La casa della civetta e altri racconti
By Tonino Oppes
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Li troviamo sui fondali marini di Tavolara, sulle vette del Gennargentu, sull’altopiano della Giara, nelle insenature del Golfo di Orosei, sopra gli strapiombi di Capo Marrargiu, nei boschi di Sarroch, nei pascoli dell’Asinara, nella valle di Badde Manna a Banari, nelle campagne di Olbia e tra le colline di Pozzomaggiore.
Vi faranno compagnia il mulo Bobò, la tartaruga Speedy, la murena Giuanchìna, la foca Goloritzè, il cane Chiriòlu e tanti altri ancora.
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La casa della civetta e altri racconti - Tonino Oppes
Tonino Oppes
La casa della civetta
e altri racconti
illustrazioni di Eva Rasano
ISBN: 978-88-7356-867-4
Condaghes
Indice
Incipit
Quando i fenicotteri si chiamavano gente rossa
La danza nuziale
La foca vuole tornare nel suo mare
La murena di Tavolatas
La preghiera che fermò l'aquila
L'avvoltoio della Planargia
Il piccione che salvò il castello
Il giovane cacciatore
La cerbiatta di Sarròch
La fedeltà oltre la vita
La lepre e il cuore dei bambini
Muflone nero, re solitario
Signora volpe
Il mulo dell'Asinara
Il piccolo re della Giara
Il riccio e la tartaruga
All'ombra dell'ultimo leccio
Prima di salutarci
L'Autore e l'Illustratrice
La collana il Trenino verde
Colophon
Storie vere e leggende popolari di acqua, di cielo e di terra.
I protagonisti del libro sono gli animali.
Senza di loro tutto, intorno a noi, sarebbe più povero.
E anche la nostra vita non sarebbe
la stessa.
Quando i fenicotteri si chiamavano
gente rossa
Peppino, quella mattina uscì di casa con il cuore in gola. Le parole del padre lo avevano messo in allarme. Nei pascoli di San Vero Milis, dove avevano il gregge, ci andava tutti i giorni. E anche quando era solo non aveva paura. Gli facevano compagnia Brunetta, l’ultima nata, ancora malferma sulle zampe, che doveva controllare perché non restasse indietro, e Nerina, la più vecchia, alla quale era affezionato per la sua dolcezza. Le altre pecore riconoscevano la sua voce e gli ubbidivano.
Ormai il padre aveva deciso. Era tempo che si facesse adulto e che imparasse a dominare i timori e i pericoli: nella vita dei pastori i rischi non mancano e la Natura non sempre è benevola.
Peppino capì. Era sveglio come tutti i ragazzi cresciuti liberi nei grandi spazi della campagna.
Aveva il giusto coraggio per acchiappare con le mani lucertole e bisce. Non si tirava indietro quando gli avvoltoi volavano sopra gli agnelli più giovani, e cercavano di scendere in picchiata per ghermirli. Allora, lui, brandendo un bastone, difendeva il suo bestiame, urlando contro il predatore preso a sassate per allontanarlo. Una volta, provò, di nascosto, anche a usare il fucile. Un colpo spelacchiò il ramo di una quercia, cadde a terra per il rumore dell’esplosione e tutti finì lì. Insomma non era un fifone.
Ma nei luoghi che non conosceva, il battito del suo cuore accelerava e un tremito lo scuoteva facendolo sentire debole. Non era questa, forse, la paura? Così quando il padre gli disse che doveva stare fuori la sera a Sal’e Porcus, non lontano dal paese, si sentì mancare. Per lui cominciava una prova, una prova tremenda.
Vedrai ti troverai bene se farai così
ripeteva spesso il padre, quasi a volergli trasmettere un suo manuale di sopravvivenza. Poi lo guardava in silenzio e sospirava: Chissà se ti vedrò crescere e diventare grande allevatore, proprietario di queste e di altre 50 pecore
.
I sogni ad occhi aperti del pastore sardo hanno contorni ben definiti: grandi pascoli verdi e greggi. Il resto è inutile fantasticheria, non è roba per uomini pratici.
Il padre di Peppino del resto aveva le sue angosce.
Era vecchio e temeva di non far in tempo a veder già adulto quell’unico figlio.
Così il bambino fu costretto ad accorciare, ulteriormente, i tempi della sua infanzia. Sapeva già mungere, portava il gregge all’abbeveratoio e offriva un valido aiuto nella preparazione del formaggio, ma per entrare a pieno titolo nel mondo dei grandi, quello dove si dominano anche le paure, gli mancava una prova.
Dopo aver sellato il cavallo, l’uomo salutò il figlio e presto scomparve dietro la collina mentre il sole stava per tramontare.
Sullo stagno, che le prime piogge settembrine avevano quasi riempito dopo una lunga siccità, calavano le ombre della sera.
Fu allora che un rumore forte e un vociare strano arrivarono fino al capanno. Peppino, che cercava già di dormire, quasi volesse affrettare il trascorrere della notte, si alzò di soprassalto.
Ascoltò con preoccupazione. Pianse. Alla fine urlò ripetutamente ben sapendo che nessuno poteva sentirlo perché l’ovile più vicino si trovava ad oltre due chilometri di distanza: e infatti nessuno rispose alle sue invocazioni di aiuto.
Non restava che fuggire. Ma in quale direzione? Non certo verso il mare: da lì, gli avevano spiegato, arriva sempre il nemico. Eppure doveva esserci una via d’uscita.
Inseguito dal rumore dei suoi passi, Peppino corse per qualche centinaio di metri fino a raggiungere un macchione di lentisco che gli parve il luogo ideale per nascondersi.
Con grande cautela, per non essere scoperto, osservò in direzione dello stagno e vide, oltre il muro di canne, nelle acque basse della vecchia salina, un gran numero di strani individui: gli sembrò che fossero vestiti di rosso.
Il sole era tramontato già da un pezzo e la paura, ormai, dava corpo a tutte le ombre alterando i contorni delle figure; tutto sembrava incredibilmente più grande, mentre aumentavano i rumori e la confusione. Voci insensate si rincorrevano e si avvicinavano; anche le pecore sembravano intenzionate ad accrescere il baccano con il cupo tintinnìo dei loro campanacci. Solo lui restava immobile e silenzioso in quella notte in cui tutto pareva muoversi nel frastuono.
Sono sicuramente ladri venuti a rubare le pecore
pensò Peppino che cominciò a contare le ore che lo separavano dal rientro del padre. I ladri... le pecore... babbo mio...
sussurrò ancora singhiozzando, finché stremato dalla stanchezza e dalla paura si addormentò.
Che notte d’angoscia per il piccolo uomo, così improvvisamente costretto a confrontarsi con la solitudine del pastore. Ma come in tutte le favole del mondo anche quella che ha per protagonista il pastorello di San Vero Milis ha un lieto fine. Il padre arrivò all’alba. Vide il piccolo addormentato dietro il cespuglio. Lo svegliò dolcemente e gli chiese perché avesse scelto quel giaciglio per trascorrervi la notte. Rincuorato dalla presenza del genitore, Peppino spiegò con calma. Aggiunse i suoi timori.
Fornì numerosi particolari. Precisò ancora e alla fine, quasi implorando con lo sguardo, invocò un minimo