Dal Porcellum alla Terza Repubblica
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A queste e a molte altre domande cerca di dare risposte questo libro. Una panoramica sui fatti politici sulle esperienze elettorali con il sistema previsto dalla Legge 270 del 2005. Uno spaccato dell’Italia lungo dieci anni. Ma anche un’analisi su quello che è stato il sistema elettorale più criticato dell’epoca repubblicana. Un meccanismo che ha finito per rivoluzionare lo stesso sistema che avrebbe dovuto cristallizzare.
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Dal Porcellum alla Terza Repubblica - Simone Nardone
Ringraziamenti
Prefazione
ITALICUM, NO; EUROPAEUM, SÌ
di Gianfranco Pasquino
Scoprire che la legge elettorale n. 270 del dicembre 2005, fortemente voluta e approvata dal centro-destra, giustamente definita Porcellum, ha soltanto una volta su tre, nel 2008, prodotto una cospicua maggioranza in entrambe le camere, pur riducendo il numero degli sgangherati partiti italiani, è sufficiente per darle una valutazione negativa, argomentata, netta e severa. Vale anche la pena di aggiungere che in poco più di tre anni quella cospicua maggioranza berlusconiana, incapace di riforme, è tristemente evaporata. Fa bene Simone Nardone a documentare gli esiti delle tre tornate elettorali, 2006, 2008, 2013, nella quale il Porcellum è stato utilizzato. Fa altrettanto bene a rilevare quanti tentativi sono stati malamente e sfortunatamente effettuati per riformare quella legge, in particolare, i referendum per mancanza di quorum procurata dal centro-destra e la discutibilissima sentenza della Corte Costituzionale che ha impedito la reviviscenza del Mattarellum, non una legge ottima, ma migliore del Porcellum di allora e dell’Italicum di oggi e di domani. Qui, in sede di presentazione e di commento, credo opportuno fare due rilievi di fondo. Primo rilievo, i tentativi di riforma sono stati tutti caratterizzati da un elemento centrale: costruire quella specifica legge elettorale che prometteva di dare vantaggi al partito e al leader di riferimento dei sedicenti riformatori. Insomma, da una legge con altissimo contenuto partigiano, come il Porcellum, si è oramai malamente rotolati per aggiustamenti successivi ad una legge a contenuto partigiano meno visibile, ma sostanzioso. Secondo rilievo, in verità, i tentativi riformatori non sono mai stati condotti né con grande convinzione né con sufficiente competenza.
Non è una novità sottolineare che a qualsiasi dirigente di partito e di corrente fa oltremodo comodo disporre di una legge elettorale che consente, con (ir)ragionevole approssimazione, di nominare i propri parlamentari. Costoro saranno poi assidui, devoti, subordinati fino al servilismo, alla faccia dell’assenza di vincolo di mandato, poiché praticamente tutti (e tutte: omaggio ad una malposta e peggio interpretata parità di genere) desiderano fortemente essere rinominati/e. Dunque, nessuno di quei parlamentari sfiderà quella legge. Cosicché non sorprende che sia toccato alla Corte Costituzionale fare i conti con il Porcellum. Dopo più di un decennio di incerta, e, talvolta, irritante, giurisprudenza, la mutata composizione della Corte ha portato finalmente ad una decisione sufficientemente chiara e, per chi sa leggere, argomentata in maniera stringente.
Il Porcellum presentava due evidenti profili di incostituzionalità: 1) l’eccessiva entità del premio di maggioranza (e la differenza nelle modalità di attribuzione fra Camera e Senato) che distorceva oltre ogni logica l’esito del voto; 2) l’esistenza di liste bloccate. Il primo profilo cozzava in maniera esagerata e ingiustificabile contro il principio dell’eguaglianza del voto. Il secondo profilo ha compresso drasticamente il potere dell’elettore il quale, in sostanza, non poteva fare altro che scegliere un partito, ma non poteva in nessun modo scegliere il suo rappresentante in Parlamento. Ben poca cosa è la sovranità
popolare quando si riduce a tracciare una crocetta su un simbolo di partito. Troppa, invece, è la sovranità democratica, cioè del popolo, di cui si sono appropriati i dirigenti di partito e di corrente nominando i loro parlamentari, uomini e donne. Addirittura esagerata è la quantità di sovranità perduta dai cittadini-elettori, quando, come abbiamo rapidamente appreso dai tempestosi rapporti fra i parlamentari del Movimento Cinque Stelle e i loro due leader extraparlamentari Grillo e Casaleggio, costoro impongono il vincolo di mandato e lo traducono autoritariamente, non autorevolmente, nell’esercizio dell’espulsione.
Qui, inevitabilmente, sono costretto, ma lo faccio molto volentieri, ad andare oltre l’argomento trattato da Nardone. Sono sicuro che il lettore (anche nella sua veste di elettore e di cittadino che vuole saperne di più) si chiederà se la nuova legge elettorale formulata da Matteo Renzi e imposta all’approvazione del Parlamento risponda efficacemente alle obiezioni formulate dalla Corte Costituzionale al Porcellum. La risposta è chiaramente negativa. Infatti, il cosiddetto Italicum continua a presentare liste bloccate, ancorché corte. In particolare, dà per automatica l’elezione dei capilista di tutti i partiti in tutti i cento collegi previsti. Dopo un’intensa battaglia, è stato consentito agli elettori di esprimere uno o due, purché per candidati di genere diverso, voti di preferenza. D’altronde, anche se questo argomento è stato fatto valere poco, l’espressione di un unico voto di preferenza è stata approvata in un importante referendum popolare nel 1991, quello che diede inizio alla stagione riformatrice. Incidentalmente, non è vero che sarebbe automaticamente preda di scambio
e di corruzione, entrambe le fattispecie essendo, finalmente, sanzionate in maniera severa nella legge Severino. Poi, diamine, la soluzione migliore esiste, eccome: i collegi uninominali.
Quanto al premio di maggioranza, continua a essere cospicuo, anche nell’Italicum, e quindi a non rispondere all’obiezione della Corte relativa all’esagerata disproporzionalità. L’unico miglioramento in materia è quasi casuale, comunque soltanto eventuale. Qualora, accadimento che auspico, nessuna delle liste raggiungesse il 40 per cento dei voti, si dovrà andare al ballottaggio fra le due liste più votate. Qui si aprono due problemi. Il primo è il divieto di coalizioni che appare molto curioso, in realtà, faziosissimo, in quanto tutte le democrazie europee, ad eccezione della Gran Bretagna, sono governate da coalizioni. Il secondo problema è che, stando le cose come le rivelano i sondaggi, potrà essere che il ballottaggio lo vince una lista/partito che al primo turno ha ottenuto 27-28 per cento dei voti. Con il premio acqusirebbe il 54 per cento dei seggi ovvero quasi raddoppierebbe la sua rappresentanza parlamentare. Alla luce delle motivazioni della sua sentenza n. 1/2014, la Corte Costituzionale non potrà essere contenta. Che esista il problema lo ha dichiarato un po’ tardivamente l’ex-Presidente Napolitano. Attendiamo una soddisfacente dichiarazione in materia dall’attuale Presidente, Sergio Mattarella, che non dovrebbe fare finta di non intendersene. Tirando le somme, va sottolineato che, grazie al ballottaggio, l’elettore potrà scegliere davvero la lista/partito (meglio sarebbe la coalizione) che lo governerà e alla quale ha deciso di conferire consapevolmente quel premio. Disporrà di un voto pesante e decisivo.
Mi pare opportuno aggiungere, non soltanto per completezza di informazione, che il ballottaggio fra coalizioni costituiva uno dei punti di forza della proposta di riforma elettorale che il 4 luglio 1984 presentai nella Commissione Bicamerale per le Riforme Istituzionali, detta Bozzi dal nome del suo Presidente il deputato liberale Aldo Bozzi. Ne esiste un testo scritto e pubblicato e la si può ritrovare anche nella Relazione di Minoranza dei Senatori Eliseo Milani e Gianfranco Pasquino (della quale, va da sé, sono molto fiero).
Nell’eventuale ballottaggio, potrebbe persino succedere che Grillo arrivi a capire che, nelle democrazie parlamentari, se non la costruzione di coalizioni, almeno il trovare alleati è l’arte della politica e decida di chiarire l’importanza di questa opportunità ai suoi elettori e a tutti coloro che cercano alternative che rimettano in moto una dinamica competitiva che non passa soltanto attraverso manipolabili reti telematiche. Non indugio sul prezzo che il Movimento Cinque Stelle dovrà pagare poiché sono interessato a sottolineare l’aumento del potere degli elettori, sia di coloro che hanno già scelto le Cinque Stelle sia di coloro che non gradiranno le altre due liste o probabili coalizioni. Rimane, però, che, in buona sostanza, l’Italicum è soltanto un piccolo Porcellum, vale a dire, un porcellinum che non accresce per nulla il potere degli elettori. Se non sarà il Presidente della Repubblica a rinviare questa brutta legge elettorale al Parlamento, dovrà provvedervi, per evitare la perdita di credibilità, la stessa Corte Costituzionale.
Nardone analizza le proposte recenti, macchiate, come ho già notato, da partigianeria e anche da colpevole ignoranza dei precedenti. Il difetto più grave degli improvvisati riformatori elettorali è la loro intollerabile presunzione. Si ostinano a pensare che sanno fare meglio di quanto è stato fatto, e funziona da tempo, nelle democrazie parlamentari e semipresidenziali europee. Procedono a contaminazioni che fanno inorridire, che producono indigeribili marmellate di sistemi diversi fra di loro, applicati in contesti costituzionali troppo distanti da quello italiano. Nessuno, poi, si cura del potere degli elettori che deve essere la stella polare di qualsiasi riformatore elettorale. Insomma, Nardone ci porta fino a dove siamo arrivati, ma leggendo fra le righe, esercizio che consiglio anche ai lettori, si vedrà che con quello che è stato approvato, ma che già si suggerisce di ritoccare, non andremo da nessuna parte.
No, non cadremo dalla padella nella brace. Resteremo nella padella, forse una padella appena ridotta di dimensioni, ma ancora manovrata dai partiti, ovvero dai loro capi. Non è una bella prospettiva. Se, qualcuno vorrà poi anche chiedersi perché siamo male governati e peggio rappresentati, mentre Francia e Germania, ma anche Spagna e Svezia funzionano molto meglio dell’Italia, sappia che parte, probabilmente grande parte, della differenza è data dal fatto che quei sistemi politici hanno leggi elettorali non truffaldine, ma sane (e longeve), che conferiscono reale potere ai loro cittadini e che non vengono manipolate da chi vince. Dal libro di Nardone vorrei fare scaturire, per quanto indirettamente, anche il suggerimento che guardare oltre le Alpi è preferibile a guardare a formulette provinciali, appropriatamente definite italiche
. Meglio, molto meglio un Europaeum
.
Bologna, 7 novembre 2015
I. LA RIFORMA DEL DICEMBRE 2005
I.1 Nomi e dubbi d’identità
Quando si parla della riforma elettorale del 2005, si intende la norma che ha provveduto a modificare i meccanismi di conversione di voti in seggi, del sistema elettorale. Stiamo parlando della legge n. 270 del 21 dicembre del 2005, intitolata "Modifiche per l’elezione della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica", nota anche come Legge Calderoli.
Molto probabilmente, però, la legge elettorale, ai più è conosciuta come Legge Porcata o Porcellum. Tale dicitura è stata affiancata alla riforma, ben prima che potessero emergere i dubbi sulla sua efficacia, resi palesi nelle immediate elezioni della primavera del 2006. I nomignoli denigratori, richiamanti ovviamente al maiale, scaturirono a seguito delle colorite dichiarazioni dell’allora Ministro Roberto Calderoli, intervistato nel corso del programma di approfondimento Matrix in onda su Canale 5 il 15 marzo del 2006. L’allora esponente del governo incalzato dalle domande del giornalista Enrico Mentana non esitò a dichiarare: «Sono poco orgoglioso di quella legge. L'ho scritta io ma è una porcata». Di fatto, però, non fu il ministro a dare il nome alla propria legge con la dicitura nota a molti come Porcellum, ma il tutto avvenne per via della tradizione presente nel nostro paese a ribattezzare le leggi elettorali con dei latinismi. A coniare il famoso epiteto fu il politologo Giovanni Sartori, attraverso le colonne del Corriere della Sera. L’editorialista, dopo aver battezzato nel ’93 la nuova riforma come Mattarellum, prendendo spunto dal cognome del suo relatore, il popolare, oggi Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Nel 2006, a seguito delle dichiarazioni del Ministro Calderoli, non esitò a continuare la tradizione. In questo modo il termine coniato da Sartori è entrato a far parte sia delle battaglie politiche che della dialettica mediatica. E proprio per questo, a molti la legge è conosciuta come Porcellum, o addirittura in modo più diretto e meno professionale come Legge Porcata.
Quel che è certo è che la battaglia mediatica e politica, dentro e fuori dell’allora maggioranza di centrodestra, che accompagnò la nascita della nuova riforma elettorale, di sicuro andò ad influenzare negativamente il dibattito che culminò con le famose dichiarazioni del ministro. Anche la frase pronunciata da Calderoli, comunque è da estrapolare, mettendo in evidenza anzitutto la personalità eccentrica dell’uomo politico. Vi è poi da sottolineare il fatto che la legge 270/2005 è stata frutto di una difficilissima mediazione tra le varie componenti della compagine di governo di centrodestra.
In questo modo, se qualcuno prova a rivedere quella celebre intervista, noterà bene, come, al di là della sentenza cruda del ministro, lui stesso aveva spiegato che la riforma era comunque innovativa, poiché nel corso del tempo avrebbe consentito di arrivare a dei risultati, che avrebbero permesso a chiunque governasse, di poter fare delle riforme solo se capace di scendere a patti con le autonomie locali, grazie proprio alle novità che avrebbe prodotto il nuovo sistema elettorale, in particolar modo per quanto riguardava l’elezione del Senato. In realtà, saranno innumerevoli gli aspetti che verranno criticati di questa legge dai partiti d’opposizione, da diversi politologi, come anche da una gran parte dell’opinione pubblica.
Altri studiosi ed esperti dell’ingegneria elettorale in Italia, hanno voluto ribattezzarla non solo con il nome, che abbiamo fin qui ripetuto già diverse volte, ma anche in altri modi. I più noti e anche più corretti nonché professionali, sono il Proportionellum
introdotto dal politologo Gianfranco Pasquino e il Maggioritario di Coalizione
, espressione coniata dal collega, Antonio Agosta. Il primo, mette in evidenza degli elementi molto importanti: tra cui il fatto che "la legge 270 del 21 dicembre