Il Limite Delle Parole
By Pia Levy
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Il Limite Delle Parole - Pia Levy
solo.
I
Cara E., penso proprio che dare un nome alle cose sia molto importante, anzi, vitale. Perché i nomi sono le cose e senza i nomi non si possono attribuire aggettivi e non si può dunque sapere, senza aggettivi, se la cosa di cui si parla è bene o male.
Così senza nomi e senza aggettivi, cioè senza parole, non si sa dove siano il bene e il male e si rischiano errori anche gravi, talvolta perfino fatali.
Le parole sono importanti, cariche e pesanti come sono del loro significato; bisogna sceglierle con cura quindi, cara E.
Qualche volta, come i sassolini della favola, servono per non perdersi segnandoci la strada; come gli aghi calamitati della bussola, indicano la giusta direzione, sentieri fosforescenti verso i punti cardinali della nostra coscienza.
A volte ci aiutano a decollare per poi planare piacevolmente su pensieri sereni, su riflessioni assennate.
Per prendere quota poi, l’avrai certamente sperimentato chissà quante volte, dobbiamo liberarci dai pensieri pesanti. Essi sono incarcerati dentro parole dure, pericolose, che una volta lanciate lasciano il segno e che, inesorabilmente, ci vogliono riportare a terra, sottoterra addirittura, grevi e definitive come pietre tombali.
Molta attenzione, dunque.
Sono persuasa che alla fine, prima che la luce si spenga per sempre, saranno le cose significative della nostra vita, quelle veramente importanti che ci torneranno in mente, rimorchiate come navi nel porto da parole conosciute, parole dal suono amico. Ed è tutto.
E chissà se a quel punto, proprio subito prima di congedarci, non ne avremo capito qualcosa di più.
Speriamo almeno che tutto non sia stato inutile.
II
A Maria pareva di vederlo mentre scendeva giù per la via distrattamente, con la sua tipica camminata a lunghi passi lenti. Camminava come chi non ha fretta e anche come chi non deve preoccuparsi di nulla se non di problemi grandissimi, tanto grandi da non esserci.
Dava proprio l’impressione di una persona con una tale coscienza di sé da non doversi interessare dello sguardo degli altri.
Camminava senza fretta nelle belle scarpe inglesi dalla suola robusta, suola che ti allontana dalla terra attutendone il contatto. Emanava una grande sicurezza mitigata da una discrezione forse un po’ affettata ma sicuramente molto signorile.
Camminava senza fretta scendendo la via affollata e chissà quali pensieri occupavano la sua mente. E poi fu solo una frazione piccolissima di tempo e la sua espressione lontana ed estranea era scomparsa lasciando affiorare una sincera incredulità mentre una ruga scura gli attraversava la fronte.
Ora era fermo davanti alla terrazza di un bar, nella bella mattinata di marzo. Nicchiava, pareva non sapere veramente se volesse continuare per la sua strada o entrare nel locale. E non riusciva a staccare lo sguardo dalla persona che, seduta all’interno, beveva da un grande bicchiere leggendo il giornale. Un latte di mandorla, per inciso.
Si decise ed entrò. Andò diritto a sedersi al tavolo della donna che leggeva il giornale, senza aspettare di essere invitato a farlo. Lei fu molto sorpresa di vederlo, non sapeva cosa dirgli, erano passati talmente tanti anni. Non disse niente e lui si sedette.
«Non avrei mai creduto…» iniziò lui, poi tacque.
La donna continuava a rimanere in silenzio ma risentirne la voce fu per lei una grande emozione. Lui si accomodava sulla seggiola e distendeva le gambe lunghissime, cercando una posizione che desse sollievo alla sua ansia. Lei intanto aveva smesso di leggere, nemmeno lo vedeva più il giornale.
Guardava lui adesso, si vedeva che era meravigliata e indecisa sul da