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Juan Pablo Viscardo y Guzmán - Lettera agli spagnoli americani scritta da un loro compatriota
Azioni libro
Inizia a leggere- Editore:
- Vincenzo Paglione
- Pubblicato:
- Dec 24, 2015
- ISBN:
- 9788892529946
- Formato:
- Libro
Descrizione
La Carta assume un’importanza direttamente politica con conseguenze di lunga durata. L’ora dello smembramento dell’impero era ormai ineluttabilmente segnata dal malessere e dallo scontento prevalente nelle colonie ispaniche dell’America, condizionata dalla forza travolgente che pian piano si stava sviluppando nelle viscere del corpo sociale americano. Una serie di movimenti e insurrezioni significative confermava che si stava sviluppando una coscienza autonomista.
La Carta si fa strumento di un’operazione di vasta portata civile, intesa a incidere sulla realtà contemporanea, giacché per la prima volta propone l’idea complessiva di una organizzazione sociale ed economica, dei rapporti politici e dei rapporti fra le classi. In altre parole questo documento, critico verso l’oppressione assolutistica, svolgerà un ruolo di primo piano nell’avvio del processo d’indipendenza dell’America meridionale.
La biografia italiana di Viscardo è corredata da un apparato di note essenziali, imprescindibili anche per i lettori più dotti.
Vincenzo Paglione.
Professore di lingua e cultura spagnola.
Cultore di storia e civiltà dell'America Latina.
Vive e lavora come docente in provincia di Como.
Informazioni sul libro
Juan Pablo Viscardo y Guzmán - Lettera agli spagnoli americani scritta da un loro compatriota
Descrizione
La Carta assume un’importanza direttamente politica con conseguenze di lunga durata. L’ora dello smembramento dell’impero era ormai ineluttabilmente segnata dal malessere e dallo scontento prevalente nelle colonie ispaniche dell’America, condizionata dalla forza travolgente che pian piano si stava sviluppando nelle viscere del corpo sociale americano. Una serie di movimenti e insurrezioni significative confermava che si stava sviluppando una coscienza autonomista.
La Carta si fa strumento di un’operazione di vasta portata civile, intesa a incidere sulla realtà contemporanea, giacché per la prima volta propone l’idea complessiva di una organizzazione sociale ed economica, dei rapporti politici e dei rapporti fra le classi. In altre parole questo documento, critico verso l’oppressione assolutistica, svolgerà un ruolo di primo piano nell’avvio del processo d’indipendenza dell’America meridionale.
La biografia italiana di Viscardo è corredata da un apparato di note essenziali, imprescindibili anche per i lettori più dotti.
Vincenzo Paglione.
Professore di lingua e cultura spagnola.
Cultore di storia e civiltà dell'America Latina.
Vive e lavora come docente in provincia di Como.
- Editore:
- Vincenzo Paglione
- Pubblicato:
- Dec 24, 2015
- ISBN:
- 9788892529946
- Formato:
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Anteprima del libro
Juan Pablo Viscardo y Guzmán - Lettera agli spagnoli americani scritta da un loro compatriota - Vincenzo Paglione
Introduzione
Fra gli scritti pervenutici dal gesuita peruviano Juan Pablo Viscardo y Guzmán riferibili ai suoi anni di travagliata esistenza in Europa, intorno agli ultimi decenni del secolo XVIII, alcuni trovano la loro origine nell’emergere di una nuova cultura laica e critica nel campo dell’erudizione e in una sempre e più acuta consapevolezza dell’arretratezza nella quale si trovava il subcontinente americano nei confronti dell’Europa. Se da una parte nel Vecchio Continente gli appartenenti alla Congregazione di Gesù restavano pur sempre, e nonostante l’incorporazione delle nuove idee nel loro sistema di pensiero, fedeli sostenitori dell’autorità del pontefice e dell’ordinamento sociale esistente, dall’altra, invece, i loro confratelli d’oltremare, mostravano un atteggiamento più critico e razionale che li portò a sfidare, anche se con molte esitazioni e cautele, i rapporti sociali e ideologici dell’America spagnola dell’epoca, rafforzando in loro, nello stesso tempo, la speranza di migliorare le cose con alcune riforme e cambiamenti. Il decreto di espulsione del 1767 costituirà il detonatore che consacrerà ai padri della Compagnia d’indagare e diffondere la conoscenza sull’America. Costretti ad agire in un ambiente che non offriva particolare interesse verso la loro condizione di sradicati, i confratelli assunsero il ruolo di informatori di prima mano della realtà del continente americano ponendosi, retrospettivamente, in una posizione ancora più vantaggiosa, poiché entrarono in diretto rapporto con l’Illuminismo europeo con il quale si confrontarono direttamente proprio nel loro esilio italiano.
Il periodo storico di cui si parla nel presente lavoro prese l’avvio con l’affermazione da parte della rivoluzione americana del 1776 e di quella francese del 1789, con la divulgazione dei diritti umani, dei principi di eguaglianza civile, di libertà e di sovranità popolare. Questi principi diverranno inseparabili dai processi di trasformazione politica che contraddistinguerà i secoli successivi. Verso la fine degli anni quaranta del Settecento i progetti riformatori, che facevano riferimento ai modelli francesi, investono l’ordine coloniale del periodo della Conquista. Successivamente, l’avvento della rivoluzione americana costituirà una sfida nei confronti della prima potenza mondiale dell’epoca, la Gran Bretagna, nei confronti della quale si rivendicava il riconoscimento come una azione pari grado. Per la società europea della seconda metà del Settecento, ciò appariva un evento inconcepibile che preludeva a un indebolimento dei vincoli tra metropoli e vicereami; non è un caso se pochi intellettuali avveduti avevano avvertito che i rapporti di forza tra le due sponde dell’oceano si stavano lentamente modificando. Per l’élite culturale dell’epoca fu l’inizio di una rottura con il passato. L’interruzione della continuità con i suoi modelli limitativi e della fiducia nella critica della ragione, ma anche il dubbio e l’incertezza, insieme angosciosa e feconda, esprimevano nel modo più incalzante il distacco dalla religione e l’accettazione del nuovo ideale politico, civile e morale di cui si facevano fautrici le due rivoluzioni e verso il quale la coscienza europea con riluttanza cedeva il passo.
A tal proposito l’Illuminismo diveniva il fautore di una terminologia che esprimeva l’inevitabilità e l’ineluttabilità del progresso inteso nella sua accezione di acquisizione graduale da parte della società di forme di cultura, di civiltà, di organizzazione sociale e sviluppo economico e politico sempre più evoluti. Con i concetti di evoluzione, rivoluzione e, per l’appunto, progresso, allora proposti dalla corrente illuminista vide l’opportunità di riorganizzare il mondo secondo principi la cui validità poteva essere applicata sull’intera totalità sociale traendone vantaggio a tutti.
La Carta dirigida a los españoles americanos por uno de sus compatriotas (d’ora in avanti, per ragioni di comodità, si adotterà il termine più abbreviato di Carta) assume in questo contesto un’importanza direttamente politica con conseguenze di lunga durata, che è giusto ricordare in questo spazio per gli sviluppi di cui parleremo più oltre. Questo documento consente di tener presente la dimensione europea e americana della circolazione delle idee trasmettitrici di una nuova cultura che s’inserisce all’interno della dialettica del vecchio e del nuovo, della cultura ufficiale e della cultura di opposizione. E la rottura con il passato si manifesterà anche nel campo degli stilemi adoprati per la redazione della Carta, dove l’autore adotterà una sintassi più snella con il fermo proposito di allontanare gli artifizi barocchi che la caratterizzavano in modo da rendere la prosa più incisiva e immediata. L’obiettivo perseguito era quello di raggiungere un pubblico ancora più esteso, cioè per un verso, il lettore europeo, data la prossimità geografica e a cui interessa farsi una opinione dell’idea dell’America, per un altro verso, quello americano nella prospettiva di formare una coscienza nazionale che l’autore giudicava inseparabile dall’assimilazione della cultura moderna. L’autore della Carta mette in atto dei distinguo tra un tipo di cosmopolitismo svuotato e formalistico come quello che aveva messo in moto il monarca spagnolo Carlo III e, quindi, gradito al potere dell’ancien régime e un cosmopolitismo che sorgeva da una esperienza concreta, radicata nella situazione reale e capace di rappresentare il popolo sudamericano sul piano extracontinentale. Tuttavia al monarca spagnolo va riconosciuto il merito di aver introdotto nelle colonie d’oltreoceano una maggiore libertà intellettuale che si tradusse sotto forma di accademie, scuole e giornali che consentirono la diffusione delle conoscenze filosofiche e scientifiche, punto di partenza di quello che diverrà in un secondo momento il processo emancipatore latinoamericano.
Il controllo sterilizzante e inquisitorio che la Chiesa esercitava nel continente americano e molto sovente in alleanza con le autorità coloniali giungerà al suo culmine con la cacciata dei gesuiti e determinerà in questi una nuova affermazione della libertà intellettuale. Senza la presenza e l’interrelazione della cultura umanistica, e quella filosofico-scientifica resa nota dai suoi rappresentanti nell’Europa del Settecento, la dimensione socio-culturale di una presa di coscienza rinnovatrice non avrebbe potuto svolgere la sua azione se prima la società nel suo complesso non fosse stata obbligata ad accogliere temi e motivi i cui orientamenti riformatori avrebbero comportato l’acquisizione di una sua autonoma fisionomia, nonché la consumazione e conseguente rottura di quei registri che servivano come arma ideologica in chiave anti illuministica i quali ottundevano le aspirazioni etiche e politiche dei fautori del progresso economico e sociale.
A partire da questi contrasti, si può comprendere il processo storico che porta alle guerre d’indipendenza latinoamericane con la formazione delle nuove correnti dell’ideologia nazionale, forti della volontà di fondare nel presente una società diversa e più ragionevole, il che evidenziava una scelta di fondo comune, ovvero quella di affermare il primato della politica. Ma è ovvio che un lavoro di questo genere è debitore a schiere di studiosi che hanno illuminato il cammino della storia della Carta e che ci hanno consegnato un dominio di studi molto ricco, denso di problematiche appassionanti sul processo d’indipendenza e sull’entrata dell’ex gesuita arequipeño nel panteon dei precursori dell’emancipazione latinoamericana. Dopo le esemplari ricerche storiche di studiosi quali Merle Simmons e Ruiz de Somocurcio, per citarne solo due dei più importanti storici americani che hanno indagato sulla vita e l’opera di Juan Pablo Viscardo, sarebbe senza dubbio sconveniente pensare di aggiungere qualcosa di sostanziale al grande affresco storico già dipinto. Questo saggio ha un approccio riassuntivo. Con
il suo incipit sull’organizzazione sociale della colonia vuole indicare un antefatto per spiegare le ragioni che concorrono a definire quelle successive. Anche sul Settecento aspira alla completezza. Difatti la selezione dei temi, degli eventi e delle interpretazioni, è spesso personale. Il saggio per esempio, non penetra a fondo la vita quotidiana dell’autore e le pratiche sociali delle due società nelle quali visse Juan Pablo Viscardo, ossia, quella spagnola trapiantata in America e quella europea, così come di quella italiana e, successivamente, inglese nelle quali l’ex gesuita soggiornò come esule: spazio comunque diverso da quello di origine. Ad ogni modo si spera di poter suscitare una critica feconda e una emulazione nel campo degli studi della cultura latino americana in Italia. Il saggio vorrebbe colmare un vuoto, proprio per la sua differenza con le altre produzioni già pubblicate sulla storia dell’indipendenza dell’America latina e del resto poco numerose.
La citazione di un autore o di un’opera non costituisce una garanzia di comprensione, ciò nondimeno rivela che gli autori di cui si fa esplicita menzione in questo testo, godono di una presenza intellettuale nel panorama degli studi storici concernenti l’America spagnola.
Nella sua splendida Storia della punteggiatura in Europa il professor Bice Mortara Garavelli del Dipartimento di Grammatica italiana dell’Università di Torino, osserva che durante quasi tutto il Settecento la punteggiatura, sia in Spagna che nei paesi ispanofoni d’America, diventa sempre più rigorosa e controllata rispetto a quella del secolo precedente. Verso la fine del Seicento le pause indicate da una punteggiatura sovrabbondante rendevano grammaticalmente impossibile la lettura di un testo, soprattutto ad alta voce. Invece, afferma Garavelli, nel corso del suo lento sviluppo la punteggiatura Settecentesca recupera l’articolazione e il ritmo dell’emissione fonica e la definizione semantica del testo in modo da rendere chiare le divisioni del pensiero [Garavelli 2008, pp. 311-324]. Nel presentare la Carta dirigida a los españoles americanos, sia nella traduzione spagnola eseguita da Francisco de Miranda che in quella italiana, si è tenuto conto di questo fatto, il che rende necessario avvertire che si sono apportate occasionalmente delle variazioni alla punteggiatura e alla grafia del testo originale, in funzione di una maggiore chiarezza e uniformità dello stesso, anche se in molti casi la tensione tra i tratti tradizionali e le variazioni prodotte permane.
L’edizione in lingua spagnola utilizzata nel presente lavoro è quella pubblicata dal professor Antonio Gutiérrez Escudero della Escuela de Estudios Hispano-Americanos di Siviglia e apparsa nel 2007 nella rivista iberoamericana di studi filosofici, politici e umanistici, Araucaria, Università di Siviglia.
Sólo la minúscula
mutación de un
acontecimiento puede
poner fin a toda la
serie cíclica de
muchos iguales.
Juan Benet,
Un viaje de invierno
CAPITOLO I
La trasformazione dello spazio americano
A partire dalla formazione dello spazio politico-istituzionale dei vicereami dell’America centrale e meridionale, la cui amministrazione e controllo da parte dell’impero spagnolo si esercitava da ormai tre secoli, si andò definendo una rete di comunità locali eterogenee per dimensioni e ruolo economico. Alcune di esse ebbero un diffuso popolamento per l’ampio sfruttamento delle risorse minerarie, mentre altre, principalmente i piccoli nuclei costieri, furono destinate al controllo di vaste zone interne per lo più inesplorate. Tuttavia, una rete di comunità condivideva con le altre reti alcune caratteristiche di fondo:
Omogeneità delle strutture di governo con l’istituzione delle Audiencias (organismi collegiali con compiti giudiziari e amministrativi).
Definizione di un ceto dirigente variegato, ma sostanzialmente unitario.
Commercio monopolistico che faceva capo alla Spagna.
Va osservato che a ciò corrisponde il venir meno delle Audiencias[1], nel senso che nell’amministrazione pubblica si andò avvertendo un restringimento della giurisdizione ai singoli territori cittadini dove il Cabildo[2] –emanazione della comunità- s’inserisce come corpo deliberante e relativamente indipendente che il potere sovrano tende a tollerare. In questo modo si tracciarono due ambiti di potere le cui intersezioni costituiranno una delle principali modalità di funzionamento dell’impero coloniale spagnolo nei centri urbani [Arias Amaro T. 1981, pp. 81-83; AA.VV. 1989, pp. 83-89; Salcedo-Bastardo 2006, p. 110]. La circolazione di esponenti delle diverse élite urbane negli uffici delle Audiencias[3] definisce l’ambito urbano come il vero centro delle attività del governo della colonia il cui compito era di dare forma alla realtà circostante [Romero 1989, pp. 19-28]. Ciò non va inteso semplicemente come un mezzo di condizionamento da parte del potere centrale, in quanto organismo sovra regionale, ma nel suo complesso, la città diveniva espressione degli interessi delle diverse componenti della colonia. In questa forma il potere centrale poteva esercitare ideologicamente la propria egemonia e rispondere alle attese di ciascuna zona nell’ambito del differenziato mondo continentale.
Nondimeno la corona spagnola mirò soprattutto a impedire che le colonie si sottraessero alla sua autorità mediante l’istituzione di una élite fortemente interessata al rapporto con la Corte, cioè, con i funzionari stipendiati che, nell’ambito politico-amministrativo, giacché soggetti riconosciuti dal potere centrale garantivano il consenso nei confronti della monarchia. La natura di tale élite non può essere definibile in termini univoci, né è semplificabile nelle categorie più usuali, poiché è sul piano politico-economico, piuttosto che su quello dell’identità sociale, che è possibile definire il ceto dirigente delle colonie americane.La magistratura locale, la giustizia, le finanze e la fiscalità esprimono gli obiettivi contingenti di un ceto che fa da trait d’union con la Corona, garantendole un controllo
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