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Le Quattro Stagioni
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Le Quattro Stagioni

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About this ebook

Scrittore e saggista dallo stile originale, che ama temi complessi e che sa abbinare efficacemente il linguaggio moderno con la cultura classica, Salvatore Fazia è anche un poeta dallo stile particolare, immediatamente riconoscibile non solo per le copertine blu dei suoi libri e per le poesie messe sulla carta con allineamenti alternati a destra e a sinistra, come in una danza di parole, ma anche per i contenuti intensi e che si prestano a diverse interpretazioni come pietre intagliate che cambiano aspetto a seconda di come vi batta la luce.
Le poesie di questa raccolta, come suggerisce il titolo, sono dedicate alle stagioni. Ma non alle stagioni in generale, a quattro precisi momenti che vanno dall’autunno del 2009 all’estate del 2010, descritti attraverso una specie di diario poetico, per cui le sensazioni raccontate spesso sono colte nell’attimo: un soffio di vento, una tempesta improvvisa, un sole inatteso, anche una notizia di cronaca diventano il particolare attorno al quale ruota l’universo, per cui quella che secondo il calendario è primavera nell’animo dell’autore diventa inverno e viceversa.
A separare un capitolo dall’altro, una serie di composizioni poetiche che i grandi della letteratura hanno dedicato alle stagioni. Una scelta coerente con lo spirito dell’autore, che “fa uscire il saggista che è in lui”, non si accontenta di comporre ma ama ricercare e vuole mettere a disposizione del lettore il frutto delle sue ricerche, “rischiando” anche il confronto con i mostri sacri dell’arte poetica, accanto ai quali, comunque, il suo diario poetico non è affatto fuori posto.
LanguageItaliano
Release dateOct 13, 2014
ISBN9788884497123
Le Quattro Stagioni

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    Le Quattro Stagioni - Salvatore Fazìa

    Pound)

    introduzione

    è una macchina a quattro tempi 

    l’anno

    e alcuni contrattempi interni, è la diversità che moltiplica l’inganno

    e la visione

    del mondo e dintorni, e ne disegna la trama infinita e la vita

    di tutti i giorni, ma è la luce

    che la fa leggendaria nella nostra differita stagione

    e la intona alla planimetria

    varia dell’aria, la versificazione è poetica se è tecnica la formulazione,

    e la sua rivelazione visionaria.

    autunno, 2009

    e dopo tanti giorni simili 

    è ancora un po’ della luce d’agosto che si sperde

    nell’aria, e nella sua stessa fine…

    … non è più quello di prima, il mondo s’allontana dal nostro confine,

    pare novembre,

    e io ho un’altra volta paura come l’anno scorso a settembre.

    la mattina invece esalta meglio la felice luce di settembre e le sue note 

    qualità di stagione equilibrata,

    i campi respirano quieti l’aria ossigenata dell’estate

    appena trascorsa, e le colline

    più ravvicinate sono le più disegnate dell’anno. Anche gli uccelli capiscono la fortunata serenità del momento

    e credono di più

    alla vita semplice di esseri piccoli ma sani a vivere dove sono nati,

    alla nuova luce che ne rischiara l’esultanza e il gioco delle danze.

    devo forse avvertire che il mio autunno 

    un po’ è nascosto, un po’ è esposto ai rischi dell’io,

    e in balìa delle sue giornate.

    e, per esempio, in una striscia di 30 x 80 orizzontali alla finestra, 

    tra le tapparelle e la base del davanzale,

    dell’autunno ci vanno:

    la sezione bassa delle colline formato 15 x 80

    e certi finali in foglie d’alberi,

    e, sopra di loro, di solo cielo, l’altro 15 x 80 e un po’ di nuvole viandanti.

    D’altra parte, le scie degli aerei

    ricordano che nei cieli di settembre due rette

    parallele tagliate da una trasversale formano angoli alterni/interni eguali.

    già alla fine di agosto, ma anche un po’ prima il taglio nell’aria, 

    il suo abbaglio,

    non è più quello:

    la finestra accoglie di traverso la proiezione solare, e più lontana ormai

    e in controluce la scolorina della luce scioglie

    l’albumina concentrata dell’estate, così l’estroverso cuore perde

    il suo lungo gioco di capriole stagionali

    e l’imprevisto belvedere.

    L’autunno è il tempo degli artisti e dei poeti, inquieti per via della vertigine

    sospesa e la dolcezza di cera, è leggera l’indolenza degli odori e riaccende la confidenza letteraria,

    che la varia dispersione dei colori sterza verso tutta la materia deleteria della

    fine, la sua antimateria affine.

    svuota le cose più belle e più grandi dell’estate, ma invece di fare più leggere 

    le ore del mattino e del pomeriggio,

    queste si fanno più severe e vanno

    più dentro al tempo e lo snidano dalle più sincere protezioni della natura,

    così il tempo prende nuovamente la sua essenza indefinita di tempo,

    di buco nero nella vita, e non c’è nascondiglio

    per chi passa le giornate alle finestre o si ripara nelle zone lente della casa.

    La luce non ha più il piglio di prima,

    ed è la penombra o l’informale del buio a esibire la polisemia degli inganni e a

    custodire negli angoli le paure che evitano la logica eretta delle pareti,

    e, a imitazione delle cose che si guastano

    scatenano il caos mosso dei fantasmi,

    che non abbiamo voluto accettare tra di noi, e ce lo rovesciano addosso.

    prossimi al tempo nel quale tutti ci ammaliamo delle malattie umorali 

    dell’autunno,

    come in questa febbricola del pomeriggio che invade i vetri, e fuori

    nemmeno gli uccelli hanno il coraggio di gettarsi a naso nel campo

    come facevano quest’estate

    e uscire allo scoperto, dato che nessuno di loro si fa più vedere nei prati

    e in mezzo all’erba.

    E gli alberi come i cespugli

    fanno tutto da soli il servizio di rappresentare per noi la natura

    nella nuova delusione autunnale, e nemmeno loro se la sentono di prestarsi

    al gioco delle cicale dell’estate, se la stagione che viene ha perso le ragioni

    di prima, e le diagonali della valle si tuffano dalle colline verso il piano

    delle case perdendo luce e forma cristallina.

    Difficile cantare se il pomeriggio è anonimo, e viene meno anche la voce

    a denunciare la posa che prendiamo se è la croce di stare in casa a pensare.

    impigliato nei sensi, e tra i versi persi dentro l’invasato oblio del dio oscuro 

    che circola nella valle,

    e rovina i suoni

    nell’eco e alle pendici delle colline: in disfacimento nei toni

    segreti che hanno le cose, e, contro ogni momento sacrale di stagione.

    Perché i sensi non hanno memoria se non di sé e soffrono presto l’elegia

    d’una letteratura incordata alla nostalgia,

    e niente è più come per i poeti che sapevano già l’autunno

    e il suo monumento millenario. Il mio è più vario, sa il diario in cronaca

    nell’acquario solito

    delle rime e nelle intonazioni di giustacuore, incline di fervore e confessione.

    quello vero, quello in mezzo al quale ci troviamo, sincero e nella norma 

    di decadenza stagionale,

    il suo richiamo, non quello ufficiale e a scadenza

    nell’astronomia, ma questo, il nostro,

    nel quale ci perdiamo e andiamo a cadere: un mostro o un chiostro di morte, dove possiamo vedere che i nostri possessi di vita, i nostri nessi di riuscita e memoria - di casa e passato, o di falsa rivalsa d’avvenire –

    piangono i cruenti spargimenti lenti di rosso e di giallo,

    nel colore che langue del sangue di tutte le foglie e dentro il nero degli alberi.

    Nemmeno è vero che l’autunno, in ragione della ragione sociale del nome,

    chiude a dicembre, perché i santi e i morti

    si festeggiano tutti a novembre

    e anche i due di Bandini a dicembre:

    è questo il mese palese delle forme arrese a tutte le fini, se è l’autunno vero

    che vuole il suo pensiero sincero di morte e la sua corte al nero dei destini.

    così è caduto nella sua fossa delle foglie gialle, chiudendo i cancelli 

    dei giardini

    nei dintorni della valle e tra i soggiorni ancora in verde delle colline,

    dove stanno i prati

    a tenere gli stati ultimi e ormai passati della stagione regina.

    Stamattina anche le rondinelle temono le reticelle dei nuovi venti e i tristi

    momenti della pioggia e i rovesci misti a freddo. Chi sa

    dire quel che perdiamo in giornate come queste,

    e in casa o uscendo non sappiamo che farci se siamo dementi

    e non sappiamo di che stelle

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