Tra diplomazia e rivoluzione. Il garibaldino Francesco Nullo e la fedeltà alla Polonia “crocifissa”
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Tra diplomazia e rivoluzione. Il garibaldino Francesco Nullo e la fedeltà alla Polonia “crocifissa” - Gaetano Platania
crocifissa
Tra diplomazia e rivoluzione. Il garibaldino Francesco Nullo e la fedeltà alla Polonia crocifissa
I luoghi son ben lontani, ma gli animi son vicini e per quello che ho provato nello Studio di Padova, dove le pratiche sono aperte e le inclinazioni si scoprono senza interessi di Stato, la nazione polacca è molto unita con esso a noi.
(G.B. Guarini, Lettere, Venezia 1595, vol. I, p. 192)
1.
Oggi il nome del bergamasco Francesco Nullo, chiamato affettuosamente da familiari e amici Checco, potrebbe dire poco¹. Eppure, nella sua brevissima vita (37 anni, appena), questo giovane garibaldino «alto di statura e quadrato, solido come una quercia», con i lunghi capelli ricci «gettati da sinistra a destra», la fronte spaziosa e serena, il naso aquilino, i baffi ed il pizzo «assai folti e lunghi», con due occhi penetranti², come lo ricorda il capitano Paolo Mazzoleni, uno dei suoi più cari amici³, oltre ad essere considerato uno «strenuo soldato della gran patria»⁴, partecipando tra l’altro alla straordinaria impresa dei Mille⁵, è stato per i polacchi, e lo è ancora oggi, un martire
per la libertà di questo lontano paese allora assoggettato all’autocratico giogo dell’oppressore moscovita⁶.
Precursore dell’unità europea⁷, Francesco nasce il 1 marzo 1826 da una famiglia agiata. Suo padre, Arcangelo Nullo, si dedicava al commercio di tele di lino, sua madre, Angelina Magno, accudiva la famiglia. Fatti i primi studi a Bergamo, prosegue poi a Milano dove apprende i rudimenti della scienza commerciale nella quale dette prova di notevole capacità. In brevissimo tempo impara a parlare correttamente il francese e poi il tedesco, lingua che gli sarà particolarmente utile nel prosieguo della sua vita.
Chiuso il ciclo della formazione
scolastica primaria e secondaria, fa rientro a Bergamo dove trova occupazione come agente commerciale presso la ditta Steiner, una delle più rinomate della città. Esperienza che gli permise di farsi conoscere ed apprezzare meritandosi uno stipendio proporzionato ai suoi talenti e, dunque, di una certa consistenza per quei tempi e per l’età⁸, ma che non gli fece però dimenticare l’amore per la libertà e l’insofferenza per ogni tipo di schiavitù, a maggior ragione straniera.
Ventiduenne, assieme ai fratelli, aderisce ai moti del 1848⁹, opponendosi con la tipica avventatezza giovanile agli austriaci durante le convulse e, oramai, famosissime cinque giornate di Milano [18-22 marzo], dando già da allora i «primi saggi dell’ardire militare che poi doveva innalzarlo alla meritata rinomanza in cui oggi», scrive Luigi Seganoni, «il suo nome è giunto»¹⁰. L’anno successivo, nel 1849, lo troviamo a Roma con Garibaldi a difendere la Repubblica, caduta la quale volle seguire nella ritirata il suo generale, e con lui s’imbarca a Cesenatico¹¹.
Di questa burrascosa esperienza non possediamo né documenti, né relazioni, né resoconti di viaggio che ci possano aiutare a ricostruire i fatti. Di certo sappiamo solo che Francesco resta al fianco del generale, ma del viaggio nulla. Che accadde? Quale il ruolo che si ritagliò in questa circostanza il nostro giovane bergamasco? Progettava di trasferirsi a Genova, dove sembra che qualche testimonio l’abbia visto e c’è chi giura di averlo incontrato? Oppure era in fiduciosa attesa degli ordini del comandante supremo? Ciò che sappiamo, ed è lo stesso Nullo a ripeterlo, è che dopo un viaggio così fortunoso, all’insegna di mille pericoli, rientra in patria più «repubblicano» di quanto non lo fosse stato prima di partire. Tuttavia, appena pone piede nella sua Bergamo, ha subito qualche noia con la polizia austriaca che lo arresta. Messo in una carrozza chiusa circondata da un picchetto di croati, il nostro futuro eroe della causa polacca è rinchiuso a Caprino dove per tre giorni è interrogato sulle sue recenti attività di rivoluzionario
e strenuo difensore della libertà, e quel «ch’è peggio per la libertà vera»¹². Episodio increscioso ma senza particolari conseguenze se le accuse furono ritirate e Francesco, tornato in libertà, ripiglia a Bergamo i suoi antichi interessi nel campo del commercio facendosi ancora una volta apprezzare come abile industriale
.
Apparentemente acquietatosi dagli ardori giovanili, distaccato, almeno pubblicamente dall’azione rivoluzionaria, visse nella sua città natale tra lavoro e famiglia per lunghi 10 anni preso dalle quotidiane beghe dell’amministrazione del nuovo impiego. In realtà, si trattava di sola apparenza se al sopraggiungere all’orizzonte dei primi presagi della guerra del 1859, il nostro Francesco da autentico rivoluzionario¹³, sente improrogabile la necessità di correre a contribuire a tener vivo «il fuoco della libertà».
Deciso a emigrare come moltissima altra gioventù italiana in Piemonte, regno nel quale tutti riponevano la speranza della causa dell’indipendenza¹⁴, provvedutosi di cavallo e di armi proprie, va a prestare servizio con il grado di tenente nelle file dei Cacciatori delle Alpi sotto il vigile controllo dell’eroe dei due Mondi, combattendo con valore a Varese, a San Fermo e Rezzate:
Il 25 maggio il piccolo corpo prendeva rapidissimamente le mosse, spingendosi dalle sponde della Dora per Arona fino a Sesto Calende, da dove cacciava, senza grave resistenza, il presidio austriaco e lasciava il capitano De Cristoforis a custodia. Dopo quel primo fatto, non pensando