Le Quattro Stagioni
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Le poesie di questa raccolta, come suggerisce il titolo, sono dedicate alle stagioni. Ma non alle stagioni in generale, a quattro precisi momenti che vanno dall’autunno del 2009 all’estate del 2010, descritti attraverso una specie di diario poetico, per cui le sensazioni raccontate spesso sono colte nell’attimo: un soffio di vento, una tempesta improvvisa, un sole inatteso, anche una notizia di cronaca diventano il particolare attorno al quale ruota l’universo, per cui quella che secondo il calendario è primavera nell’animo dell’autore diventa inverno e viceversa.
A separare un capitolo dall’altro, una serie di composizioni poetiche che i grandi della letteratura hanno dedicato alle stagioni. Una scelta coerente con lo spirito dell’autore, che “fa uscire il saggista che è in lui”, non si accontenta di comporre ma ama ricercare e vuole mettere a disposizione del lettore il frutto delle sue ricerche, “rischiando” anche il confronto con i mostri sacri dell’arte poetica, accanto ai quali, comunque, il suo diario poetico non è affatto fuori posto.
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Book preview
Le Quattro Stagioni - Salvatore Fazìa
Pound)
introduzione
è una macchina a quattro tempi
l’anno
e alcuni contrattempi interni, è la diversità che moltiplica l’inganno
e la visione
del mondo e dintorni, e ne disegna la trama infinita e la vita
di tutti i giorni, ma è la luce
che la fa leggendaria nella nostra differita stagione
e la intona alla planimetria
varia dell’aria, la versificazione è poetica se è tecnica la formulazione,
e la sua rivelazione visionaria.
autunno, 2009
e dopo tanti giorni simili
è ancora un po’ della luce d’agosto che si sperde
nell’aria, e nella sua stessa fine…
… non è più quello di prima, il mondo s’allontana dal nostro confine,
pare novembre,
e io ho un’altra volta paura come l’anno scorso a settembre.
la mattina invece esalta meglio la felice luce di settembre e le sue note
qualità di stagione equilibrata,
i campi respirano quieti l’aria ossigenata dell’estate
appena trascorsa, e le colline
più ravvicinate sono le più disegnate dell’anno. Anche gli uccelli capiscono la fortunata serenità del momento
e credono di più
alla vita semplice di esseri piccoli ma sani a vivere dove sono nati,
alla nuova luce che ne rischiara l’esultanza e il gioco delle danze.
devo forse avvertire che il mio autunno
un po’ è nascosto, un po’ è esposto ai rischi dell’io,
e in balìa delle sue giornate.
e, per esempio, in una striscia di 30 x 80 orizzontali alla finestra,
tra le tapparelle e la base del davanzale,
dell’autunno ci vanno:
la sezione bassa delle colline formato 15 x 80
e certi finali in foglie d’alberi,
e, sopra di loro, di solo cielo, l’altro 15 x 80 e un po’ di nuvole viandanti.
D’altra parte, le scie degli aerei
ricordano che nei cieli di settembre due rette
parallele tagliate da una trasversale formano angoli alterni/interni eguali.
già alla fine di agosto, ma anche un po’ prima il taglio nell’aria,
il suo abbaglio,
non è più quello:
la finestra accoglie di traverso la proiezione solare, e più lontana ormai
e in controluce la scolorina della luce scioglie
l’albumina concentrata dell’estate, così l’estroverso cuore perde
il suo lungo gioco di capriole stagionali
e l’imprevisto belvedere.
L’autunno è il tempo degli artisti e dei poeti, inquieti per via della vertigine
sospesa e la dolcezza di cera, è leggera l’indolenza degli odori e riaccende la confidenza letteraria,
che la varia dispersione dei colori sterza verso tutta la materia deleteria della
fine, la sua antimateria affine.
svuota le cose più belle e più grandi dell’estate, ma invece di fare più leggere
le ore del mattino e del pomeriggio,
queste si fanno più severe e vanno
più dentro al tempo e lo snidano dalle più sincere protezioni della natura,
così il tempo prende nuovamente la sua essenza indefinita di tempo,
di buco nero nella vita, e non c’è nascondiglio
per chi passa le giornate alle finestre o si ripara nelle zone lente della casa.
La luce non ha più il piglio di prima,
ed è la penombra o l’informale del buio a esibire la polisemia degli inganni e a
custodire negli angoli le paure che evitano la logica eretta delle pareti,
e, a imitazione delle cose che si guastano
scatenano il caos mosso dei fantasmi,
che non abbiamo voluto accettare tra di noi, e ce lo rovesciano addosso.
prossimi al tempo nel quale tutti ci ammaliamo delle malattie umorali
dell’autunno,
come in questa febbricola del pomeriggio che invade i vetri, e fuori
nemmeno gli uccelli hanno il coraggio di gettarsi a naso nel campo
come facevano quest’estate
e uscire allo scoperto, dato che nessuno di loro si fa più vedere nei prati
e in mezzo all’erba.
E gli alberi come i cespugli
fanno tutto da soli il servizio di rappresentare per noi la natura
nella nuova delusione autunnale, e nemmeno loro se la sentono di prestarsi
al gioco delle cicale dell’estate, se la stagione che viene ha perso le ragioni
di prima, e le diagonali della valle si tuffano dalle colline verso il piano
delle case perdendo luce e forma cristallina.
Difficile cantare se il pomeriggio è anonimo, e viene meno anche la voce
a denunciare la posa che prendiamo se è la croce di stare in casa a pensare.
impigliato nei sensi, e tra i versi persi dentro l’invasato oblio del dio oscuro
che circola nella valle,
e rovina i suoni
nell’eco e alle pendici delle colline: in disfacimento nei toni
segreti che hanno le cose, e, contro ogni momento sacrale di stagione.
Perché i sensi non hanno memoria se non di sé e soffrono presto l’elegia
d’una letteratura incordata alla nostalgia,
e niente è più come per i poeti che sapevano già l’autunno
e il suo monumento millenario. Il mio è più vario, sa il diario in cronaca
nell’acquario solito
delle rime e nelle intonazioni di giustacuore, incline di fervore e confessione.
quello vero, quello in mezzo al quale ci troviamo, sincero e nella norma
di decadenza stagionale,
il suo richiamo, non quello ufficiale e a scadenza
nell’astronomia, ma questo, il nostro,
nel quale ci perdiamo e andiamo a cadere: un mostro o un chiostro di morte, dove possiamo vedere che i nostri possessi di vita, i nostri nessi di riuscita e memoria - di casa e passato, o di falsa rivalsa d’avvenire –
piangono i cruenti spargimenti lenti di rosso e di giallo,
nel colore che langue del sangue di tutte le foglie e dentro il nero degli alberi.
Nemmeno è vero che l’autunno, in ragione della ragione sociale del nome,
chiude a dicembre, perché i santi e i morti
si festeggiano tutti a novembre
e anche i due di Bandini a dicembre:
è questo il mese palese delle forme arrese a tutte le fini, se è l’autunno vero
che vuole il suo pensiero sincero di morte e la sua corte al nero dei destini.
così è caduto nella sua fossa delle foglie gialle, chiudendo i cancelli
dei giardini
nei dintorni della valle e tra i soggiorni ancora in verde delle colline,
dove stanno i prati
a tenere gli stati ultimi e ormai passati della stagione regina.
Stamattina anche le rondinelle temono le reticelle dei nuovi venti e i tristi
momenti della pioggia e i rovesci misti a freddo. Chi sa
dire quel che perdiamo in giornate come queste,
e in casa o uscendo non sappiamo che farci se siamo dementi
e non sappiamo di che stelle