Il Dottor Thorndyke. L'impronta rosso sangue
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Il Dottor Thorndyke. L'impronta rosso sangue - Richard Austin Freeman
Richard Austin Freeman
Il dottor Thorndyke L'impronta rosso sangue
1. Un collega molto preparato
Conflagratam An. 1677. Fabricatam An. 1698. Richardo Powell Armiger Thesaurar¹. Scritte sui quattro pannelli che componevano il fregio sotto il frontone di un elegante portico in mattoni, queste parole riassumevano la storia di una delle costruzioni più imponenti e distinte della parte alta di King's Bench Walk. Mentre leggevo distrattamente quell'iscrizione, ero come esitante, ero contemporaneamente catturato dall'ammirazione per quei muri intagliati così ben rifiniti, la sobrietà dell'edificio, e il tentativo di immaginarmi Richard Powell morto e sepolto, insieme a quell'epoca lontana ed emozionante in cui aveva vissuto e agito.
Stavo per andarmene quando la cornice vuota del portico venne occupata da qualcuno, una persona distinta con tanto di parrucca e costume, un po' antiquato, un tipo che sembrava ben adatto a completare quel quadro. Fu allora che cominciai pigramente a guardarlo.
L'avvocato si era fermato sulla soglia a scartabellare in un pacco di fogli che aveva in mano e, mentre riannodava il nastro rosso che li teneva assieme, sollevò lo sguardo e i nostri occhi si incontrarono. Per un attimo ci scambiammo quell'occhiata indifferente che caratterizza due sconosciuti. Subito dopo ci fu un lampo di reciproca presa di coscienza. Il viso impassibile e severissimo dell'avvocato si sciolse in un sorriso ospitale e la figura, mentre si staccava dalla sua cornice, scese per le scale con la mano tesa in segno di cordiale saluto.
- Mio caro Jervis - esclamò mentre ci stringevamo calorosamente la mano - è proprio una bellissima sorpresa. Ho pensato mille volte al mio vecchio compagno e mi sono domandato se lo avrei più incontrato e, guarda un po', è qui davanti a me, buttato sulla riva dell'Inner Temple² come fosse un sacco di pane scaricato nell'acqua...
- La tua sorpresa, Thorndyke, non è nulla in confronto alla mia - risposi - perché il tuo pane almeno è tornato sotto forma di pane... io, invece, mi sento nei panni di un uomo che dopo avere gettato il suo pane nell'acqua se lo vede ritornare cambiato in tartina imburrata o in focaccia. Ho perso di vista un medico rispettabile e lo rivedo adesso trasformato in un uomo di legge con tanto di parrucca e toga...
Thorndyke rise di gusto.
- Non paragonare il tuo vecchio amico a una focaccia - disse. - Dimmi piuttosto che l'avevi lasciato crisalide e adesso lo ritrovi farfalla. Ma il cambiamento non è così grande quanto credi. Capirai meglio quando ti spiegherò tutto, anzi, te lo spiegherò proprio questa sera stessa, se non hai niente di meglio da fare.
- Bene, al momento non ho impegni - gli dissi. - Sono a tua completa disposizione.
- Allora per le sette passa da casa mia - disse Thorndyke - così mangeremo qualcosa insieme e ci racconteremo tutto. Tra pochi minuti devo essere in tribunale. Abito qualche portone più giù, al numero 6A - e si girò per indicare la casa mentre attraversavamo la strada verso Crown Office Row.
Arrivati in fondo a Middle Tempie Lane ci separammo. Thorndyke prese la strada del tribunale, con la sua toga ondeggiante, io me ne andai verso Adam Street, luogo deputato per ogni rappresentante medico.
L'orologio del Temple batteva le sette quando superai l'arcata di Mitre Court e svoltai verso King's Bench Walk.
Non c'era nessuno sul marciapiede, solo una figura, che passeggiava lentamente davanti al portone del numero 6A. Nonostante non avesse più la parrucca, che ora aveva lasciato il posto a un cappello di feltro, così come la toga a una giacca, non feci fatica a riconoscere il mio amico.
- Sei sempre molto puntuale, come una volta - disse, mentre mi veniva incontro a metà strada. - Eccoci, questo è il mio umile rifugio.
Passammo per l'ingresso e salimmo i gradini di pietra fino al primo piano. Poi ci trovammo davanti a una porta imponente, su cui era scritto, in bianco, il nome del mio amico.
- Da fuori è un po' minacciosa - osservò Thorndyke - mentre inseriva la chiave - ma all'interno è accogliente, ti assicuro.
La porta, pesante, si aprì verso l'esterno e rivelò una porta interna tutta tappezzata, che Thorndyke aprì con una spinta per permettermi di entrare.
- Troverai la mia casa un po' strana, è tutto e niente - disse Thorndyke - perché assomma tutte le attrattive di un ufficio, un museo, un laboratorio e un'officina.
- Un ristorante - aggiunse un vecchietto, che stava travasando una bottiglia di vino con un sifone di vetro: - questo l'ha scordato, signore.
Sì, Polton, me lo sono dimenticato - disse Thorndyke - ma vedo che la stessa cosa non è accaduta a te.
- Lanciò un'occhiata verso un tavolino che era vicino al fuoco, già apparecchiato con tutto il necessario per la nostra cena.
- Allora dimmi - disse Thorndyke quando fummo a tavola – che cosa ti è accaduto da quando hai lasciato l'ospedale, sono sei anni no?
La mia è una storia facile da raccontare - risposi con amarezza - Non è poi tanto strana. Sai bene che sono rimasto senza un centesimo dopo essermi iscritto all'albo, non me l'aspettavo, la solita differenza fra i sogni e la realtà concreta. Così mi sono guadagnato da vivere facendo l'assistente, qualche volta il sostituto. Ma adesso sono disoccupato.
- Thorndyke serrò le labbra e aggrottò le sopracciglia.
- È un peccato, Jervis - disse subito dopo - che un uomo capace come te, con le sue conoscenze scientifiche debba buttare il suo tempo in lavori precari.
Restò per un po' immerso nei suoi pensieri.
- E adesso - dissi – spiegami tutto, me l'hai promesso. Sto letteralmente morendo dalla voglia di sapere quali vicissitudini hanno trasformato John Evelyn Thorndyke da medico in luminare del foro.
Thorndyke sorrise indulgente.
- Il fatto è - disse - che questa mutamento, cambiamento, chiamalo come vuoi, non è accaduto. Io, John Evelyn Thorndyke, sono ancora un medico...
- Che cosa? Con la parrucca e la toga! - esclamai.
- Sì, sono semplicemente una pecora travestita da lupo - rispose. - Ti dirò com'è successo. Dopo che te ne sei andato dall'ospedale, sei anni fa, io sono rimasto. Ho fatto tutto quello che capitava, l'assistente di laboratorio, l'analista, gironzolavo per i laboratori di chimica e di fisica, l'archivio, l'obitorio, e nel frattempo mi sono dottorato due volte, in Medicina e in Scienze. Poi mi sono iscritto all'albo degli avvocati: speravo di diventare coroner³ ma, poco dopo, il vecchio Stedman è andato in pensione prima del previsto, te lo ricordi Stedman, il lettore di giurisprudenza medica... io ho presentato la mia candidatura per quel posto. Con mia sorpresa mi hanno nominato lettore, e così mi sono tolto dalla testa di fare il coroner, ho preso questa casa e mi sono deciso ad aspettare qualsiasi cosa potesse arrivare.
- E cosa è arrivato? - gli chiesi.
- Beh, una miriade di lavori strani - rispose. - Da principio mi fecero solo partecipare a un'analisi per un caso dubbio di avvelenamento ma, a poco a poco, la mia sfera di influenza si è allargata fino ad includere adesso tutti i casi in cui una speciale conoscenza medica o di fisica possa essere utile alla legge.
- Ma vedo che tu partecipi alle cause in tribunale - dissi.
- Molto di rado - rispose. - È più facile che sia presente nelle vesti di bête noir⁴ dei giudici e del collegio giudicante, ovvero come testimone scientifico. Ma nella maggior parte dei casi non compaio per niente. Dirigo le indagini, organizzo e analizzo i risultati, informo il collegio dei fatti e gli inoltro alcuni suggerimenti buoni per l'interrogatorio.
In quel momento ci fu un colpo secco alla porta, come una specie di commento alla sua auto celebrazione. Attraversò la stanza velocemente e spalancò la porta con violenza.
- Lo so che è tardi per una chiamata di lavoro - disse scusandosi una voce da fuori - ma il mio cliente era ansioso di vederla subito, non voleva aspettare.
Va bene, signor Lawley, entri pure - disse Thorndyke con una gentilezza affettata, e tenne aperta la porta, mentre i due visitatori entravano.
Erano due uomini, uno di mezza età, dall'aria molto furba e il tipico aspetto da avvocato, e l'altro un bel tipo raffinato, di bella presenza, anche se al momento sembrava molto pallido e alterato, probabilmente era molto, molto agitato.
- Ho paura - disse quest'ultimo, lanciando un'occhiata prima a me e poi una alla tavola - che la nostra visita, della quale mi prendo ogni responsabilità, sia molto inopportuna. Se la stiamo disturbando, dottor Thorndyke, per piacere ce lo dica, possiamo aspettare.
Thorndyke, che aveva lanciato un sguardo acuto e curioso al giovane, rispose con un tono molto più gentile.
- Comprendo che le sue faccende non possono attendere e, per quel che riguarda il disturbo, bene, il mio amico e io siamo entrambi medici e, lei lo sa bene, un medico non può considerarsi totalmente libero in nessuna delle ventiquattro ore.
Io mi ero alzato all'arrivo dei due sconosciuti, e ora volevo fare una passeggiata sulla riva del fiume per tornare più tardi. Ma il giovane mi fermò.
- Non se ne vada per colpa mia, la prego – mi disse. - Ciò che sto per raccontare al dottor Thorndyke sarà noto a tutti domani a quest'ora, per cui non c'è motivo di mantenere alcuna riservatezza.
- Se è così - disse Thorndyke – spostiamoci con le sedie vicino al fuoco e passiamo subito al vostro caso. Avevamo appena finito di mangiare, aspettavamo il caffè, e sento che arriverà tra pochissimo.
Spostammo le sedie e quando Polton ebbe posato il caffè sul tavolo e se ne fu andato, l'avvocato cominciò la sua esposizione senza più esitare.
2. Il sospetto
- Prima - disse - è meglio che le esponga il caso a sommi capi, come lo vedo io come uomo di legge, e poi il mio cliente, il signor Reuben Hornby, potrà arricchirlo di dettagli, se sarà necessario, e rispondere a qualsiasi quesito lei desidererà sottoporgli.
- Il signor Reuben ha un ruolo di responsabilità nella ditta di suo zio, John Hornby, raffinatore d'oro e d'argento e commerciante di metalli preziosi. Molto del lavoro di analisi è svolta all'interno dello stabilimento, l'attività principale consiste nell'esame e nella raffinazione di campioni d'oro di provenienza sudafricana.
Circa cinque anni fa il signor Reuben e il cugino Walter, un altro nipote di John Hornby, abbandonarono la scuola e cominciarono a lavorare come apprendisti dallo zio, in vista di diventare soci effettivi dell'azienda. Sono rimasti sempre con lui da allora. Hanno sempre occupato, come dicevo, posizioni di grande responsabilità.
E ora un accenno su come procede l'attività nello stabilimento del signor Hornby: i campioni d'oro arrivano al porto a un rappresentante della ditta, in genere o il signor Reuben o il signor Walter, li trasferisce in banca o in azienda, a seconda delle circostanze.
Ovviamente si fa di tutto per custodire meno oro possibile nello stabilimento, e i lingotti vengono sempre portati in banca alla prima occasione. Ma può accadere che campioni di considerevole valore rimangano in laboratorio per tutta la notte, per questo l'officina è dotata di una grande quanto efficiente camera blindata per custodirli. È situata nell'ufficio privato, sotto gli occhi del principale e, per precauzione, il custode, che fa anche da guardiano notturno, si trova in una stanza proprio sopra l'ufficio e a orari precisi pattuglia l'edificio per tutta la notte.
Bene, è accaduto un fatto molto strano, stranissimo. Un cliente sudafricano del signor Hornby, che partecipa agli utili di una miniera di diamanti, di tanto in tanto spedisce al signor Hornby involucri di diamanti grezzi destinati a essere depositati in banca o consegnati agli agenti di vendita di pietre preziose, nonostante le transazioni di queste ultime non facciano parte dell'attività della ditta Horby.
Un paio di settimane fa il signor Hornby fu avvertito che era in arrivo un pacco di pietre preziose con l'Elmina Castle, un pacco insolitamente grande, contenente pietre di dimensione e di valore eccezionali. Proprio per questo il signor Reuben si recò al porto molto presto con la speranza che la nave arrivasse in tempo per trasferire immediatamente le pietre in banca. Purtroppo non andò così: i diamanti dovettero essere portati in laboratorio e chiusi nella cassaforte.
- Chi li ha messi materialmente nella cassaforte? - chiese Thorndyke.
- Il signor Hornby in persona, a cui il signor Reuben consegnò il pacco quando fu ritorno.
- Bene - disse Thorndyke - e poi cosa è accadduto?
- Bene... la mattina dopo, quando la cassaforte fu riaperta, i diamanti non c'erano più.
- C'erano segni di scasso? - chiese Thorndyke.
- No. Era tutto chiuso come al solito, e il custode, che aveva fatto i suoi giri abituali non aveva sentito niente. Esternamente la cassaforte era intatta. Probabilmente era stata aperta e richiusa dopo avere asportato le pietre.
- Chi ha le chiavi di quella cassaforte? - chiese Thorndyke.
- Di solito il signor Hornby. Ma, in alcune occasioni, quando è assente dall'ufficio, le consegna a uno dei nipoti, quello presente in quel momento. Ma in questo caso le chiavi sono sempre state fra le sue mani dal momento in cui ha chiusa la cassaforte dopo avere depositato i diamanti. Sempre fra le sue mani, fino al momento in cui ha riaperto la mattina successiva.
- E c'è qualcosa che possa far cadere i sospetti su qualcuno? - chiese Thorndyke.
- Beh, certo - disse il signor Lawley, un po' a disagio nei confronti del suo cliente - purtroppo c'è. Pare che la persona che ha rubato i diamanti si sia tagliata oppure graffiata con un dito in qualche modo: sul fondo della cassaforte c'erano due gocce di sangue e una o due macchie di sangue anche su un pezzo di carta.. poi c'è un'impronta, netta, l'impronta di un pollice.
- Sangue? - chiese Thorndyke.
- Sì. Probabilmente il pollice è stato appoggiato su una delle gocce e poi, ancora bagnato di sangue, premuto sulla carta nel tentativo di afferrarla...
- Bene, e poi?
- Bene - disse l'avvocato, irrequieto sulla sua sedia - per non perdere altro tempo... l'impronta è riferibile al signor Reuben Hornby...
- Ah! - esclamò Thorndyke – un intreccio che si complica tremendamente. È meglio che prenda qualche appunto prima che lei vada avanti.
Prese da un cassetto un taccuino, sul cui frontespizio scrisse Reuben Hornby
, e lì segnò un paio di brevi considerazioni.
- Immagino - disse, quando ebbe finito, - che riguardo a quest'impronta, non ci siano dubbi, giusto, tutto coincide?
- Esattamente - rispose il signor Lawley. - Nessun dubbio. Scotland Yard ha sequestrato il foglio, che è stato consegnato al direttore del dipartimento di dattiloscopia per l'esame e il confronto con quello in archivio. Il responso degli esperti è che l'impronta non corrisponde a nessuna di quelle dei criminali in archivio. Un impronta molto particolare, se consideriamo la rete di solchi sul polpastrello del pollice, particolarmente distinto e caratteristico, attraversato dalla cicatrice di un taglio profondo, che rende facile l'identificazione. L'impronta corrisponde in tutto e per tutto con l'impronta del pollice del signor Reuben Hornby e, in effetti, è la sua impronta al di là di ogni ragionevole dubbio.
- È possibile - chiese Thorndyke - che il foglio con l'impronta possa essere stato introdotto nella cassaforte da un'altra persona?
- No - rispose l'avvocato. - È impossibile. Il foglio su cui è stato trovato il segno viene dal blocco di appunti del signor Hornby. Aveva annotato su quelle pagine dei