploro.

    Il calore delle sue dita sul mio corpo mi fa sussultare. Inizia il suo gioco, scostandolo lentamente e avvicinando le labbra alla pelle morbida.

    L’unico desiderio che ho in questo momento è assecondarlo, essere sua.

    07 luglio 2013

    10 giorni prima

    Michele Segreto chiuse il fascicolo con un gesto stanco, come se, tutta la sua vitalità, si fosse esaurita in quell’istante.

    Da quando quella donna aveva iniziato le sedute era la prima volta che, dopo essersi sdraiata pacatamente sul basso divanetto in pelle, in un silenzio quasi assoluto, iniziava a raccontare la sua storia.

    Una storia complicata, sedimentata nel lento ma inesorabile scorrere degli anni.

    Improvvisamente aveva voluto dar voce ai ricordi.

    L’immagine di quella farfalla rossa aveva preso forma nella sua mente, con contorni così nitidi che non era servito che gliela mostrasse. Ogni singolo tratto era intriso di un ricordo, di una sensazione, di un umore… era, come dire, evocativa!

    L’ombra di lei aveva appena lasciato lo studio, che già una sensazione spiacevole iniziava a prender forma stringendogli la bocca dello stomaco. Fece una smorfia come a voler scacciare via quel sentore.

    Eppure, nelle carte lasciate da Massimo Tacito, non riusciva a cogliere quell’improvviso cambiamento umorale. Era come se si fosse aperta, senza ragione, quasi a volerlo lasciare sbirciare tra i frammenti della sua esistenza, in punta di piedi, senza alcun preavviso.

    Nei quindici anni di esperienza che aveva sulle spalle, quella era la prima volta che un paziente ritroso si era aperto così all’improvviso, quasi incapace di contenere oltre la storia che aveva tanto faticato a nascondere.

    Si massaggiò la radice del naso con l’indice e il pollice, descrivendo con i polpastrelli la fossa che si era scavata negli anni a forza di posarci sopra gli occhiali.

    Aveva voglia di una sigaretta, maledizione!

    Erano due settimane che aveva smesso di fumare e adesso, inaspettatamente, desiderava una sigaretta.

    Tamburellò sul piano di ciliegio scuro, scostando stizzito la cartelletta di Tacito così consunta sugli angoli, eppure integra nonostante i 17 anni che si portava appresso. Una paziente storica, avrebbe detto lisciandosi la corta barbetta, una di quelle però di cui non era riuscito a cogliere l’essenza.

    Forse, nemmeno lui l’aveva scorta in quei mesi, alla ricerca di un sentiero che poi, improvvisamente, aveva percorso ad occhi chiusi lei stessa, quasi lo conoscesse da una vita.

    Ma non era abituato ad affidarsi al caso. Se aveva scelto quel momento, doveva esserci una ragione.

    Il display del telefono si illuminò, spezzando il turbinio di quei pensieri. Premette il pulsante e l’accostò all’orecchio.

    - Hai tempo per un caffè?

    - Se calzi le ali di Hermes e mi raggiungi entro cinque minuti, ho un buco tra un paziente e l’altro – rise, stropicciandosi gli occhi con l’indice.

    La porta si aprì lentamente e la massa di capelli biondi fece capolino, rivelando un sorriso sornione che mise in bella mostra i denti perlacei.

    - La mia vettura a motore è abbastanza veloce per non scomodare un Dio – sentenziò chiudendo il telefono con un gesto affettato ritrovandosi ad osservare la sua espressione stupita.

    Attraversò la stanza ancheggiando sui vertiginosi tacchi che contribuivano a slanciare la sua figura, si fermò davanti a lui assumendo un’aria compita.

    - Caffè? – ripeté.

    - Caffè – confermò afferrando il fascicolo e lasciandolo cadere nel cassetto che subito richiuse con un giro di chiave.

    Quella mattina Angelina sembrava più spumeggiante del solito, persino l’ingombrante borsa in pelle contribuiva a rendere la sua figura più dinamica.

    - Sembri soddisfatta – sussurrò, aggrottando la fronte.

    - Detto da uno psicologo deve essere vero – sentenziò infilando gli occhiali scuri nel taschino della giacca.

    Le porte dell’ascensore si aprirono e i due raggiunsero la caffetteria e presero posto al bancone. Un cenno appena e Nino si mise all’opera per preparare due caffè napoletani.

    - Mi hanno promossa – confessò d’un fiato.

    - Angy, è un’ottima notizia! – nei suoi occhi lo stupore si colorò di entusiasmo – Te lo dicevo che finalmente avresti lasciato la scrivania.

    Lei si limitò a stirare le labbra con piacere.

    - Seguirò Raniero – riprese con entusiasmo mentre osservava la tazzina fumante davanti a sé – starò sul campo, dovrò fare molta gavetta – precisò ridendo.

    - L’esperienza dietro la scrivania ce l’hai – disse convinto, sorbendo la miscela corposa. – Brindiamo stasera come si deve - propose.

    Il suo sorriso lo sciolse in un istante, lasciando trapelare l’euforia che aveva faticosamente celato di fronte a lui.

    - Ti chiamo più tardi – promise deponendo la tazza vuota e sfiorandogli la guancia con un bacio.

    La osservò lasciare il bar, con quella sua andatura aggraziata che gli ricordava il portamento di un cigno, così diversa dall’Angelina che, due anni prima, si era letteralmente scontrata con lui in quello stesso bar.

    Sorrise ripensando al loro incontro, sfilò qualche moneta e la lasciò sul bancone facendo appena un cenno di saluto.

    Diede un’occhiata all’orologio, avrebbe appena fatto in tempo a tornare in ufficio. Il suo ultimo cliente sarebbe arrivato a minuti.

    Sto sognando lo so. Sono ancora a quel giorno d’estate, l’estate dei miei 11 anni.

    Apro gli occhi e prego che sia stato solo un brutto sogno, uno di quelli che, quando finalmente ti svegli, ti regala un sospiro di sollievo perché la realtà è un’altra, più sopportabile.

    Sono ancora vestita.

    Indosso l’abito colorato sopra il ginocchio che ho comprato la settimana scorsa, al mercato con la mamma, un sandalo è ancora allacciato alla caviglia mentre l’altro è a terra, il laccio è spezzato ed è completamente incrostato di fango.

    Ricordo solo di essermi buttata sul letto senza una parola, affogando il terrore che mi ha ammutolita contro le lenzuola pulite che sanno ancora di bucato steso al sole: l’odore della nonna.

    Adesso mi ricordo, sono in campagna. La mamma mi ha lasciata dai nonni mentre papà si sta spegnendo in un letto d’ospedale a Milano.

    Le lacrime mi scivolano silenziose giù per le guance, soffoco i gemiti e i ricordi riaffiorano all’istante violenti e troppo vividi, come lo sono ormai, i tuoi occhi spalancati e pieni di terrore. Occhi che mi accusano di non aver fatto niente per te.

    L’odore della terra bagnata mi riempie le narici. Ho le unghie sporche, devo essere caduta mentre correvo. Scostando appena lo sguardo, mi rendo conto dello stato pietoso in cui mi trovo: l’abito è ancora umido e incrostato di terra, ho delle foglie e dei fili d’erba tra le balze e le ginocchia sono chiazzate di fango. Ho graffi sulle braccia e sulle gambe e le ginocchia sbucciate.

    Sono viva, mentre tu…

    Mi sollevo come se qualcuno mi avesse afferrato con forza per i capelli e corro in bagno scivolando sulle fredde piastrelle del corridoio. Faccio appena in tempo a sollevare la tavoletta e rigetto tutto quello che ho nello stomaco. Per un attimo sembro svuotarmi di tutto lo schifo di cui mi sono riempita, ma poi, il tuo peso, mi incurva nuovamente e capisco di non poterlo sorreggere.

    Assassina!

    I tuoi occhi non mi lasciano più, ogni notte, ogni volta che cercherò di dormire, lo so, il tuo ricordo mi perseguiterà.

    Mi sveglio al centro del letto col corpo imperlato di sudore, come ogni mattina quando tu ti infili nei miei sogni e mi ricordi, eternamente, quanto io sia stata meschina.

    Appoggio i piedi a terra, prima il destro e poi il sinistro, come un passo di danza e a lunghe falcate, raggiungo il bagno. L’acqua fresca porta via con sé parte dell’ansia, mentre lentamente, i miei occhi si fissano sulla mia immagine riflessa. Ho quasi 30 anni, ma il mio sguardo, sembra aver perso la giovinezza che non ho mai vissuto.

    Mi ritrovo a fissare il quadrante dell’orologio sulla mensola del lavandino, una piccola piramide rossa con una punta trasparente che si illumina quando parte il timer. Lo schermo si colora di rosso, verde o blu quando la sposto, e anche se la capovolgo, l’immagine del quadrante torna ad allinearsi mantenendo la sua stabilità. Forse, è proprio questo il motivo per cui l’ho comprata, ho bisogno di punti di riferimento nella mia vita e quest’orologio è un buon inizio.

    Almeno questo è stato il mio pensiero quando l’ho acquistato.

    Dopo aver socchiuso gli occhi per un istante, quasi disgustata dal fatto che questo nuovo giorno abbia avuto inizio, mi trascino silenziosa fino alla cucina camminando in linea retta lungo la sottile stuoia che ricopre il corto corridoio.

    Cinque minuti soltanto, mi ripeto: è il tempo di ogni mia colazione da quell’estate in cui la mia vita è cambiata.

    Sono ormai ricordi sbiaditi le interminabili colazioni condite dal cicaleccio della radio e quattro parole sputate fuori mentre ingollo litri di succo di frutta, ingurgitando ogni tipo di dolce, e ignorando la voce pacata di mia madre che cerca una qualsiasi forma di conversazione tra noi. Ora la mia colazione è una tazza fumante di caffè, lungo e amaro, e una barretta dietetica.

    Controllo ancora una volta l’orologio, mi infilo il tailleur e le scarpe con un poco di tacco che ho scelto per l’occasione. La borsa è ancora posata sul divano dove l’ho lasciata la sera prima. Un'altra occhiata all’orologio, e dopo aver sciacquato la tazzina, la afferro ed esco.

    Chiudo con un tonfo secco la porta, tre giri di chiave, uno sguardo fugace al pianerottolo e inizio a scendere i gradini, due per volta, come faccio sempre quando sono di fretta.

    Il rumore del traffico mi sfiora appena, ormai ci sono abituata, anzi il silenzio mi spaventa. Scompaio nella metropolitana e conto le fermate senza guardare nessuno. Socchiudo gli occhi quasi per cancellare persino le ombre di coloro che mi stanno vicino. Ho le cuffie dell’MP3 infilate nelle orecchie anche se il riproduttore è spento. Non sono brava a relazionarmi con le persone, nonostante la terapia e le interminabili sedute a cui mi sono

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