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Progetto Terra 2017
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E-book256 pagine3 ore

Progetto Terra 2017

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Info su questo ebook

C’è un genere di narrativa che ha, come caratteristica principale, la capacità di creare immagini. E’ questa una peculiarità che pochi posseggono e che necessita di una grande fantasia e un grandissimo mestiere. Scrivere per immagini, permettere al lettore di vedere la storia, arricchendola di minuziosi particolari, mai stucchevoli, e non trascurando di caratterizzare i personaggi e le ambientazioni.

Marco Milani ci riesce ottimamente narrandoci di una Terra ambita da altri dei, i quali, seppur potentissimi, sono tanto antropomorfi da sembrare niente di più che nostri padri antichi, fortemente evoluti e padroni delle più ardite tecnologie bio-robotiche.

Un gruppo di ragazzi scanzonati e pragmatici, non facilmente impressionabili… una avventura dietro l’altra, immagini tra l’onirico e il fantascientifico puro… una spruzzatina di horror e di tecnologia, ed ecco quell’oltre tanto più grande di noi da non poter neanche essere immaginato. Alla fine però della storia ci restano gli uomini…

Chi vincerà o chi perderà poco importa, in fondo, i più forti sono proprio gli umili, quelli che non vogliono usare la violenza, ma che, se proprio tirati per i capelli, sanno reagire da autentici combattenti senza arrendersi mai.
LinguaItaliano
Data di uscita3 dic 2011
ISBN9788896086209
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    Anteprima del libro

    Progetto Terra 2017 - Marco Milani

    Edizioni DIVERSA SINTONIA

    CONNECTIVA 4

    Marco Milani

    PROGETTO TERRA 2017

    Romanzo

    E-BOOK

    EPUB version

    -

    Copertina, immagini, impianto grafico e impaginazione

    by EDS & DOMIST

    -

    Editing definitivo

    by Vito Introna - http://edorzar.ucoz.com

    -

    ISBN: 978-88-96086-21-6

    Pubblicato in formato elettronico

    per concessione dell’autore a

    www.edizionidiversasintonia.it

    Copyright © 2011 Marco Milani

    Tutti i diritti riservati

    -

    Edizione cartacea originale © 2010 Marco Milani

    ISBN: 978-88-96086-11-7

    -

    Edizioni DIVERSA SINTONIA © 2011

    -

    Marco Milani

    PROGETTO TERRA 2017

    -

    Edizioni DIVERSA SINTONIA

    -
    PREFAZIONE

    -

    C’è un genere di narrativa che adoro, quella che ha, come caratteristica principale, la capacità di creare immagini. È questa una peculiarità che pochi posseggono e che necessita di una grande fantasia e un grandissimo mestiere. Scrivere per immagini.
    Tutti i critici concordano sul fatto che la mia scrittura sia appunto così, quindi sono sempre felicissimo quando incontro altri autori che permettono al lettore di vedere la storia, arricchendola di minuziosi particolari, mai stucchevoli, e non trascurando di caratterizzare i personaggi e le ambientazioni.
    Marco Milani ci riesce ottimamente narrandoci di una Terra ambita da altri dei e trattando questo argomento, che riprende antichi sospetti, in maniera originale, con una umanizzazione degli stessi dei i quali, seppur potentissimi, sono tanto antropomorfi da sembrare niente di più che nostri padri antichi, fortemente evoluti e padroni delle più ardite tecnologie bio-robotiche.
    Prendete così l’apposito contenitore per cocktail, metteteci dentro la Pianura Padana, un gruppo di ragazzi scanzonati e pragmatici, non facilmente impressionabili, una avventura dietro l’altra, immagini tra l’onirico e il fantascientifico puro, aggiungete una spruzzatina di horror e di tecnologia, poi scecherate il tutto e tirerete fuori qualche ora di piacevole lettura capace di sradicarvi dal banale quotidiano e di condurvi oltre le nubi terrestri, in quell’oltre tanto più grande di noi da non poter neanche essere immaginato.
    Alla fine però della storia ci restano gli uomini… pardon, i ragazzi, che combattono la lotta cosmica tra i Creazionisti e gli Arcaici, Altri dei si contendono la Terra. Chi vincerà o chi perderà poco importa, l’autore vuole dimostrare che, in fondo, i più forti sono proprio gli umili, quelli che non vogliono usare la violenza, ma che, se proprio tirati per i capelli, sanno reagire da autentici combattenti senza arrendersi mai. Un insegnamento più o meno implicito di cui dovremmo fare tesoro.
    Marco Milani non può però farci mancare quello che credo sia il suo genere preferito, l’horror. Con consumata abilità c’immerge in una lotta tra i nostri giovani eroi e gli zombie che, seppur creati e guidati da menti aliene ultraterrene, conservano tutta l’umanità della disumanità di combattere da morti. In questo c’è un sottile messaggio: il combattente perfetto è il combattente già morto, quello, appunto, che non può essere ucciso.
    Ma il finale si apre a scenari forse sorprendenti, forse scontati, dipende da ciò che ciascuno di noi crede e pensa, anzi, dipende da ciò che ciascuno di noi vuole credere e vuole pensare.
    Che poi l’autore stesso possa identificarsi nel primo cavaliere, il più importante dei combattenti del suo romanzo, pare scontato, perché chiunque scriva una storia cerca di calarla nella propria realtà, quasi sperando che qualcosa di alieno accada nel proprio disperso paese smarrito tra le nebbie impalpabili.
    Alla faccia di chi ha detto che un disco volante non può atterrare a Lucca.

    -

    donato altomare

    -

    PROLOGO

    Il corridoio è completamente deserto.

    Nessun movimento. Assolutamente niente a turbare la totalità di un silenzio imposto.

    Tutti stanno dormendo.

    JC201 ruota l’auricolare superiore destro nel tentativo di captare un qualsiasi rumore che denoti una presenza. Nulla e nessuno. Sarebbe stato anormale il contrario. Ricontrolla a destra e sinistra per ulteriore sicurezza, ma non vi è interruzione nella quiete totale della pseudo-notte, sono tutti collegati all’isolatore di sonno indotto e ci resteranno fino alla scadenza del periodo di riposo standard, almeno altre quattro ore Moebius.

    Oltretutto, nessuno ha il minimo motivo di sospettare. Però…

    Verifica un’altra volta e intanto nel suo petto il ritmo alternato dei due cuori è accelerato a dismisura, la saliva si condensa in placche cheratiche costringendolo a deglutire in mancanza di un contenitore proplac. Quando tutti dormivano i proplac fissi si intorpidivano sensorialmente in fase digestiva fino alla conclusione del periodo, rimanendo inutilizzabili, e lui non poteva di certo farsi seguire dal suo proplac personale senza che qualcuno se ne accorgesse. Non era in ogni caso una faccenda insormontabile, prima di iniziare la trascendenza le placche dovevano rimanere in formazione per almeno due ore Moebius e non sarebbero rimaste nel suo stomaco così a lungo, avrebbe agito efficacemente e rapido, e sarebbe tornato al suo alloggio risolvendo con la dovuta calma la situazione. L’illuminazione rosa ionizzante del corridoio è tanto parca quanto irritante.

    D’altronde i batteriofagi per ripulire devono muoversi attraverso quella frequenza luminosa. JC201 ricordò le parole di Coyb3, il tecnomeccano manutentivo del suo settore, in una delle sue disquisizioni sull’importanza dell’equilibrio biologico all’interno delle navi. Probabilmente la preoccupazione non è causata dalla tonalità in corridoio e nemmeno dalla frequenza… forse è solo paura, pensa, un timore smodato di essere scoperto. Nella sua assortita varietà di esternazioni da semplice ansia all’estremo terrore, sa che la paura è una reazione illogica e come tale si attiva anche quando non ve n’è motivo reale.

    Non è possibile che se ne accorga… non dovrebbe essere possibile!

    Non importa, ormai ha deciso di rischiare. Un primo passo oltre la porta e… qualcosa gli sfiora la gamba. È un passaggio leggero, affine al soffione della pulitura in reintegro quando sta per smettere di funzionare completando il suo lavoro di disinfezione, rilasciando un fievole e lento movimento d’aria per alcuni evanescenti attimi. Riconosce quasi all’istante la presenza e l’urlo gli si smorza in gola prima di uscirne inasprito. È Bibì, il gatto-droide.

    La tensione si affievolisce in un filo d’angoscia con l’istinto che gli consiglia irrazionalmente di prenderlo a calci. È solo un momento. Si china, quasi arrivando ad appoggiare entrambi i perni del ginocchio destro a terra dietro il piede e rimanendo in equilibrio precario. Lo accarezza teneramente. Ciao piccolo lo pensa soltanto. Il gatto-droide si spende abbondantemente in fusa, si struscia e poi se ne va per la sua strada.

    È ora di andare si dice JC201 riconcentrandosi per proseguire nella sua azione. Richiude la porta della camera dietro di sé facendola sfilare con un tocco al sensore manuale e imbocca il corridoio verso sinistra alla derivazione a T, senza alcun indugio. Cammina lentamente, forse anche con troppa lentezza. Non deve provocare il benché minimo rumore o potrebbero riattivarsi i sensomoventi, pur se programmati in funzione economia durante il periodo di sonno indotto per la notte virtuale. Svolta a destra, nuovamente a destra, si immette a sinistra giungendo all’incrocio delle due traverse principali e infine dritto. Continua ad avanzare con la massima cautela.

    La notte può fare un gran baccano all’interno della sua silenziosità, se è l’inquietudine a tenerti compagnia.

    Eccolo!

    In fondo appare l’ingresso del reparto operativo.

    L’emozione riesce a sciogliere almeno in parte l’apprensione. Trema leggermente. Ora gli rimane solamente da oltrepassare quell’ultimo uscio e immergersi nei meandri del potere, del possesso, della forza, della costruzione. E senza proibizioni…

    L’impronta della sua frequenza neurale è registrata a bordo senza ambiti vietati, nessuno avrebbe potuto minimamente immaginare che avesse quelle intenzioni. Nemmeno lui, effettivamente. Tende il braccio in avanti e in alto, raddrizza tutte e quattro le articolazioni per compensare la sua bassa statura e puntando l’emblema nel circolo al centro dell’accesso. Subito l’ostacolo è rimosso, la chiusura scompare in uno sfrigolio appena luminescente di particelle essenziali.

    Soddisfazione gli attraversa il sistema nervoso caricandolo come una molla Still. Continua ad avanzare, mentre luci soffuse in ioni rosati tendono ad accompagnarlo infiammandosi progressivamente di giallo, arancio e rosso davanti, e affievolendosi alle sue spalle con un lento movimento ondoso multicolore, passando dallo scintillante, all’offuscato, alla quasi oscurità, fino a tornare ai toni d’origine uniformandosi in un moto costante simile ai sonnolenti movimenti dell’acqua di un grande e pacifico oceano primordiale.

    L’ultima svolta è poco più avanti. JC201 accelera e un attimo dopo un’ondata di calore a induzioni magnetiche lo investe. Percepisce un brusio di sottofondo nelle cavità uditive, con gli auricolari che raccolgono attraverso le pareti le basse onde di macchinari in funzione. Il trovarsi lì, a un passo dal suo obiettivo in istantanea presa d’atto, lo travolge in un vortice emozionale. Ravvisa i particolari espansi e offuscati captando l’insieme rallentato, ma sono i suoi occhi a tradire la realtà e il suo cervello che elabora con le sensazioni invece che con la logica. Gli gira la testa e fremono le articolazioni, il tratto finale del corridoio diventa lunghissimo e gli ultimi movimenti, infiniti, si concludono pesantissimi. Il bisogno istintivo è di connettersi a una delle tante boccole d’alimentazione che gocciolano lì intorno, però resiste.

    Rimane ancora uno sforzo per accedere a Biocom. Tende titubante la mano e il blocco di enersolid svanisce accompagnato dal consueto sfrigolio. Entra, a piccoli passi timorosi e riverenti.

    Tutto un altro universo… è una presa d’atto obbligatoria.

    Il blocco si ripristina immediatamente. Il piccolo comparto stagno risultante ha prodotto l’effetto utero, la chiusura di una fase e la rinascita in qualcosa di completamente nuovo. JC201 è solo, isolato. La tensione lo abbandona, scemata tanto rapidamente come non fosse mai esistita, lei e tutto il resto degli accadimenti dalla sua entrata in azione. L’istante successivo è mentalmente indirizzato in se stesso. Null’altro esiste. Si accomoda privo di qualsiasi remora, le frequenze di scansione cerebrale allertate come se attendessero un messaggio da decodificare…

    -

    - Contatto.

    Biocom vibra, risponde prontamente ed esegue.

    - Entra in Progetto Terra 2017.

    Biocom risponde prontamente ed esegue di nuovo. Questo è il suo compito.

    Biocom è il computer-biologico della nave. Ne è il cervello, ne è la vita, un intricato compendio di conduttori biologici a espansione empatica dai risultanti polivalenti in un’insiemistica complessa, irreprensibile specchio di realtà analogica che si risolve e funziona in stati senza sostegno esterno. Basta chiedere, la sua funzione base è rispondere ed eseguire, sempre.

    JC201 sorride soddisfatto, alla sua prima volta senza controllori.

    - A noi due.

    -

    PARTE 1

    LA STORIA

    Gli dèi si strinsero le mani, poi estrassero a sorte e divisero: il cielo andò ad Anu, la Terra fu soggetta a Enlil, ciò che il mare racchiude come un anello fu dato al principe Enki…

    "Nostradamus presagì la fine del mondo a scader di millennio.

    Altri prima di lui avevano previsto altrettanto,

    alla fine di ogni secolo e ad ogni possibile ricorrenza.

    L’anno duemila è trascorso.

    Pure il terzo millennio è cominciato, e siamo ancora qui.

    Anche Nostradamus non ha colto la previsione,

    oppure i suoi interpreti non si sono rivelati all’altezza del compito.

    Cos’altro ha previsto Nostradamus che non accadrà al momento stabilito?

    Oppure stavolta qualcuno è riuscito ad azzeccare qualcosa

    e con i tempi giusti?

    Lo scopriremo presto o tardi…

    altrimenti… pazienza.

    Vorrà dire che ci crederemo fino alla prossima delusione."

    -

    Capitolo 1

    Anno 2012. Ai primi anni del secolo e del terzo millennio.

    Un giorno di dicembre…

    -

    - Namastè! Anche per oggi la lezione di Yoga è finita.

    Il Guru in jitsugi nero riportò la luminosità nello stanzone a livello normale, spostando il cursore dell’antiquata lampada alogena poggiata sul pavimento. Corpi stesi sul tatami della palestra si stavano stiracchiando con una lentezza di movimenti tipicamente logica riprendendosi da tre minuti di respirazione completa e profonda nella ‘posizione del morto’. Savasana.

    Un lieve aroma d’incenso al sandalo non riusciva a mimetizzare l’odore costante di muffa, tipico dei vecchi capannoni in mattoni usati negli anni cinquanta del ventesimo secolo. Uno dei settori era stato adattato, ripulito e rimodernato, però la muffa era rimasta a ricordare che quel posto era, oltre che umido, un relitto d’altri tempi.

    Uno degli allievi era già in piedi. Stefano, look standard per un non ancora ventenne, rasato di fresco con un taglio a spazzola che lasciava appena intuire il colore scuro dei capelli e un rado pizzetto dislocato attorno a una bocca piccola e carnosa. Un paio di brufoli infiammati e rossi sulla fronte, leggermente e precocemente stempiata, facevano sottendere di non essere un prodotto dell’età ma di un fegato alquanto bistrattato. Un metro e settanta di tranquillissimo ragazzo dai lineamenti vagamente orientali e carnagione olivastra per sessantacinque chili di assoluta rigidità. Un tronco fatto uomo, parole del suo Maestro.

    Forse non era riuscito a rimanere concentrato abbastanza, piuttosto pareva avesse indugiato seduto su braci ardenti o puntine da disegno fino a quel momento. Situazioni che succedono, rimuginò tra sé. L’effetto risultante è l’assoluto contrario di concentrazione e indolenza, vale a dire distrazione, dispersione mentale e insofferenza. Non è sempre facile entrare mentalmente in Savasana, estraniandosi dal mondo intero e dai propri grattacapi. Quando ti distendi e cerchi di lasciarti andare fisicamente all’azzeramento, i pensieri spuntano fuori come funghi in quello che dovrebbe essere, a proseguire, un annullamento totale di attività mentali seguendo solamente la respirazione e i ritmici battiti di vita.

    La chiamata di fine lezione giunse come una liberazione.

    Anche Mattia si stava lestamente rialzando. Per lui era invece cosa normale, solitamente era il primo. Tempi personali di reazione. La rapidità era una delle sue caratteristiche insieme all’agitazione, e si notavano anche solo a osservarlo per pochi istanti. Mai fermo e magro all’inverosimile ricordava un elfo, o uno di quei fantastici personaggi delle leggende montane le cui statuine si ritrovano a vagonate nei negozi di souvenir. Pelle bianchissima e tirata su guance incavate, naso appuntito e un tantino storto, occhi sempre stretti e perennemente guizzanti in preda a un tic nervoso, piccoli anche se ingranditi dalla rifrazione delle lenti. Qualcuno ipotizzava che con gli occhiali, spessi rettangoli con montatura e impianto connettivo disattivato oramai fuori moda, ci fosse nato.

    - Ics! Mattia! Cosa fate già su! - li imbeccò Andrea, questo era il nome poco usato del ‘Guru’, insegnante di hatha yoga, percependo quelle due cose verticali sbagliate in mezzo al resto degli allievi ancora stesi o in posizione seduta tra i rettangoli rossi e verdi.

    - Non è sera - rispose Stefano scuotendo la testa con aria insoddisfatta e gli occhi che saettavano nervosamente a destra e a manca.

    - Neanche per me - si accodò Mattia guardandosi i piedi scalzi. - Sono un po’ di lezioni che non riesco a entrare in sintonia, non più di tanto. Eppure mi sforzo…

    - Può capitare - il tono di Andrea era consolatorio - va a periodi. Ci sono le fasi lunari, le tempeste solari, le emorroidi che bruciano, le mestruazioni. Capita anche a me.

    - Lo sappiamo! - balzarono fuori all’unisono dal resto del gruppo quattro o cinque commenti di cui solo questo comprensibile. Quasi tutte voci acute.

    - Cosa capita anche a te. Le mestruazioni? - Una serie di risate seguì la singola annotazione giunta da voce tagliente e femminile.

    - Oh! Cosa volete dire? - Andrea finse una reazione sorpresa accompagnata a un sorriso che non riusciva a trattenere.

    - Fai tu! - affermò la ragazza seguitando dalla battuta precedente. Aveva capelli biondi acconciati a caschetto. Non molto alta, era esile come un ramo di pioppo e sorrideva apertamente in un’espressione solare.

    - Mmh! - grugnì di rimando Andrea senza proferire altro e voltandosi verso il muro di fondo. Mosse due passi, posò abilmente le mani a terra e con una spinta decisa portò le gambe al cielo restando sollevato in posizione capovolta, i piedi a pochi millimetri dalla parete.

    Dipinta a base bianca, le tracce d’umidità oscuravano alcune crepe nell’intonaco che la tinta avrebbe dovuto nascondere. La parete di fondo era originalmente contraddistinta da una serie di simboli new-age disegnati tra cui spiccavano un sole ridente, un’elegante mezza luna, il simbolo yin e yang in bianco e nero, l’aum classico e un fiore di loto giallo e verde che pareva stilato con i pastelli.

    Intanto gli allievi, per la maggior parte donne e ragazze, si erano avviati agli spogliatoi. Ulteriori risate si rimestavano al brusio delle iniziali chiacchiere post lezione. Mattia era stato il primo a eclissarsi, cosa che gli riusciva benissimo. Rimaneva solo Stefano, distratto se non ipnotizzato dalla musica, che dallo stereo stava ancora suonando una Sinfonia della Pioggia di un autore non ben definito, dal cognome che immaginava come slavo o perlomeno dell’est Europa. Gli piaceva quella musica strumentale, si era anche fatto copiare il disco.

    Andrea ritornò in posizione normale dopo una decina di secondi emettendo, nello sforzo, il suo ‘urlo di guerra’ molto simile a quello di un gorilla incavolato e tutt’altro che yogico.

    - Guru! Cazzo urli?! - sbraitò con foga Stefano tornando alla realtà da chissà quale mondo alternativo. Sorrise vedendo il suo maestro con i capelli lunghi scompigliati, arrossato in volto come un bevitore irlandese e con la giacca sbiadita dello jitsugi quasi in bocca, la pancia scoperta. Sembrava un incrocio anomalo tra un Buddha magrissimo e un Ghandi troppo grasso, ovvero oltre cinquant’anni di adolescente bruciato dal sole e geneticamente selvaggio con sprazzi di civiltà.

    - Oh, testina di ramarro… Vieni in discoteca alla Rocca? - gli chiese riassestandosi la giacca e tentando di ridarsi un minimo di contegno e formalità. - Ci facciamo qualche spritz, due salti…

    - Non mi va - rispose.

    - Allora al Burly, senza salti - propose, passandosi le mani dalla fronte all’indietro compattando la chioma grigia e bianca stonata da qualche nera rarità. L’elastico dal polso passò a fermare una coda con gesto acquisito d’esperienza.

    - No! Non mi va proprio di andare in nessun posto - calcò Stefano.

    - Cos’hai?

    - Niente di particolare. Non mi va di andare in giro - spiegò con un tono che tagliava definitivamente il discorso. - Adesso vado a casa, mangio e mi butto a letto.

    - Andiamo venerdì, finita la lezione? - ritentò.

    - Non lo so.

    - Fanculo Ics!

    - Non lo so! Non faccio mai programmi a lunga scadenza… - intanto che finiva la frase Andrea lo agguantò e gli tirò una proiezione di Ju-Jitsu, un Kubi Nage pulito, abbrancandolo per il collo, girandolo e spazzandogli via entrambe le gambe verso l’alto, fino a scaraventarlo a terra davanti a sé dopo una piroetta per aria.

    Iniziarono a sviluppare un combattimento corpo a corpo al tappeto, per gioco. Era cosa normalissima. Si distraevano solamente per salutare la gente che se ne andava e faceva capolino dall’anticamera

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