Pensieri
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Giacomo Leopardi
Giacomo Leopardi was born in Recanati, a small town in the Italian Marches, in 1798. Renowned in his youth as a classical scholar, he suffered from poor health all his life and never experienced happiness in love. He visited Rome, Bologna, and Florence, but never fully broke away from his family, until in his last years he finally moved with a friend to Naples, where he died in 1837. He is the author of Zibaldone.
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Book preview
Pensieri - Giacomo Leopardi
Giacomo Leopardi
Pensieri
Pensieri
Giacomo Leopardi
a cura di Giuseppe Landolfi Petrone
Collana Firiwizzo meista
a cura di
Giuseppe Landolfi Petrone
ISBN 9788893370080
copyright © 2016 Antonio Tombolini Editore
digital rights reserved
Via Villa Costantina, 61,
60025 Loreto Ancona
Italy
email: email: info@antoniotombolini.com
www.antoniotombolini.com
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Indice
Nota del curatore
Avvertenza
[I]
[II]
[III]
[IV]
[V]
[VI]
[VII]
[VIII]
[IX]
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[XI]
[XII]
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[CVIII]
[CIX]
[CX]
[CXI]
Raccolta delle fonti
Note
Nota del curatore
Severi questi Pensieri lo sono perché la prospettiva dalla quale muovono è dominata da quel disarmante realismo che Leopardi costruisce sulle macerie del sensismo e del materialismo filosofico del Settecento. Ma Leopardi non è un materialista, perché gli manca l’attrazione e l’entusiasmo per la materia, che è ingrediente tipico del materialismo settecentesco. La polemica contro il sapere retrivo e retrogrado nel quale è cresciuto non basta a conferire al suo pensiero la dimensione di un materialismo conseguentemente e coerentemente congegnato. E questo nonostante la sua formazione e la sua aspirazione a liberarsi di certe forme oppressive di sapere che lo spingono a guardare la natura come sede di leggi meccanicistiche.
Il suo realismo non è, quindi, né empirismo polemicamente abbracciato contro il mondo delle idee né antropocentrismo mondano dell’onnipotenza umana. Sotto la sua lente di osservazione e la sua penna si sgretola ogni visione autocompiaciuta della società che nelle dinamiche conflittuali non vede se non una legge di progresso civile e di consolidamento sociale. Con Jean-Jacques Rousseau, presente nei Pensieri, Leopardi respinge questa dinamica, ma, e diversamente dal pensatore ginevrino, non tanto e non solo per contestare alla scienza e alla ragione il danno provocato loro alla vita sociale dell’uomo, ma per contestare l’uomo stesso, la sua vulnerabile natura pronta sempre a sposare convenienze e convenzioni con cui tesse una società anti-sociale. Il meccanismo del conflitto elevato a paradigma dagli illuministi viene spogliato da Leopardi della sua vitalità e presentato nel suo nudo aspetto economico, nel suo lato effettivamente e trivialmente materialistico che egli ha il merito di avere isolato e denunciato con grande chiarezza avvertendo il pericolo cui esso conduce: la riduzione dell’uomo a merce. La grande qualità della sua scrittura è sempre in questa potente libertà di osservazione, che è così priva di protezione teorica da essere esposta a contraddizioni interne, ma al tempo stesso così schietta e precisa da essere priva di parzialità o di futilità accademia. Il suo realismo in sostanza è il frutto di un lavoro e non una posizione di pensiero; è il risultato cui giunge la sua osservazione critica, che non è capace di alcuna sintesi dialettica ricompositrice con cui saltare il fosso che divide l’uomo da se stesso, dalla natura, dalla storia.
Negli scritti filosofici di Leopardi, e dunque anche in questi Pensieri, operano due coppie di opposti: natura e ragione per un verso; antichi e moderni per un altro. Espresse altrimenti, queste due coppie di opposti possono ridursi a filosofia, la prima, e a storia, la seconda. La filosofia esprime l’incolmabile sete di conoscenza oltre i limiti della vita naturale, la storia invece l’incontestabile raccolta di fatti che attestano la supremazia degli antichi sui moderni e, di conseguenza, la superiorità della vita naturale (nel senso di spontanea) su quella razionale (nel senso di affettata).
Esplorare la società e la condotta dell’uomo sociale attraverso il filtro di queste premesse teoriche vuol dire per Leopardi entrare, sì, a contatto con la natura intima dell’uomo, ma senza troppo prestar fede alla lezione dell’analisi psicologica, bensì affidandosi a una genuina vena politica che inietta nel corpo sociale le spinte egoistiche dell’individuo, compiendo un itinerario diverso da quello di Hobbes (presenza vagamente evocata nei Pensieri) e opposto a quello che sarà seguito dalla psicologie delle folle, in cui avviene l’opposto: l’iniezione nell’individuo degli istinti che si formano nel tessuto sociale di massa. A più riprese Leopardi ha designato i Pensieri come trattazione del machiavellismo sociale, vale a dire di un tema che è sempre stato al centro della sua attenzione, ma che dopo il 1829 acquista un nuovo significato con il consolidarsi della teoria del male come prevalente nella vita e nella natura stessa. Il machiavellismo è sistema di dominio portato in politica a livello di scienza compiuta. Per Leopardi questo dominio non si esaurisce nella politica. L’uomo per sua stessa natura è portato a prevaricare e nella società non fa che perseguire quel potere di condizionamento degli altri e di prevaricazione che è, in sostanza, il male stesso. L’uomo è per natura malvagio, perché la natura stessa è malvagia. Tesi naturalmente consona all’oscura visione cristiana e anche alla basa di partenza di una delle più celebri e potenti prese di posizione settecentesche sul tema del male: quella di Immanuel Kant. Ma in Leopardi non c’è né redenzione attraverso l’espiazione né progresso morale attraverso la rivoluzione interiore richiesta dall’imperativo categorico.
Nessun atteggiamento terapeutico caratterizza i Pensieri, che si presentano come un trasparente referto diagnostico delle condizioni in cui versa la vita umana, della quale misura il valore anche delle manifestazioni più insignificanti, non di rado raccolte da quel perenne esame autobiografico che Leopardi mette in atto costantemente nello Zibaldone. Questo carattere diagnostico consente di leggere i Pensieri alla luce di una sorta di realismo critico, che in qualche caso sembra assumere addirittura i contorni di un idealismo senza idee, glabro e al tempo stesso intenso. La critica di Leopardi è naturalmente fondata sulle fonti settecentesche: trae luce dall’illuministico abbaglio del materialismo settecentesco, ma come spesso gli succede questo materiale deforma la sua concezione filosofica più che confermarla o aiutarla a fissarsi. Leopardi è troppo romantico e idealista per poter ritrovarsi nel pensiero illuministico, ed è troppo illuminista per poter abbracciare con convinzione gli ideali romantici o le mediazioni dialettiche idealistiche.
L’autore che nelle Operette morali aveva saputo esprimere con un paziente e architettonico distacco il mondo morale nel quale l’uomo piace cullarsi, nei Pensieri non avverte più questo distacco o, forse, non ne sente più il bisogno. Non è un’opera d’arte la sua, come lo sono quelle operette, ma una dura requisitoria che si apre con una cruda e netta affermazione: il mondo non è che una lega di birbanti contro gli