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Verso il sole di mezzanotte
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Verso il sole di mezzanotte

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Conservo tutto. Anche gli scontrini ingialliti. Spero: prima o poi il tempo sistemerà le cose. Conservo soprattutto i diari di viaggio, i post di un blogger distratto che perde anche il proprio sito, gli appunti scarabocchiati. Sono un accumulatore seriale di ricordi.

Non sono scampato ai luoghi comuni sul vivere con la testa tra le nuvole, al viaggio con lo zaino sulle spalle e neanche all'Interrail. Non sono scampato agli ostelli della gioventù e neanche al viaggio della maturità. Non sono scampato alle bellezze dell'Europa, quella delle frontiere e non della moneta unica. Non sono scampato ai sogni di un diciottenne. Come potevo sottrarmi ai mille ricordi e alle storie incredibili. Impossibile. Sopratutto dopo il ritrovamento di due block notes ingialliti, impolverati, dimenticati.

Ma sono sopravvissuto ai diari di viaggio. Alle cartoline ricordo, alle lattine di birra, vuote o piene, alle spillette di ogni genere, ai colori e al freddo del grande nord.

E non potevo sottrarmi al forte richiamo del sole di mezzanotte. Come tanti visionari della mia generazione. Così, per gioco o forse per sfida, mi sono rimesso in viaggio. Sempre con lo zaino, ma con mia moglie e le figlie, per raggiungere quella meta sognata...

Perché in fondo viaggiare aiuta a vivere. E racconti altre storie. Magari un'altra meta. O la stessa che ancora devi raggiungere.

LanguageItaliano
Release dateJan 2, 2016
ISBN9788892535749
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    Verso il sole di mezzanotte - Bruno Guerriero

    Paolo

    VERSO IL SOLE DI MEZZANOTTE 

    «Hammerfest in inverno è a trenta ore di pullman da Oslo, ma il motivo che spinge qualcuno ad andarci merita una certa considerazione. Si trova in capo al mondo, è la città più a nord d'Europa, dista da Londra quanto Londra da Tunisi, ed è patria di inverni rigidi e cupi dove a novembre il sole si inabissa nell'Oceano Artico per rifarsi vivo dopo dieci settimane.

    Volevo vedere l'Aurora Boreale. Inoltre nutrivo da tempo un mezzo desiderio di scoprire come fosse la vita in un luogo tanto remoto e inaccessibile. A casa, in Inghilterra, seduto in compagnia di un bicchiere di Whisky e di alcune cartine, mi era sembrata un'idea formidabile. Ora, invece, mentre sul finire di dicembre mi muovevo cauto nel nevischio di Oslo, cominciavo ad avere qualche dubbio...".

    «Buongiorno»... Il saluto del portiere mi riporta alla realtà. Leggendo il libro non mi ero accorto di aver raggiunto la sede della redazione. Come un automa. Il breve tratto di strada dalla libreria Guida al giornale era stato divorato dalle prime pagine del testo di Bill Bryson «Una città o l'altra» che ho acquistato dopo la piacevole lettura di «Notizie da un'isoletta» dello stesso autore. Un tuffo nel mondo anglosassone, ma il giornalista statunitense, con un bel viaggio, mi proietta nelle principali città europee.

    E si parte dal nord.

    Chiudo gli occhi e mi ritrovo in un trenino norvegese. Era una estate di qualche anno fa. Armati di InterRail, zaino e sacco a pelo. Sulla linea Oslo - Bergen, una piccola cittadina di pescatori. In compagnia di tre amici alla conquista del grande nord. Una notte fredda come gli scompartimenti destinati ai viaggiatori di seconda classe. In compenso le carrozze erano semivuote. Almeno non si dormiva con il sacco a pelo nei corridoi. Nella capitale norvegese ci restammo otto giorni. Non tanto per le bellezze del posto, ma per la solita fuga di cuori di qualche compagno di viaggio. Poi, l'improvvisa decisione: si parte. E la nostra meta era Bergen. Una tappa di passaggio per Capo Nord. L'idea era quella di attraversare la Norvegia da sud a nord. Errore madornale. La linea per Bergen era cieca. Non portava in altri posti.

    Ma non lo sapevamo. Così in un viaggio di andata e ritorno riuscimmo ad accumulare circa 1200 chilometri di strada ferrata. Ma i paesaggi erano meravigliosi. Attraversammo ghiacciai e nella nebbia comparvero fiordi d'incanto. Di Bergen ricordo solo le belle facciate colorate dei palazzi del porto e la chiesa. Una frettolosa colazione, a base di aringhe affumicate e un panino ai gamberetti delizioso. Ma anche una piacevole chiacchierata con dei pescatori del posto. Il mio inglese scolastico non era perfetto, ma almeno comprendevo il possibile e reggevo per qualche minuto la conversazione. Colpivano i capelli biondi e gli occhi chiari dei nordici e soffrivi di vertigini cercando di raggiungerli alle loro altezze. Quasi sempre sul metro e novanta.

    Bergen fu una toccata e fuga con grande disappunto mio e della comitiva. Si doveva tornare ad Oslo per riprendere il viaggio a Nord. La linea ferroviaria s'interrompeva su quel fiordo.

    Perché Bergen? E' una storia semiseria. Ad Oslo, come dicevo, soggiornammo complessivamente ben otto giorni in questo lungo viaggio all'assalto del grande nord.

    Oslo è la classica capitale nordica. Se dovessi scegliere un colore per descriverla, senza dubbi, il marroncino. Sarà il palazzo di governo o le luci variabili delle lunghe giornate norvegesi caratterizzate dal sole, dalle nuvole, dalla pioggerellina insistente, dal temporale e dal vento per tornare al calar delle prime luci serali, poco prima delle 23, al cielo stellato.

    La notte in Norvegia? L'attendi con ansia. E non arriva mai. Dura pochissimo ed è emozionante. Per i colori e l'atmosfera.

    Oslo è una città infinita. L'orizzonte non si vede. Si estende per circa 40 chilometri. Ordinata, pulita, elegante come tutte le capitali nordiche. Barriere architettoniche inesistenti e semafori acustici in ogni angolo di strada (c'è da meravigliarsi? Solo per il fatto che tutto il racconto è datato all'inizio degli anni ottanta. E trentatre anni fa era già all'avanguardia. In tutto).

    L'esplorazione della grande città era piacevole. Nonostante il peso degli zaini. Trovammo un b&b centrale per dormire. Una famiglia particolare. Lui, burbero; lei, forse una attrice in pensione, innamorata di Napoli e dell'Italia. La mattina, servendo la colazione, intonava inverosimili melodie napoletane e ammiccava sorrisi, cercando risposte nei nostri sguardi stralunati. Fu un incontro molto caldo. Al punto che all'alba ci trovammo i vigili del fuoco in casa. I vestiti di un compagno di viaggio presero fuoco. Li aveva sistemati su uno scaldino a muro, usato come gruccia. Paese che vai, usanze che trovi.

    Il lungo viale centrale che dalla stazione ti portava alla villa e al Palazzo Reale (oltre tre chilometri pedonali), meta delle famigliole norvegesi, era la vera ragione del nostro soggiorno nella capitale.

    Negozi coloratissimi, pub, night club, bar elegantissimi ed uno struscio mattutino e serale da far girare la testa. Come le fanciulle norvegesi.

    Noi, studenti di belle speranze, mediterranei nei tratti e nei comportamenti, avevamo individuato la nostra base strategica per socializzare. Eravamo pronti ad allargare le nostre conoscenze europee e, sopratutto, a lanciare ponti importanti per la futura comunità europea.

    E da europeisti convinti puntavamo sulle nostre doti diplomatiche e sulle improvvisazioni gestuali. Da bravi studenti italiani in gita. Ci piaceva il grande nord, ma avevamo qualche dubbio sulle nostre capacità... comunicative.

    In realtà, eravamo piuttosto intimoriti dalle bellezze eccessive delle fanciulle di Oslo.

    Non avevamo compreso quanto fosse considerato il fascino mediterraneo.

    Lo standard nordico è: capelli biondi, occhi azzurri come il cielo, altezza minima 185.

    Il nostro standard è: capelli scuri, occhi neri come la notte.

    Ma sull'altezza non avevamo problemi: tutti fuori standard.

    Ebbene le ragazze norvegesi cercavano proprio i mediterranei. E noi non lo sapevamo...

    Qualcosa intuimmo dopo il quarto abbordaggio tentato sul lungo corso al nostro arrivo ad Oslo.

    Le nostre tappe erano decise: dovevamo rimanere non più di tre giorni nella mitica capitale norvegese per poi risalire fino a Capo Nord. Ma qualcosa non andò per il verso desiderato. Come spesso accade.

    Così, iniziarono i nostri guai... E il viaggio subì modifiche profonde rispetto ai piani strategici studiati un bel giorno a casa del mio amico Jacopo.

    Ho ancora davanti agli occhi la cartina europea e gli stecchini che usavamo per fissare visivamente le tappe. Questo metodo non l'ho più dimenticato. E riaffiorò tra i ricordi qualche anno dopo, seguendo in tv Emilio Fede, che segnalava con le bandierine gli ultimi successi del capitano Silvio. Come sono cambiati i tempi.

    Noi avevamo gli occhi lucidi e riuscivamo ad esaltarci pronunciando tutte le città del tragitto. Eravamo eccitati al solo pensiero di tratteggiare con il pennarello: Avellino- Napoli- Monaco- Amburgo - Copenaghen - Oslo e via via le altre tappe.

    Eccitati? Anche troppo.

    Durante una discussione sull'itinerario del viaggio, più animata del solito, una tazza di caffè volò sulla Germania, macchiandola irrimediabilmente. Era l'unica nostra cartina europea (erano già iniziati i risparmi estivi per il viaggio). Così si decise di saltarla in sole due tappe visibili prima Monaco e poi Amburgo... Come dire: le nostre erano scelte... oculate e valutate attentamente. 

    RILEGGENDO IL DIARIO

    E' un viaggio a ritroso. Pesco tra le carte ingiallite. Tra i ricordi che riaffiorano del classico giro indimenticabile. Appunto. Non ricordo più nulla. In qualche scaffale perso, nell'angolino più remoto. Così, ritrovo le foto che consideravo tutte in bianco e nero ed invece sono a colori. Ecco il viaggio, deciso nei pomeriggi di quella calda estate irpina a casa di Jacopo. La nostra meta, inutile dirlo, era Capo nord.

    Si doveva programmare tutto. Distanze, costi giornalieri da sopportare, ostelli della gioventù dove dormire ed imprevisti. Così raggranellati i diversi premi familiari per il diploma ottenuto, dopo anni di sacrifici scolastici disumani, i risparmi del piccolo salvadanaio, iniziò la prima ricerca della compagnia adatta e poi, la richiesta dei vari documenti, all'epoca non c'era internet e neanche i last tour e i low cost, l'Europa era solo immaginata ma decisamente divisa (e non solo per la moneta). In tempi record (circa un mese) ci procurammo i passaporti ed iniziammo una fitta corrispondenza con i consolati di Danimarca, Norvegia, Svezia e Finlandia per raccogliere le ultime notizie utili per il viaggio. Viaggiare in Europa era ancora una bella avventura.

    La compagnia prese forma quasi subito. Erano tutti più grandi di me, ma solo di qualche anno. Io? Da pochi giorni avevo il diploma in tasca. Gli amici? Tutti studenti universitari, ma sotto i 26 anni (età limite per procurarsi l'InterRail). Era una compagnia eterogenea: Jacopo, Emilio, Franco.

    In pratica un futuro ingegnere, un professore, un imprenditore. Ma all'epoca eravamo solo studenti squattrinati, sognatori un po' naif, ed europeisti convinti.

    Tutti animati da una gran voglia di divertirsi, conoscere e ...ridisegnare l'area del vecchio Continente. In viaggio con mille certezze e un milione di dubbi.

    A partire dai confini. Sognavamo di oltrepassare la Cortina. Ma non potevamo andare ad Est. Troppe difficoltà burocratiche: consolati, visti ecc. ecc. Una parte della vecchia Europa era impenetrabile... Almeno per noi.

    Poco male. A Napoli ci procurammo la carta degli ostelli (all'epoca 26.000 lire) e ci informammo sull'InterRail (lire 175.000, tutto documentato nei miei appunti da ragioniere). Con la carta degli ostelli dormivamo in tutte le strutture residenziali riservate agli studenti (per un massimo di tre notti in ogni struttura; queste erano le regole dell'epoca). Con l'InterRail si viaggiava in seconda classe su tutta la rete ferroviaria d'Europa senza costi aggiuntivi e con un chilometraggio illimitato, ma con un limite: il tempo, durava solo trenta giorni. All'epoca non esistevano altre soluzioni per i ragazzi o reti alternative.

    Infine, lo zaino. Erano di due tipi: militare e post modern. Non ho mai avuto dubbi: il mio doveva essere... attrezzato. Era rosso con la spalliera rigida e con un buon numero di adesivi o spillette contro tutto (nucleare ecc. ecc.). Purtroppo non c'erano ancora gli zaini ultraleggeri e in materiale provato e collaudato nel tunnel del vento. Ma esistevano già i kway (italianizzato). Utilissimi nelle località più a nord dove il sole era una eccezione. Il nostro primo scopo era quello di portare tutto l'indispensabile e non superare il peso sopportabile.

    Ricambio di mutande, magliette, pantaloni, calzini a volontà ed ovviamente la giacca a vento ed il sacco a pelo, sistemato sopra lo zaino. Ma

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