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Follow The Winner
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About this ebook

Finanza e denaro, mercato, attesa e adrenalina in un thriller psicologico ad alta tensione.
Nello stile di trading di Arduino non ci sono mai stati gap: da quando ha trasformato una passione in un business, vive sempre all’erta, ventiquattr’ore su ventiquattro, il suo ritmo interno non si spegne mai e lui sa sempre cosa fare. Non si affida al caso, né ai rumor ma punta sulla strategia proprietaria che ha disegnato e registrato. La sua vita è perfetta: una posizione invidiabile, un lavoro splendido, una bella casa e una famiglia meravigliosa. Tutto scorre alla perfezione fino a quando, dal nulla, fa la sua comparsa una minaccia senza nome e senza volto che rischia di far saltare l’intero quadro.

Arduino Schenato è uno dei più quotati e seguiti trader del panorama nazionale. Dopo “Professional Trader” (2010), “Il business del Forex Trading” (2011) e “The 2R Strategy” (2013), “Follow the winner” è il suo primo romanzo.
LanguageItaliano
Release dateDec 15, 2015
ISBN9788892529588
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    Follow The Winner - Arduino Schenato

    Arduino Schenato

    FOLLOW THE WINNER

    È tutta questione di tempo, di ritmo,

    di restare sul pezzo, sempre, fino alla fine.

    Dicembre 2015

    Titolo:

    Follow the winner

    Pubblicato per la prima volta in Italia nel 2015

    Copyright Arduino Schenato

    Copertina:

    thebrandgang.com

    Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta, registrata o trasmessa, in qualsiasi modo o con qualsiasi mezzo, senza il preventivo consenso formale dell’Autore.

    Ognuno di noi negozia il suo tempo per soldi.

    Ma in gioco c’è molto di più.

    Arduino è uno di quelli che ha capito tutto questo.

    Sa di poter contare sull’amore.

    I soldi per lui sono la misura del suo talento professionale.

    La vita per lui inizia solo dopo i soldi.

    Maxx Mereghetti

    EPISODIO UNO

    MANHATTAN, 4 LUGLIO 2014.

    Lo squalo è nel suo acquario. Guarda lo skyline dando le spalle a una scrivania verdastra più lunga di una macchina. Dietro di lui, duecento metri di rovere verniciato opaco nello stesso tono del Pantone 8321 C delle pareti, mostrano lo scenario surreale e vagamente inquietante dell’ufficio di Mr. Hoffmann. È un po’ fissato, Mr. Hoffmann, con i colori. Col verde, soprattutto quello militare, tra il salvia e il grigio.

    Le sue spalle sono rivestite da una camicia bianca, cui si sovrappone un abito sartoriale al cui interno, dettagli giallo puro, giallo Bijan, rivelano la provenienza del capo.

    Viene da Rodeo Drive, quel vestito, ed è uguale alle altre decine di abiti realizzati sulle misure di Mr. Hoffmann, cliente il cui nome è da tempo inciso sulle vetrine del designer iraniano, stilista di Barack Obama, Vladimir Putin, Michael Jordan, Giorgio Armani e Anthony Hopkins.

    Ha stile, non c’è che dire. A cinquantasette anni, Mr. Hoffmann è un uomo piacente, e sexy, a quanto pigolano gli stormi di fanta-fighe che gli girano intorno. E lo è sul serio, certo, ma se oltre a un bel faccino non avesse la fama di essere anche uno degli uomini più ricchi del pianeta, lo scenario, lo sappiamo tutti, sarebbe diverso.

    Se Mr. Hoffmann fosse un operaio di un’industria pesante o un impiegato di terzo livello, le sue fossette e il naso adunco, sottile, perfettamente tracciato, sarebbero molto, molto meno affascinanti.

    La mancanza di un orologio al polso non sarebbe la proclamazione di uno status di assoluta libertà, osannata da un filo di snobismo, ma solo penuria di mezzi. Se Mr. Hoffmann non fosse quel Mr. Hoffmann, non portasse quei vestiti, non guidasse una Bentley e non avesse due miliardi di patrimonio immobiliare, ma vivesse in un condominio in periferia, nessuno lo noterebbe.

    È il quattro luglio. Tutti i suoi uomini sono a casa a festeggiare. Lui è in ufficio. Non gli interessa sia il quattro luglio, non sente la ricorrenza e non ha niente da celebrare perché non è americano. Suo padre lo era, ma lui il padre non sa nemmeno che faccia avesse. Sa solo che manteneva lui e sua madre e che non si è mai fatto vivo, se non dopo morto, tramite uno studio legale e con una somma di denaro così alta da mettere fine, di colpo, a tutti i suoi tentativi di diventare un billionaire prima di compiere trent’anni.

    Lavorava come uno schiavo da un broker. Aveva una sottospecie di contratto in stage, come altri quindici come lui. Dalle dieci all’una di notte. Faceva l’analista. Studiava il mercato e i suoi andamenti. Seguiva le curve, le impennate. Stilava rapporti e proiezioni. Leggeva quotidiani in cinque lingue diverse: inglese, francese, tedesco e russo. Oltre all’italiano. Non c’era internet, allora. Si usava il telefono e il fax.

    Dopo la Bocconi e il master alla HEC di Parigi, prima di compiere i ventisei anni, partendo da cinquanta K, aveva già triplicato il capitale, dopo averlo più volte quasi azzerato.

    Alla morte del vecchio, quello che non aveva nemmeno mai conosciuto e aveva messo incinta sua madre, comprò il broker da cui lavorava e iniziò a fare sul serio. Quattro anni più tardi, aveva un ufficio a Milano, uno a Londra e ne stava aprendo un altro a Manhattan. Acquisiva clienti in modo facile: per farlo, gli bastava comprare azioni dei suoi competitor. Li puntava, li scalava, li incorporava.

    Non c’erano distrazioni, non c’era mai stata una signora Hoffmann, né una compagnia per più di un weekend. Non che non fosse interessato al genere, ma aveva visto sua madre accompagnarsi a uomini diversi, più d’uno e non credeva potesse esistere qualcosa di vero su cui puntare. L’unica cosa su cui Mr. Hoffmann puntava sempre, da sempre, era il mercato, la complessa e diabolica sinfonia del mercato.

    Il quattro luglio del 2014, lui, l’italo-americano con due copertine dell’Esquire e una del Times, è in ufficio e sta aspettando Decilla, il suo CFO. L’ennesimo CFO dopo il primo licenziamento a sorpresa. Nel 2008, Hoffmann era riuscito ad evitare il disastro per un pelo. Il CFO di allora aveva investito con un piccolo broker locale piuttosto quotato e, galvanizzato dai rendimenti, aveva portato in consiglio la proposta di acquisizione.

    Hoffmann non si era fidato.

    «È uno schema Ponzi» - aveva bisbigliato, prima di chiudere il discorso.

    La settimana successiva i federali avevano ingabbiato il broker per una truffa da cinquanta miliardi di dollari.

    Da allora il turn-over dei CFO era diventato routine. Chi entrava in carica sapeva di avere al massimo sei mesi. Sette, per i più meritevoli, poi Hoffmann cambiava il tavolo, sostituiva il Croupier.

    «Voglio proprio sentire cosa mi dirà. Voglio capire da chi ha preso l’informazione».

    Andrea Decilla, mentre Hoffmann, spalle alla porta, guarda fuori dai vetri, oltrepassa l’ingresso. Lo swuff dell’apertura automatica lo fa girare.

    Nei ventisei minuti che seguono, senza convenevoli, Mr. Hoffmann capisce tutto. Osserva il giovane, lo vede mentire, coglie i movimenti oculari, legge il panico e ottiene, in poco, la verità. Non è sua la strategia di cui va tanto fiero. Non è suo lo schema che ha provato a mettere in discussione il modello su cui Hoffmann ritiene di aver costruito il suo impero. Viene dalla rete, da lontano, rimbalzato nell’etere dall’ufficio di Via G.B. Pirelli, amplificato dai rumor cresciuti in casa sua e ripetuti come mantra fino a diventare tam-tam e oltrepassare l’oceano. Arriva da un minuscolo trader italiano che sostiene di avere una risposta per tutto, che è certo, incrollabilmente certo, delle proprie certezze e, armato della sicurezza dei dilettanti, osa sfidare i colossi della finanza mondiale.

    Quello che ha appena scoperto da Decilla, la cui pronuncia americana – the killa - sta per rivelarsi un boomerang che lo rispedirà a casa, non gli basta: Mr. Hoffmann non si accontenta. Come sempre, lui deve approfondire, sapere tutto, confrontare ogni dato e inserirlo nel suo algoritmo. Solo così le sinapsi, poi, tracceranno il quadro fin nei minimi dettagli. Niente può essere considerato superfluo, per lo meno nella cernita iniziale.

    Ogni informazione deve essere incasellata e classificata. Come tutto quanto. Perfino la cancelleria, nei suoi uffici, è sempre nella stessa posizione, etichettata e controllata con procedure in and out.

    Lo chiamano The Maniac, spesso, i suoi. Lo fanno a bassa voce, di nascosto, ma lui lo sa e non gli dà fastidio. Anzi. Se ne compiace. È l’uomo dei dettagli, lui ed è su quelli che tesse la sua rete di suggestioni.

    Gli basta un’inezia, un particolare per altri irrilevante, per ordire una catastrofe al ribasso o far lievitare una bolla fino alle stelle.

    Secondo le ricerche dell’archivio più grande del mondo, nel suo albero genealogico pare ci sia un certo Ernst Theodor Amadeus, uno scrittore tedesco del diciannovesimo secolo che riuscì a influenzare Baudelaire, Poe, Balzac, Gogol e Dostoevskij. L’arte del condizionamento ce l’ha nel sangue, lui, da sempre, da prima ancora di nascere, crescere, studiare, diventare milionario e darsi all’alta finanza.

    Dicono anche che non abbia una vita. Che non sappia nemmeno cosa sia una vita, lui.

    È quello che pensa Andrea, mentre, spalle allo specchio e sguardo ai numeri che scorrono sulla parete destra dell’ascensore quattro, scende chiedendosi cosa dirà a casa. Cosa racconterà a sua moglie. Pensa al mutuo, Andrea. Al mutuo appena sottoscritto per comprarsi una seconda meravigliosa casa negli Hampton.

    Sapeva delle voci, era al corrente del turn-over, ma non credeva potesse toccare anche lui. Si sentiva arrivato, Decilla. Fino a ieri, almeno. Fino a quella mattina.

    «Non finirò in mezzo alla strada» - pensa, dando calci all’aria, sul marciapiede sotto l’ufficio.

    «Lo stronzo, The Maniac, sarà costretto a coprirmi d’oro, per questo … e fra una settimana, due al massimo, sarò da Liberheim, o in JPJ» - si ripete, pensando al suo paracadute, al contratto blindato siglato pochi mesi prima e facendo finta di non sapere come mollare Hoffmann, essere mollato da Hoffmann, fosse in ogni caso una sconfitta.

    2 Ottobre

    GLI HATERS

    Le bambine dormono. Eleonora è di là che legge. Il portatile è chiuso. Le newsletter sono partite venti minuti fa. Qualcuno le starà guardando ora. Qualcun altro le avrà già lette.

    Mi guardo intorno. È quasi mezzanotte e sta piovendo. Ho una bella casa, una bella moglie, una bella famiglia. Faccio una bella vita. Posso permettermi di lavorare un paio di ore al giorno, di comprare oggetti costosi. Sono libero di scegliere. Non ho un cartellino da timbrare, o un capo cui rispondere. Il mio unico capo sono io. A parte mia moglie, ovvio.

    In poco più di dieci anni, sono arrivato a fare più soldi di quanti me ne servissero.

    Per due volte, ho perso tutto.

    Almeno dieci, ci sono andato vicino.

    Ogni giorno, rischio denaro in prima persona, mettendoci la faccia, con i conti in chiaro.

    Punto tutto su una sola parola: il quando.

    Ogni giorno, ripeto le stesse azioni, seguo lo stesso schema.

    Ogni giorno, dall’apertura alla chiusura, il mercato mi parla e mi segue.

    E con il mercato, mi segue il grano.

    Con il grano, i follower e fra loro, gli hater.

    Numero 1

    Da: HANGINGMAN

    Oggetto: NUMERO 1.

    Data: 6 ottobre 2015 01:12:55 CEST

    Ciao Arduino. Com’è andato il trade di ieri? Spero che tu non abbia fatto lo stesso errore che ho fatto io. Sarebbero cazzi amari, altrimenti. Ma no, sono sicuro che non è così. Tu sei un trader esperto, un professionista del settore, conosci i tuoi metodi. Sai quando entrare e quando uscire dal mercato. Ti dice tutto il grafico, non è così? Me l’hai insegnato tu, caro mio. Ma ieri, invece, cos’è successo? Problemi in famiglia, Arduino? Scarsa lucidità? Monitor appannati? Lo sai quanto mi hai fatto perdere? Tutto. Non ti scrivo la cifra tonda, perché mi vergogno come un cane, di fronte ad uno come te. Ho perso tutto. Tutto quello che ho guadagnato in una vita. E ora, Arduino, che si fa, bello mio? Nel pacchetto Fx Insider non ci sono per caso dei gettoni da spendere al bisogno? Non c’è un po’ di credito d’emergenza per un poveraccio che ti ha dato fiducia, che ha creduto in te?

    Scrivimi Arduino, al più presto, con una soluzione. Tu mi devi aiutare. Tu mi ha fatto finire nella merda. E ora tocca a te di tirarmici fuori, perché, detto tra noi, io non so davvero che cazzo fare.

    Per sempre tuo

    The Hanging man

    P.S. = Non ti stupirà il mio nuovo nome. Lo credo bene. Tu lo sai che cosa intendo, firmandomi in questo modo. Tu lo sai che sono l’ombra di me stesso.

    6 Ottobre

    IT’S GONNA BE OK

    Rovigo

    Ore 06:15, suona la sveglia.

    Guardo Eleonora stiracchiarsi.

    La guardo, ma senza farmi vedere. Non voglio si accorga che sono sveglio. Voglio guardarla con calma, stamattina, come se non ci fossi.

    Giro la testa verso di lei e rimango immobile. La spio, tra le palpebre socchiuse.

    Guardo i suoi occhi ancora insonnoliti, le sue grandi ciglia lunghe lunghe che sbattono. I suoi capelli biondi. Le sue gambe. Le sue belle gambe.

    È molto buona, Eleonora. E paziente. Soprattutto con me.

    Ci siamo conosciuti da ragazzi. Avevo diciassette anni e facevo un programma di Black Music alla radio locale. Ce n’erano pochi al tempo. E già allora, ero uno avanti, un pioniere. Era il ‘97. Andavamo in sala prove con le cassettine.

    Un giorno, durante la trasmissione, chiesi se ci fosse qualche signorina interessata alla parte melodica.

    Quante ragazze risposero a quell’annuncio! Che casting! Non me lo sarei mai aspettato. Tra di loro, c’era Eleonora. È stata una delle ultime. Prese il microfono e mi uccise, in modo positivo, con un pezzo di free style, attaccandomi. In italiano.

    Era ciò che ci mancava. Nacquero i Continuo Rilasso.

    E poi, dopo, ne abbiamo fatte tante.

    Non ci siamo mai mollati. Siamo cresciuti insieme.

    Oggi Eleonora fa parte della società. Segue le strategie di comunicazione. Siamo due strateghi, io e lei.

    Saremo anche uguali, io e lei, ma intanto, mentre io rimescolo le carte del mio passato come un pigrone tra le coperte, Eleonora s’è già alzata da un pezzo, e mi chiama. Una, due, quattro, sei, dieci volte. Faccio un po’ di fatica, la mattina, a tirarmi su dal letto. Ma poi, di colpo, mi alzo di scatto, e vado sotto la doccia.

    Nell’altro bagno, Eleonora fa altrettanto.

    Appena resto da solo mi ricordo di tutto. E sento la rabbia che cresce, che non ne vuole sapere.

    Appoggio la mano destra al marmo, faccia al muro, piego la testa e sento l’acqua scorrere sulla nuca.

    Cazzo, penso. La gente non capisce che in questo lavoro tutto quello che fai, dipende solo da te. Ma vallo a spiegare a un pazzo! Che posso fare io? Non voglio mettermi nei casini. No di certo. Non so se parlarne con Eleonora. Forse anche lei dovrebbe sapere. Le lettere di questo tizio si fanno insistenti, e ho un po’ di paura per lei, per le mie bambine.

    Ma devo stare calmo. Aspettare. Sarà una cosa che si sgonfia da sola. Altrimenti, sarebbe già passato ai fatti. Sono solo minacce, parole a vanvera, deliri di un folle. Spero tanto che sia così. Non vorrei farmi rovinare la vita da uno stronzo. Però devo stare attento. Dobbiamo stare attenti.

    Lascio che la tensione scenda, scorra via nello scolo. Respiro. Inspiro ed espiro. Tengo gli occhi chiusi, cerco di rilassare le sopracciglia.

    IT’S GONNA BE OK.

    Mi ripeto.

    IT’S GONNA BE OK.

    Sono passati dieci anni dalla California, ma quando qualcosa va storto, è là che torno, a Bakersfield, tripudio del trash della West Coast. Torno a me, prima di diventare quello che sono. A quando vivevo là, come le star e i billionaire di Instagram.

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