Ti scrivo Maria...: Lettere su Maria, la storia, le donne
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Ti scrivo Maria... - Giuliana Fabris
riferimento
Introduzione
Occorrono, allo stesso tempo,
nello spazio pubblico figure
maschili e femminili di mediazione;
soggetti capaci di
comprendere le trappole delle
proiezioni reciproche, capaci
di gesti spiazzanti che mettano
in crisi le polarità tradizionali,
capaci anche di mostrare
forme di relazione, di cooperazione
e di ascolto reciproco
tra uomini e donne che possano
disattivare paure che hanno
radici profonde nell’uno come
nell’altro sesso
Una lettera di nome Maria
Maria è una lettera inviata come segno di Dio «eccedenza
assoluta, assoluta trasgressione, assoluto essere oltre gli ordini
umani», la legge umana. Un Dio puro amore-pura libertà che,
per non tradire il suo statuto di puro amore-pura libertà, ha avuto
bisogno del consenso di una donna, del femminile, per partire
al mondo il puro amore-pura libertà di nome Cristo. Un sì nella
gioia e a caro prezzo, un sì a nome di tutti.
Maria lettera dunque, ma non nella linea della legge, del
nomos, della norma, bensì in quella della profezia che è sempre
eccedenza di conoscenza e di provocazione. Quella della femminilità,
memoria e annuncio del primato dell’amore, della tenerezza
e della compassione, la regola d’oro di portata universale che
orienta il pensare, il sentire e il vivere. Senza viscere di compassione,
senza utero materno, l’uomo diventa divisore, dominatore,
lupo e volpe, e la legge, le istituzioni e le organizzazioni diventano
non ministre del bene-essere e dell’essere-bene, ma assoluti
che opprimono e reprimono. Idoli, e l’idolo chiede sempre
vittime.
Questo canta il Magnificat e questo ricorda la lettera di nome
Maria. Donna evento di compassione, la bontà misericordiosa
del Padre l’ha visitata e guardata con occhi di fiducia, di speranza
e di amore e l’ha resa bella e buona al suo cospetto. La bontà
misericordiosa del Padre l’ha costituita dimora di un Sole la cui
vita è stata declinata dal sentimento di compassione. La bontà
misericordiosa del Padre l’ha resa veicolo di compassione; questa
raccontano i suoi viaggi a Elisabetta, al tempio, a Cana, sotto
la croce, e le sue ospitalità ai pastori e ai magi. Una donna profezia
e icona del dover essere della Chiesa, dell’uomo, di ciascuno;
possibile ove accade il grande evento, il riannodarsi alla propria
origine, il divenire terra del cielo, ove cielo indica l’amore allo
stato puro e la vita allo stato puro. In cielo non ci sono steccati e
non ci sono cimiteri, e ove il cielo dimora lì la terra è ricondotta
alla sua bellezza fontale, al suo approdo terminale e al suo vivere
il frattempo da resa partecipe del dolore di Dio sul dolore del
giovane mondo.
Terra restituita alla sua verginità, alla sua liberazione dalla
contaminazione dell’odio e della morte, della tristezza data dal
ripiegamento su di sé, alla sua capacità femminile di accoglienza
del divino che dischiude ad incontri umanissimi con l’umano
e il creato. In una tenerezza e capacità di convertire anche la legge
e l’istituzione in amici felici di servire. Alterità, essere inviato
dall’Altro agli altri in forte tenerezza e in tenerezza forte, è il
nome dell’identità.
Giuliana, prendi come una lettera di grazie inviata a te queste
poche righe scritte di getto in una serata romana. Hai colto
il cuore del problema di ieri, di oggi e di sempre, l’urgenza della
riscoperta del femminile che ha la sua origine nella paternità
compassionevole di Dio, il suo archetipo nell’amicizia compassionevole
del Figlio, il suo prototipo nella donna forte e tenera
di nome Maria.
E in Maria ciascuno legga sé stesso. Non c’è altra via data per
uscire dalla barbarie. La pietas è l’in principio di sempre, nuovi
inizi verso una totalità nell’armonia, la riconciliazione Dio-uomo-
creato, la pace tra maschile e femminile.
Giancarlo Bruni
Pasqua 2015
Presentazione
Qualche tempo fa, forse già parecchi anni fa, in una intervista
una delle protagoniste dei diritti delle donne dagli anni ’70, diceva
che il livello di civiltà di una società si misura dal posto che
hanno, che è riconosciuto a, le donne.
Dire che la donna è segno di civiltà è qualcosa che da un lato
è luminoso, ma dall’altro è inquietante, e non per quanto riguarda
le donne, ma per l’umanità stessa.
L’inquietante ha a che fare con la domanda di come sia stato
possibile che le donne siano state riconosciute nei loro diritti
civili (ed umani) soltanto dal ventesimo secolo in Europa, la
madre della civiltà mondiale, e soltanto dopo la spinta dei movimenti
di fratellanza americani votati al riconoscimento delle
donne e dei negri d’America. Il luminoso invece è il fatto reale
che l’Europa, sorta nella polifonia di popoli dalle due anime, la
passione degli opposti del Nord e la perfezione del classico Sud,
ha trovato voce cantando proprio la donna con i poeti e trovatori
del Dolce Stil Novo; essi difatti, attorno alla bellezza della
donna, via celeste, si erano riconosciuti reciprocamente ed oltre
i confini patri.
Siamo nati da donna e ogni livello di civiltà sorge di nuovo
nel cuore del femminile, dimensione capace di riconoscere il
nuovo, accoglierlo e integrarlo nei contrasti. Per questo il luogo
del femminile è luogo di contraddizioni che la civiltà ha bisogno
di integrare nel tempo. Nella donna agisce il simbolo e il riconoscimento
della donna è misura della capacità simbolica di una civiltà;
difatti nella donna convivono i contrasti, quelli che nel pensiero
sono le antinomie, le contraddizioni, a dire della radice vivente
del simbolo, che tiene insieme
ciò che la razionalità deve
separare e spesso reciprocamente escludere.
La donna è determinata in un modo che ha bisogno di tempo
per raccontarsi e per essere raccontabile; e questo è un monito
anche per le donne stesse, che debbono imparare a darsi tempo
per riconoscersi in un modo che non sia contro gli uomini, ma sia
comprensivo dell’umanità tutta, in tutte le sue fasi di crescita.
Prima di questa possibilità di diritto aperta per l’Occidente (e
che sta coinvolgendo tutto il mondo), la donna c’era comunque,
e la sua realtà è stata sacra fino alle soglie del secondo millennio
a. C (strano spazio di una simmetria temporale: da allora –
2000, ad oggi+ 2000) per la sua stessa natura: era la civiltà delle
dee-madri dai grandi tratti fisici legati alla fecondità. Poi ella ha
lasciato spazio all’emergere nell’uomo della coscienza di sé, di
sé in quanto essere meraviglioso nel creato; l’uomo si è scoperto
divino, certo un divino concentrato in una sola figura, il Re-Dio,
tuttavia la meraviglia del pensiero è nata da questa scoperta, che
c’è del meraviglioso, del divino nell’uomo. Ed iniziò l’era della
civiltà, legata ad un capo Re-Dio che, proprio per questo, attorno
ai grandi fiumi costruiva città e per esse amministrava le ricchezze
della terra e dell’acqua. I fiumi assorbirono tutto il femminile
sacro nella città, come nel caso della fecondità sacra del
Nilo: il femminile aperto ne divenne lo scorrere pervasivo, e la
potenza feconda assunse la forma dell’ambiguità delle acque, che
fanno vivere e morire. Poi iniziò la civiltà della legge, del nomos,
νομος, che significa regola (legge) ma anche consuetudine
(normalità), e pure distribuire (amministrare). In fondo l’avventura
al maschile, quella che i movimenti di emancipazione hanno
chiamata la legge del padre, è rimasta soggetta alla condanna
di Dio al progenitore, alla fatica a trarre il cibo dalla terra
(Gen 3,17). E cos’è il pensiero astratto, gloria della nostra mente,
se non trarre fuori dalle esperienze delle cose quel qualcosa che
nello stesso tempo rispecchia, nutre e costruisce il nostro spirito
e che ci ha fatti riconoscere diversi e al di sopra degli animali? E
questo trarre fuori, ex- ad-trarre (trarre da-verso), è stato capace
di giungere a consentire, affermare esso stesso l’Ordine Assoluto,
la Verità mai posseduta ma reale. Dalla certezza della Verità,
in un viaggio di ritorno, l’uomo ha sperato di de-trarre i modi di
garantire la propria sopravvivenza sulla terra, vincendone la resistenza,
la refrattarietà. La civiltà della tecnica è l’esito di questa
desiderio di sicurezza, ma di una sicurezza di fatto impossibile;
è la forma del nomos, dove tutto è normato e deve diventare normale,
una società amministrata che non ha spazio per le differenze,
dove è a rischio l' individuo e la profondità.
E a questo punto la donna è ritornata in scena, emersa dal profondo
simbolico mai venuto meno, anche se era rimasto confinata
all’ordine naturale. Ora la donna deve manifestarsi per ciò
che essa è.
È quindi profetico che l’Occidente europeo abbia riconosciuto
i diritti delle donne dopo la fine di due terribili totalitarismi,
quelli che hanno segnato il paradosso della illusione moderna
di avere in mano la vita e di poter programmare lo Stato: il delirio
nazista infatti fu quello di purificare il sangue di una nazione
contro la vita di altri e di un altro popolo intero; la follia russa
di progettare la vita di una nazione secondo un calcolo puramente
economico da far vedere al mondo. Nel primo delirio la
donna era tornata ad essere configurata come puramente fattrice,
nel secondo ella era assimilata agli uomini, normata senza alcuna
differenza.
Proprio nel segno della donna, subito dopo la fine di un conflitto
apocalittico, spinta dal sensus fidei fidelium, la Chiesa proclamò
il dogma Assunzione di Maria,
In cielo apparve un segno grandioso (Ap 12,1).
Questo fu un indice per le donne che loro debbono identificare,
perché tocca a loro portare nuove forme di esistere per l’umanità,
dopo che questa ha visto dove arriva il male e quanto esso
attanagli e soffochi lo spirito.
Il maschile è costretto ad operare per divisioni, rompendo
l’unitario per individuare relazioni da ricomporre poi in diverso
modo e trarne modelli ed energie che servano l’uomo. Ma la
natura non è posseduta dall’uomo ed essa gli può sfuggire e rivoltarsi
contro di lui. Nell’eccesso di divisioni e scomposizioni
si annida l’azione di Satana ma proprio l’eccesso di oggi è anche
il segno della fine di Satana: nel capitolo 3 di Marco, a chi
lo sospettava di essere Satana perché scacciava i demoni, Gesù
rispondeva:
"Come può satana scacciare satana? Se un regno è diviso, quel
regno non può reggersi; se una casa è divisa in se stessa, quella
casa non può reggersi. Alla stessa maniera, se satana si ribella
contro se stesso, ed è diviso, non può resistere, ma sta per finire"
(Mc 3,23-26).
La divisione non è l’essenza della Verità, che è unitaria, e tutto
porta; e l’unità è qualcosa che corrisponde al senso profondo
delle donne, e difatti così Marco prosegue:
Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono
a chiamare. Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: "Ecco
tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano".
Ma egli rispose loro: Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?
.
Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduto attorno, disse:
"Ecco mia madre e i miei fratelli! Chi compie la volontà di Dio,
costui è mio fratello, sorella e madre" (Mc 3,31-35).
È nel segno della Madre che le divisioni sataniche saranno
ricomposte, che la terra ritroverà Unità non contro