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Ognuno Vuole Vivere per Sempre
Ognuno Vuole Vivere per Sempre
Ognuno Vuole Vivere per Sempre
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Ognuno Vuole Vivere per Sempre

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About this ebook

La ricerca, spesso inconsapevole, di risposte o della verità induce a percorrere sentieri sconosciuti e perlopiù inattesi.
Lungo la strada di Silvia avvengono incontri che in modo irreversibile cambiano il corso di una vita immobile, piatta, facendole prendere onde piacevoli, utili per crescere, ma anche onde pericolose, infide.
Silvia vive e lavora nella zona delle ceramiche, nel vicentino. Nella piattezza immobile sente soffiare il vento interiore dell’inquietudine che increspa la sua vita. Eventi importanti si susseguono in breve tempo.
La storia con Alfonso, erotica prima e d’amore poi, produce presto i suoi frutti sul piano della coscienza e l’autoinganno non tarda a mostrarsi tale. Emerge una consapevolezza nuova acquisita a caro prezzo in base all’inesorabile legge secondo cui ogni conquista presuppone una perdita.
L’amicizia con lo spirituale Guido, poi, la accompagna verso l’ineffabile. Le intuizioni e le spiegazioni semplificate dell’amico le fanno trovare una risposta importante. Forse la risposta per antonomasia alla domanda cantata con passione da Freddie Mercury: “Chi vuole vivere per sempre?”.
LanguageItaliano
Release dateNov 25, 2013
ISBN9788884496447
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    Book preview

    Ognuno Vuole Vivere per Sempre - Dania Bertinazzi

    Ringraziamenti

    PARTE PRIMA

    A mio marito

    GIUGNO 2009 (UNO)

    Il caldo nel capannone è opprimente, quasi soffocante, nonostante il recente impianto di condizionamento nella zona amministrativa, da non spendere troppo, come disse lo zio Armando all’idraulico che l’ha installato poco prima che dovesse iniziare l’estate.

    Questa condizione climatica mi sopisce, rallenta i movimenti e i pensieri. Pensieri che, come pigri lamantini delle Amazzoni, scivolano piano nelle acque placide del fiume di memoria, fatto di ricordi vicini e lontani.

    Il ricordo ora più vicino è quello legato al dolore fantasma che a volte ancora si manifesta nei giorni umidi come oggi. Colgo la prima avvisaglia della sua imminenza, accompagnata dal solito lieve insidioso senso di mancanza.

    All’improvviso, uno squarcio nel silenzio fluido.

    Mi scuoto.

    La tavola di legno a mo’ di scaffale con sopra la sfornata di angioletti del giorno prima si è inclinata e ha ceduto facendo rovinare a terra centocinquanta creaturine di ceramica già pronte per essere rifinite ad oro e spedite.

    Ci metto più di qualche frazione di secondo per rendermi conto dell’accaduto e immediatamente il pensiero corre alle imprecazioni dello zio Armando che sentirò appena apprenderà quanto è successo. Senza dover constatare di fatto l’entità del danno, so già che non ci sarà nulla da recuperare, se non, forse, qualche statuina che potrebbe aver subito lesioni minime, e impercettibili a occhi inesperti, che sarà messa insieme alle altre vittime di incidenti vari, in un angolo del capannone per essere ripescate, se mai dovesse servire, per darle sopra a qualche ordine, cosa che finora non è mai avvenuta, o per regalare qualche pezzo sopra il mucchio alla Pro Loco per l’annuale pesca di beneficenza. Perciò quell’angolo negli anni è diventato il purgatorio di creazioni in attesa di trovare una degna collocazione in qualche casa o ambiente adeguato. Per il momento è il regno di ragni, cavallette secche e pasto dei primi, e qualche scarafaggio, perché a nessuno è mai venuto in mente di pulire quella zona.

    Silvia!, mi chiama urlante la mia collega Angelica venuta in sì dal fragore, Cosa diavolo è stato?. Intanto si trascina verso il luogo del disastro per rendersi conto di cosa sia tecnicamente successo.

    O Signore Benedetto! Ma come avrà fatto a cedere quel pezzo di legno? È così spesso e regge statuine da anni. Bisogna avvertire subito il signor Armando, ansima.

    ***

    La fabbrichetta di oggetti fittili si trova nella zona artigianale pianeggiante di un paese vicino a quello di mia residenza e per raggiungerla da casa c’impiego circa un quarto d’ora. Mi reco qui ogni giorno lavorativo da quasi quattordici anni, salva un’interruzione di due anni.

    Da quando ho iniziato a lavorare, a vent’anni, subito dopo la maturità tecnica commerciale, posso dire di aver fatto carriera. Lo zio Armando, amico del signor Antonio, era riuscito a farmi lavorare, solo per l’estate - disse - potrai fare un’esperienza nel mondo della ceramica presso l’azienda di mio compare. Così imparerai un’arte e poi avrai maggiori possibilità di trovare impiego visto che abitiamo in una zona dove sono prevalenti le ditte di ceramiche. Ovviamente tale proposta incontrò subito il favore dei miei genitori che non si ponevano certo il dubbio se la cosa potesse veramente interessarmi o meno. Così, per non far fare brutta figura allo zio Armando e per assecondare le attese della famiglia, iniziai la mia estate post maturità al capannone in fondo alla stradella adiacente la casa dei miei, dove mi potevo recare in bicicletta o col vecchio Malanca bianco e ruggine senza fatica. La grezza stradella portava ad un recente insediamento produttivo in mezzo ai campi, ai confini del paese. È pure comodo da raggiungere, disse mio padre. Come avrei potuto non approfittare di cotanta occasione?

    Sono veramente pochi ad avere una simile opportunità sostenne mia madre.

    ***

    Quell’estate tentennava a manifestarsi completamente, almeno fino a fine luglio, perché il clima era caratterizzato da piogge improvvise quasi tutti i giorni costringendomi il più delle volte a percorrere il tragitto sassoso con l’ombrello a piedi o, quando mi sentivo audace, in bicicletta. Perlopiù indossavo zoccoli di legno, incurante, allora, della moda o del desiderio di piacere a qualcuno del sesso opposto. Ero ancora, per così dire, pura da incrostazioni di natura estetica, funzionali solo ad alimentare un’apparenza futile e dannosa allo sviluppo della vera identità. Quando mi recavo a piedi, al ritorno, nel tardo pomeriggio, mi dilettava abbandonarmi al lieve residuo infantile ancora presente a volte nei miei comportamenti, pur decretati maturi dal diploma di carta, e, senza considerare ciò che avrebbe potuto pensare qualche eventuale passante, mi toglievo gli zoccoli e sguazzavo i piedi fino alle caviglie nelle molte pozzanghere melmosette di sabbia e sassi beige che si formavano sul fondo ghiaioso. Sentivo solo l’acqua, tiepida, torbida, densa, che toccava la mia pelle; il fondo della pozzanghera, melmoso e sassoso insieme, stuzzicava la pelle tenera della pianta dei piedi con naturale massaggio ora definito kneipp (dal nome dell’abate tedesco cui si attribuisce la riscoperta dell’idroterapia), nei centri wellness per i percorsi di idrobenessere. Il tempo era immobile, era tutto lì, concentrato in quelle sensazioni che zittivano ogni pensiero. Da adulti ci si rende conto che sono rarissimi i momenti in cui ci si accorge di godere consapevolmente le sensazioni.

    Nulla sapevo a quel tempo di quel mondo lavorativo che mi avrebbe avviluppato in esso per tenermi inchiodata ad una routine autoalimentante che giorno dopo giorno anestetizza ideali e sogni in cambio di una piattezza sicura che lascia poco spazio o per nulla a venti di inquietudini esterne per farle prigioniere in fondo, dove non si vedono.

    ***

    In questi anni ho avuto modo di svolgere tutte le mansioni previste dalle varie fasi di lavorazione.

    Il lavoro di assemblaggio è il più meccanico e forse quello che ora rimpiango di più. Quando compivo la stessa azione ripetuta un gran numero di volte consecutivamente per alcune ore, mi capitava di alienarmi, positivamente, da ciò che mi circondava e contemporaneamente avvertivo una dilatazione dei sensi. In seguito capii che la sensazione di alienazione non era altro che un temporaneo e benefico allontanamento dalle illusioni di realtà per lasciare spazio alla percezione vera della realtà, con la testa vuota da pensieri. Mi capitava di sentirmi in luoghi segreti e invisibili dove avevo solo la percezione del mio corpo che compiva quei movimenti nello spazio occupato all’interno del capannone. La lucidità postuma riguardo quello stato dell’essere, la appresi solo dopo alcuni anni grazie alla frequenza di alcuni corsi, alla lettura di alcuni libri e soprattutto imparando le lezioni che la vita mi ha offerto per la mia crescita.

    Il pensiero corre al ricordo del corso fatto a Cannes.

    L’inizio del mio cambiamento.

    CANNES (UNO)

    Un giorno, verso la fine di giugno del 2004, Angelica, amica dall’infanzia, oltre che collega, si fionda allegra nel mio ufficio sventolando con entusiasmo un depliant promozionale di un corso. Una novità, dice. Ehi Silvia, guarda cosa ho trovato navigando su Internet in cerca di qualche proposta alternativa alle solite vacanze... Sono stufa di fare sempre le stesse cose ogni anno, perciò ho deciso che le vacanze di questa estate saranno a sfondo culturale.

    I suoi occhi smeraldini cercavano vispi qualche traccia di interesse o curiosità nel mio sguardo ceruleo - come ama definirlo lei alla maniera foscoliana - in quello che mi stava dicendo.

    Assorta com’ero nell’analisi del report di bilancio riferito al primo quadrimestre in vista dell’aggiornamento dei dati di maggio e giugno, mi ridestai. Improvvisamente il mio sguardo si fece pieno di interesse in attesa di ricevere ulteriori informazioni su qualcosa che il mio intuito mi suggeriva come oggetto degno d’attenzione.

    Sai, si tratta di abbinare l’utile al dilettevole. L’utilità sta nel fatto che è l’occasione per alimentare la nostra passione per il cinema e approfondire le conoscenze sul linguaggio e la meta-comunicazione dei film, e il dilettevole è che si svolge a Cannes! Ti pensi? Costa Azzurra! Dieci giorni! E il bello è che il periodo che propongono coincide proprio con la chiusura per ferie della fabbrica.

    Lei è una sfegatata appassionata di cinema. Fa parte, con grande orgoglio, del direttivo del cineforum del suo paese ed è sempre stata sensibile a materie ed argomenti utili ad approfondire l’autoconoscenza utilizzando i mezzi proposti dal cinema. Per cui compresi al volo la sua esaltazione.

    Ma dai! Bello! Mi fa piacere mia cara che hai già deciso dove andare in vacanza. Da’ qua, fammi vedere di che si tratta. ... guardo... Uhmmm, interessante davvero!.

    Sai che ti dico? Potresti sentire se per una volta Giovanni accetta di fare vacanze separate e decidere di venire con me. Sarebbe fantastico se noi due da sole potessimo trascorrere dei giorni insieme lontano da questi muri!.

    Di fronte ad ogni proposta o novità, generalmente voglio pensarci e documentarmi un po’, ma quella volta, quasi subito prevalse il contagio del suo entusiasmo sulla mia labile determinazione a documentarmi prima. Perciò, dopo qualche minuto, spinta più che altro dall’impulso di curiosità e valutando rapidamente la proposta come occasione per trascorrere qualche giorno, con giustificato motivo, lontano da mio marito, le dissi di sì:

    Va bene, ne parlo stasera e domani ti dico.

    L’idea mi stuzzicò immediatamente. Chissà però se il Nino, basico com’era, avrebbe capito il mio desiderio di evasione dalla solita zuppa. Lui è impostato rispetto all’idea di vacanza. Non gli piace viaggiare, non gli piacciono le novità, preferisce stare a casa o, al massimo, trascorrere qualche giorno in montagna a cercare funghi. Esattamente quello che non piace fare a me.

    Lui sostiene che la passione per i funghi ha radici nella sua concezione di Dio. Quando si trova in montagna si sente più vicino a Lui. Riesce a percepirne la presenza nei boschi, dove c’è più aria.

    Il contatto con gli alberi, l’immersione nelle loro comunità in cui la cooperazione genera perfezione di vita ed equilibrio, laddove non vi è la presenza insistente della mano umana, gli fa respirare Dio e quell’ossigeno nutre il suo spirito. L’aria è vita e la vita è Dio. Per questo, dice è proprio lì dove lo si può incontrare meglio.

    Io, dal canto mio, facevo fatica a comprendere il suo trasporto per quello che mi voleva comunicare, anche se avevo provato varie volte a seguirlo per capire.

    Tuttavia era sempre ben disposto nei miei confronti e forse, anche se magari non avrebbe proprio capito, probabilmente non avrebbe fatto resistenza.

    D’altra parte l’anno prima non ci eravamo mossi neanche un giorno per via del trasloco nella casa nuova organizzato ed eseguito proprio in concomitanza con le ferie estive comandate dalla chiusura delle rispettive fabbriche. Perciò decisi di sfruttare la nostra diversa veduta in fatto di vacanze per parlargli della proposta di Angelica, già quella sera stessa.

    Senti Nino dico, a tavola hai in mente qualcosa per le ferie d’agosto?.

    Nino, diminutivo di Giovannino, è il nomignolo con cui ancora oggi lo chiama sua madre, ed avendolo acquisito fin dall’inizio della nostra storia, anch’io lo chiamo così.

    ... Emhhh... perché me lo chiedi?, masticava distrattamente pensando evidentemente a qualcos’altro. Hai qualche proposta da farmi?.

    Oggi Angelica mi ha fatto vedere un depliant di una vacanza alternativa, a sfondo culturale e mi piacerebbe andare con lei dico d’un fiato. Si tratta di un corso sulla meta-comunicazione nel cinema.

    Ah. Le tue solite seghe... E mi lasceresti a casa da solo? E per quanto, poi?.

    Sì. Dieci giorni, dal dieci al venti di agosto. So che a te non dispiace stare a casa e rinunciare alle vacanze. Potrai passare un po’ più tempo con i tuoi e andare a funghi con i tuoi amici senza sentire le mie lamentele. A me sembra una bella soluzione.

    Ci pensiamo dai.

    A dire il vero dovrei dire qualcosa ad Angelica già domani. Se si aderisce entro il trenta giugno c’è uno sconto del quindici percento.

    Lo stringere del tempo incalza il suo pensiero, la prospettiva di abbandono si materializza nella sua immaginazione, lo sguardo si fa cupo e rassegnato perché mi conosce e sa bene che quando manifesto l’intenzione o la volontà di fare qualcosa, la faccio.

    Vedi tu. Se proprio t’interessa e ci tieni, vai pure. Speriamo non si tratti di una fregatura.

    Okey. Allora domani do conferma. Penso che sarà una bella esperienza. E poi è da un po’ che ho in mente di approfondire certi temi. Sai bene quanto mi appassiona il cinema. Grazie.

    L’indomani io e Angelica, chiuse nel mio ufficio, ci dedicammo, all’insaputa del signor Antonio e di Andrea, a smanettare su Internet per carpire informazioni sulle materie proposte dal corso. Soprattutto cercammo notizie sulla Costa Azzurra e iniziammo a fare un certo programma di vacanza. Finalmente dopo parecchio tempo sentivo entusiasmo e interesse per qualcosa di nuovo che stava fuori dal mio quotidiano sbiadito.

    Pensa, mi disse Angelica con aria scherzosa, si narra che la programmazione neurolinguistica, di cui si servono in abbondanza i registi moderni, promette tecniche infallibili per raggiungere determinati risultati non solo nella comunicazione, ma anche rispetto ad obiettivi che ci poniamo. È previsto che ne apprenderemo alcune così potrai finalmente sistemare la tua linea.

    Già, perché lei, sempre in forma tra palestre, jogging e diete varie, mi prendeva bonariamente in giro dicendo che ormai ero prossima alla soglia dell’obesità. In fondo io non mi sentivo così, ma lei così mi vedeva basando la sua valutazione sul rapporto tra altezza e peso, un metro e sessantacinque per sessantasette chili. Troppi.

    ***

    Partimmo il giorno prima, il nove di agosto, sfruttando un passaggio in auto con il cugino di Angelica che avrebbe trascorso due settimane a Théoule-sur-Mer, a circa un’ora di strada da Cannes, da alcuni amici.

    Il ritorno era programmato in treno.

    Arrivarono a prendermi a casa verso mezzogiorno con una macchina verde scassata, molto vicina allo stato di rottame. Vidi di sbieco la faccia di mio marito che esaminava perplesso il mezzo.

    Sapendo esattamente cosa passasse per la sua testa, fui svelta a caricare il mio compatto trolley nello stretto bagagliaio, abbracciarlo, baciarlo e salire in macchina, per non dargli il tempo di esprimere commenti di preoccupazione su come sarebbe stato il viaggio sul quel mezzo sgangherato che non ispirava per niente idee di sicurezza.

    Mano a mano che l’auto scivolava morbidamente sul tappeto d’asfalto dell’autostrada, aumentava percettibilmente il senso di leggerezza nella testa ed il senso di libertà ritrovata. La sentivo in tutto il corpo.

    Guardavo scorrere le immagini mobili del paesaggio dai finestrini e, nei brevi momenti di silenzio, tentavo d’immaginarmi come sarebbero stati i giorni successivi. Intanto Guido, il cugino di Angelica, laureando in Fisica, ci divertiva raccontandoci le sue avventure sentimentali a quasi esclusivo sfondo sessuale. Il suo aspetto suggeriva un temperamento deciso e determinato, rasente l’autoritario, e invece si rivelò persona gaia e generosa. Metteva allegria nelle sue azioni e stimolava il buon umore di noi due amiche un po’ sprovvedute e sprovviste di esperienze eccitanti da raccontare.

    Dopo circa sette ore di viaggio con due fermate in autogrill per un pranzo fugace la prima e per soddisfare i frequenti bisogni fisiologici tipicamente femminili la seconda, arrivammo a destinazione. Cannes. Ovviamente Guido non disponeva di alcun aggeggio tecnologico collegato all’apposito satellite che in quei tempi cominciavano a spopolare. Perciò per individuare l’indirizzo che il promotore del corso ci aveva comunicato girammo per ben tre volte il centro di Cannes tentando di orientarci e alla fine ci fermammo in un bar a chiedere informazioni sfoggiando un francese scolastico che fece sorridere il barista, soprattutto quando esordii con la frase Bonjour monsieur, nous cherchone un hotel que s’appel Petite Sirène....

    Ad ogni modo dopo qualche altro tentativo di raggiungere l’albergo tra la viabilità sconosciuta di quella città, arrivammo.

    Guido decise di

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