Scritture Aliene albo 4 a cura di Vito Introna
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Scritture Aliene albo 4 a cura di Vito Introna - Francesca Panzacchi
ALBO 4
A CURA DI VITO INTRONA
DIVERSA SINTONIA
SCRITTURE ALIENE ALBO 4
A CURA DI VITO INTRONA
EDS
IN QUESTO NUMERO HANNO COLLABORATO I SEGUENTI AUTORI:
UGO SPEZZA, TOMMASO RUSSO, ALESSANDRO FORLANI, FRANCESCA PANZACCHI, ANGELO CURCIO, FRANK DETARI, LUIGI BONARO
TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI
E tutto brillerà di più
Alessandro Forlani
Basta un poco di zucchero
e la pillola va giù
e tutto brillerà di più
Mary Poppins
Michele trovò Barbara in mutande e reggiseno, le braccia conserte, truccata; in piedi davanti all'armadietto dei farmaci si mordeva le labbra inghiottendo angoscia.
Si sciolse la cravatta, tolse la camicia, sfilò l'orologio. Aprì forte il rubinetto dell'acqua fredda e affondò con i polsi nel lavandino di acciaio e marmo.
Goduria.
Immerse la faccia, si lavò il collo, le orecchie, una passata del getto fresco fra i capelli imperlati.
– Di' – le schioccò con un telo inzuppato su una natica: lei non si scostò dagli scaffali di pillole, – ma non avevi l'aperitivo con le altre stronze, stasera?
– Fai basta a chiamarle stronze.
– È le otto e tre quarti, t'hanno persa per strada – lui sputò nell'acqua stringendosi nelle spalle, sedette sul water e scrosciò nel sifone.
– Non so che cosa prendere. C'ho paura a passar per scema.
– Con quelle quattro? Non c'è pericolo. Ogni volta le solite puttanate.
– È diverso: c'è Angela, che è tornata da Madrid.
– Ah, c'è l'architette! – si scrollò. Indugiò per qualche istante con il pene fra le dita, lo infilò nelle mutande turgido e arrossato.
– T'ho visto. Fai schifo.
– Lo sai che lei m'attizza, con quelle pere.
– È una figa, lavora all'estero; lo sanno tutti che è brava.
– Vestiti, che è meglio – la accarezzò su una spalla, scendendo con le dita sui fianchi nervosi.
Insistette a guardarla infoiato e frustrato.
Barbara sculettò verso il tubino stirato, steso nell'altra stanza su un bracciolo di poltrona; l'infilò, calzò le scarpe e si avvolse nel foulard. Stette rigida allo specchio con le gambe che tremavano:
– Tutt'a posto?
– Ce l'ho duro.
– ... ma non so che cosa prendere, diocristo! – strillò. Graffiò coi tacchi dodici il parquet di legno d'acero.
– ... t'ho detto...
– Col cazzo! Quella ha progettato tutta un'ala del Prada; del Prado... come cazzo si chiama! E c'è anche Federica che è stata un mese a New York: cosa cazzo racconto? Non c'ho un cazzo di interessante da dire, non sono altrettanto figa e c'ho una vita che è due coglioni!
– Ah, grazie – lui si incupì.
– Hai capito che cosa intendo: non ti mettere a frignare.
– Ho capito – si arrese Michele. La costrinse seduta su una sponda del letto. Tornò nella toilette, frugò fra i flaconcini e le etichette marrone scuro delle sostanze umanistiche.
Fineartine; Sociologyne.
Quadri, Belle Arti, Architettura e New York. Discorsi del tipo: come butta a New York?
Scelse l'arancione delle boccette di Actualytine e la scatola, quasi vuota, delle compresse di Gossipine. Le sciolse nel bicchiere del dentifricio, mescolò con un dito e si succhiò la schiuma rosa rimasta sul polpastrello.
Un'acuta opinione sui cittadini statunitensi, l'improvvisa correlazione fra un articolo di quotidiano, un quartetto di Gershwin, un episodio di In Treatment, gli infuocarono per un istante la corteccia cerebrale.
Ci fosse uscito lui con quelle fighe di legno, bastava che trangugiasse quella roba e in serata avrebbe segnato il punto.
– Toh, bevi.
Lei prese il bicchiere con una smorfia di diffidenza, le bollicine le pizzicarono le narici:
– Oh, deficiente: quattro pillole è troppo.
– È la ricetta che la mia capo, con quelle lesbiche del suo staff, si fa’ ogni giorno in pausa pranzo in ufficio: il tuo Vanity Fair, se le ascoltassi, gli fa 'na sega.
– ... ma se non è vero, dopo all'ospedale mi ci porti te.
Le intese, accigliato, di smetterla con le stronzate. Barbara annuì, ingollando tutto d'un fiato: si sdraiò pancia all'insù sul materasso e restò zitta per qualche istante, paonazza. Una lacrima di kashal le scorse su una tempia.
Michele, distesosi, le soffiò nell'orecchio: – ... ho ragione o non ho ragione?
Lei si alzò di scatto, si asciugò la goccia nera sul viso, stirò le pieghe scure dell'abito sulle spalle, le ginocchia e il ventre. Si spruzzò di profumo fra i capelli e sul volto. Lo guardò infastidita. Annoiata. Schifata: – E tu, questa sera?
– O il bar, una birretta o l'oloBox o Sky Sport. Mi lasci solo, c'ho l'ora d'aria.
– Magari, un e.book farebbe bene, ogni tanto.
Michele guardò lo schermo azzurro del tablet affiorare dalla borsetta appesa alla spalla: le icone di Twitter, di Facebook, di WhatsApp, la Z di Zalando e la Q di QVC. Cataloghi virtuali. E un massimo di quattrocento caratteri di stracazzi degli amici e olofoto di gatti.
Sentila
pensò le sue belle letture
.
– La medicina ti ha fatto effetto.
– ... so che al Multiplex ci sarebbe l'antologica restaurata di Paolo Sorrentino, che sarebbe da andarci, domenica...
Lo baciò sulle guance, inghiottendo con una smorfia. Lesse l'ora sul watchtatoo che le brillava sul polso: – Perbacco! È tardissimo!
– Perbacco! – Lui ghignò: Barbara di solito intercalava con porcodio.
Saltò fino all'ingresso sui trampoli di Jimmy Choo, agguantò dal posacenere le usb dell'helio-Nissan, dei garage e di casa; si lasciò dietro alle spalle il portone spalancato, corse giù per quattro rampe senza nemmeno dirgli un ciao.
Michele la seguì con gli occhi rossi, infoiati, ancheggiare sui gradini, nell'androne e in cortile.
Tacco dodici, tubino nero. Ma andava in bianco, stasera. Le architette di Angela. E anche il culo di Federica dagli USA non era male; non era male per niente.
Si buttò sulla poltrona a masturbarsi. Spietato.
Spense la parete e gettò il telecomando: quattromila canali, ma stasera solo film degli anni Zero e Novanta, quei pallosissimi documentari sulle SS nel Mesozoico o repliche di partite già giocate da un pezzo.
E un caldo appiccicoso dellamadonnadiddio.
Passò sotto la doccia, infilò qualcosa di decente e si cosparse di deodorante.
Inforcò la bicicletta, pedalò fino al bar dove batté il cinque a Simone, Anatoliy e Kamali.
– La Babi?
– Le amiche. E le voialtre?
– Sta a casa stanca.
– Valla a toccare: c'è Grey's Genetics, la nuova serie; non esce.
– Dai, buono: serata.
Michele si appoggiò con le spalle e con i gomiti sul bancone di plexiglas cosparso di arachidi e premette con il pollice sul lettore del bancochip: la biondazza quindicenne ma da farci un pensierino, all'altro lato della trincea di bottiglie, versò la sua Moretti senza aspettare l'ordinazione.
– Da lavoro? – Simone gli si accostò.
– Tornato da manco un'ora. Settimana di merda.
– La prossima, per me.
– Quand'arrivano le ferie?
– Ma le faccio tutte stracco – l'amico si avvilì.
Restarono in silenzio per un giro di orologio. La barista spazzò le noccioline dal banco e alzò di almeno il doppio il volume della radio. Le casse gridarono qualche stronzata d'amore; la ragazza ballò strofinando un bicchiere, restando a occhi chiusi mentre si strusciava al lavello.
– Cristo però, con 'sto casino non si parla!
– Partita! – ulularono. Si schioccarono un altro cinque, spostandosi all'olosoccer nell'angolo del bar. Lo trovarono già occupato dai diciottenni inscimmiati che appannavano di impronte l'insert coin digitale. E sbattevano l'inguine sul cassone del gioco - uno stadio di plastica d'un metro e venti per uno e ottanta, l'olomonitor di un campo, formazioni mundial - come forse in vita loro mai ancora una ragazza.
No, con quell'acne, sghignazzò Michele.
– Questi mi sa che la tirano lunga.
– Frega un cazzo, li sposto. – Grugnì l'ucraino con le maniche arrotolate sui tatuaggi in stile mafia.
– Dai, lascia perdere – lui lo trattenne, – ci mettiamo coi ragazzini?
Quelli all'ologame non se ne accorsero neanche.
Ritornarono dalla bimba al bancone del bar, la molestarono sfregando i pollici sull'icona dell'euro: saldo, consumazione. Si aggrapparono a un'altra birra ghiacciata imbarazzati dal non avere argomenti.
L'assordante ritornello di un rapper.
Nessun accenno, nessuna voglia di chiacchierare, nessuno spunto.
Silenzio.
Tamburellarono per un quarto d'ora con le dita sul banco. Batterono con i piedi sui seggiolini di zinco. Il rap che andava a palla lacerava i timpani.
Silenzio. Sudore.
Vuotarono i bicchieri, scroccolarono arachidi