La donna col medaglione
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La donna col medaglione - Fabio Marazzoli
dell’autore
Capitolo uno
Era sempre mattiniero il commissario Cantagallo.
Per lui il sorgere del sole del mattino era come lo scoppio del tappo dello spumante: subito potevi assaporare una bella aria frizzante che poi, col passare delle ore, svaporava e perdeva briosità.
Quella mattina d'inizio settembre si era alzato prima del solito ed era già pronto per la partenza. Gli altri no. Iolanda era nella camera piccola e finiva di riempire il trolley del figlio perché c’entrasse tutto, dall’aspirina al golfino. Luigi, un ragazzo sveglio di undici anni, nella stessa stanza riempiva meticolosamente il proprio zainetto, dal contenuto sconosciuto e inviolabile.
Cantagallo si ricordò di prendere un libro giallo di Nero Wolfe, il suo investigatore preferito, che voleva leggere durante le ferie. Era un po’ che si riprometteva di iniziarlo ma negli ultimi giorni gli era mancato il tempo. Lo prese dalla libreria del soggiorno per metterlo in valigia. Mentre lo prendeva, dalle ultime pagine scivolò fuori un pezzo di carta. Era un vecchio telegramma che chissà perché era finito lì e chissà quando. Chiese alla moglie. Iolanda non si ricordava come ci fosse finito. Sapeva però che glielo aveva spedito qualche mese fa una sua cugina dalla Sicilia per dirle com’era andata a finire la faccenda travagliata dell’eredità del cugino buonanima, Gesualdo Milazzo. Intanto Cantagallo lo rileggeva.
«FINIU A CICHIRI E PIATTINI
, ma che vuol dire? E poi come fai a sapere che te l'ha scritto la tua cugina? Qui c'è riportato solo l'indirizzo dell'ufficio postale di un posto che si chiama Montedoro».
«Angelo, è siciliano. Vuol dire: È finita a tazzine e piattini
. Mia cugina Rosetta è di Montedoro, in provincia di Caltanissetta, e si vede che lo ha spedito da lì. Rosetta lo dice sempre in certe circostanze per far capire che, alla fine, è andato tutto bene. Devi sapere, che in Sicilia si dice così quando, dopo aver vissuto una circostanza negativa, il sedersi davanti a cichiri e piattini
, cioè davanti a tazze e piattini da caffè
, è una consolazione perché il caffè piace a tutti e riconcilia con la vita».
«Neanche la Scientifica di Castronuovo avrebbe potuto fare di meglio con questo telegramma in mano da decifrare!».
«Ognuno ha il proprio modo di comunicare. Io e Rosetta ci capiamo così. Col siciliano si possono dire cose che hanno molti significati».
«Ma perché ti ha fatto un telegramma? Poteva chiamarti col telefonino».
«Rosetta è un po' particolare e anche all'antica. In certe circostanze preferisce fare un telegramma. Le sembra che così quello che dice è più importante. E il telefonino non ce l’ha».
«Boh!».
Cantagallo non aveva capito granché ma non gli interessava neanche l'argomento: non doveva passare il tempo a capire i perché e i percome dei telegrammi in siciliano. Lasciò il telegramma su un mobile del corridoio e ritornò nella camera grande. Appoggiò il libro nella sua valigia e la osservò. Era talmente piena che per cercare qualcosa si sarebbe dovuto buttare all’aria tutto. E gli venne un dubbio.
«Le mie polo le hai messe dentro tu?».
«Sì, non ti preoccupare. Chiudi i trolley e andiamo!».
Il commissario, per chiuderli, ci si dovette sedere sopra e premere con forza fino a far scattare le serrature.
«Luigi! Vieni qua a trainare quello di tua mamma, che andiamo!».
«No! Io traino il mio, che quello lì spiomba!».
Luigi sapeva che sua mamma riempiva la propria valigia a rotelle così tanto che, per la pesantezza, poteva sventare uno scippo alla stazione.
«Luigi, vieni a prenderlo! Tua mamma deve portare le borse con la roba da mangiare. Io già ne devo trainare due: il mio e il tuo. E lo sai che questi cavoli di trolley con le ruote non li maneggio bene!».
Il commissario Cantagallo non sopportava i trolley
perché si trainavano male e ondeggiavano. Se si accettava il proverbio: Donna al volante, pericolo costante
, allora si doveva accettare anche quello che aveva inventato il commissario: Uomo con valigia a rotelle, urti e botte a catinelle
. Per Cantagallo bisognava andare in ferie da uomini, impugnando le classiche valigie che spiombavano, e non da donnicciole, trainando i moderni trolley
semoventi.
Dopo un quarto d’ora avevano già caricato tutti i bagagli in auto ed erano pronti per lasciare Collitondi: destinazione Sicilia.
Infatti a inizio settembre, come tutti gli anni, il commissario Cantagallo prendeva la famiglia e se ne andava in ferie in Sicilia. Scendevano
a Capobianco, per dirla nel dialetto della moglie, che in quelle occasioni tornava nella casa dove era nata. Il paese si trovava nel cuore della Sicilia, adagiato sul ruvido fianco di una collina che, nelle belle giornate, faceva spaziare la vista fin quasi alla città di Caltanissetta.
Non facevano la strada tutta in una tirata. Preferivano fare una sosta a metà strada, fermandosi una notte in un posto carino di mare, per ripartire riposati il giorno dopo, all’andata e al ritorno.
Quell’anno, avevano scelto di dormire a Sorrento in un confortevole albergo a picco sul mare. L'hotel era un’imponente villa ristrutturata, nata come residenza estiva della famiglia Cuomo. La villa, nel corso degli anni, si era trasformata in albergo ma aveva mantenuto inalterato il fascino degli arredi antichi, delle ceramiche e delle architetture che intrecciavano cornici di tufo sullo sfondo del mare blu del golfo di Napoli. I Cantagallo se ne erano innamorati subito e avevano deciso che, quando dovevano scendere
in Sicilia, avrebbero passato la notte in quell’albergo magnifico. Si trovava a Capo di Sorrento, nella parte alta della città, e si chiamava La Limonaia
. Da lì si godeva una vista splendida della città