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Le donne della casa sul fiume: Trilogia delle donne perdute 2
Le donne della casa sul fiume: Trilogia delle donne perdute 2
Le donne della casa sul fiume: Trilogia delle donne perdute 2
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Le donne della casa sul fiume: Trilogia delle donne perdute 2

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ROMANZO (146 pagine) - GIALLO - Avevano fatto l'errore di voler aiutare quella ragazza che sembrava sola e in pericolo. Poi, nessuno li aveva più visti. Un altro caso per Bruno Lomax

Chi è Veronica? Chi è la donna misteriosa che seduce gli uomini chiedendo di accendere una sigaretta? E perché dopo averla incontrata gli uomini spariscono nel nulla? È il mistero che deve affrontare Bruno Lomax, con l'aiuto dei suoi amici come Pilleggi, il violinista ex barbone, o Triffi, l'esperto di musica che non smette mai di mangiare. E incontrando ancora sulla sua strada il tenebroso prete don Luiso. 

Antonio Bocchi è nato nel 1958 a Parma, dove vive e lavora come medico ospedialiero. È appassionato di letteratura, di cinema (ha anche realizzato diversi film e partecipato ad alcuni festival) e di musica, come il suo protagonista Lomax. Nel 2011 ha pubblicato da Salani il romanzo"Blues in nero".
LanguageItaliano
PublisherDelos Digital
Release dateMar 29, 2016
ISBN9788865306055
Le donne della casa sul fiume: Trilogia delle donne perdute 2

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    Le donne della casa sul fiume - Antonio Bocchi

    Antonio Bocchi

    Le donne della casa sul fiume

    Romanzo

    Prima edizione marzo 2016

    ISBN 9788865306055

    © 2016 Antonio Bocchi

    Edizione ebook © 2016 Delos Digital srl

    Piazza Bonomelli 6/6 20139 Milano

    Versione: 1.0

    Font TexGyreHero Condensed, Gust Font Licence

    TUTTI I DIRITTI RISERVATI

    Sono vietate la copia e la diffusione non autorizzate.

    Informazioni sulla politica di Delos Books contro la pirateria

    Indice

    Il libro

    L'autore

    Le donne della casa sul fiume

    Citazione

    Prologo

    Capitolo primo

    Capitolo secondo

    Capitolo terzo

    Capitolo quarto

    Capitolo quinto

    Capitolo sesto

    Capitolo settimo

    Capitolo ottavo

    Capitolo nono

    Capitolo decimo

    Capitolo undicesimo

    Capitolo dodicesimo

    Epilogo

    Delos Digital e il DRM

    In questa collana

    Tutti gli ebook Bus Stop

    Il libro

    Avevano fatto l’errore di voler aiutare quella ragazza che sembrava sola e in pericolo. Poi, nessuno li aveva più visti. Un altro caso per Bruno Lomax

    Chi è Veronica? Chi è la donna misteriosa che seduce gli uomini chiedendo di accendere una sigaretta? E perché dopo averla incontrata gli uomini spariscono nel nulla? È il mistero che deve affrontare Bruno Lomax, con l'aiuto dei suoi amici come Pilleggi, il violinista ex barbone, o Triffi, l'esperto di musica che non smette mai di mangiare. E incontrando ancora sulla sua strada il tenebroso prete don Luiso. 

    L'autore

    Antonio Bocchi è nato nel 1958 a Parma, dove vive e lavora come medico ospedialiero. È appassionato di letteratura, di cinema (ha anche realizzato diversi film e partecipato ad alcuni festival) e di musica, come il suo protagonista Lomax. Nel 2011 ha pubblicato da Salani il romanzoBlues in nero.

    Dello stesso autore

    Antonio Bocchi, Sangue di madre sulle labbra Trilogia delle donne perdute ISBN: 9788865306048 Antonio Bocchi, Sei una donna cattiva Trilogia delle donne perdute (in preparazione) ISBN: 9788865306062

    Nessuno può uccidere l’ombra della strega

    John Carpenter, Halloween

    Prologo

    Notte adagiata tra le strade deserte, incastrate tra le case, come lunghi corridoi di un albergo sconfinato. Frammenti di luce dai lampioni giallastri, una sorta di coperta troppo corta che lasciava angoli intirizziti dal buio.

    Livio Varsi attraversò con l’auto la piazza silenziosa di Valsizza e si intrufolò tra le ragnatele della periferia dove il sapore del paese si disperdeva in quello del Po. Aria azotata e densa. Pulviscolo di umidità abbarbicato alle foglie immobili degli alberi.

    Livio mosse il ginocchio indolenzito. La gamba destra era rimasta appoggiata quasi inerte sul pedale dell’acceleratore mentre aveva fatto avanzare la sua macchina a passo d’uomo. Sapore di caffè stampato sul palato. Ne aveva bevuto un’enorme tazza chiedendosi se il sonno avrebbe fatto irruzione dentro i suoi occhi, obbligandolo ad accostarsi al ciglio della strada e appoggiare la testa al sedile. Solo un piccolo sonnellino, solo qualche minuto. Non si sarebbe risvegliato, invece, se non alle prime luci dell’alba, con la bocca leggermente aperta e un filo di bava trasparente appiccicato alla stoffa del sedile. Livio sorrise. Non voleva che terminasse in quel modo la sua prima notte di ronda.

    Strana sensazione pattugliare le strade del paese. Velo di mestizia appoggiato sul cuore, al pensiero di come si viveva non molti anni prima. Un’oasi di pace dove non era nemmeno necessario chiudere a chiave la porta di casa. Ora era diverso. I furti nelle abitazioni erano sempre più frequenti, le porte blindate e i sistemi di allarme erano quasi inutili. Sguardi esterrefatti degli uomini, la sera, al bar del paese. Parlavano delle ultime rapine e scuotevano la testa. La polizia faceva quel che poteva, cioè nulla, i ladri si dissolvevano indisturbati come nebbia al sole. La tranquillità del paese era stata corrosa dalle propaggini malsane della città. La periferia urbana era sempre più vicina, rubava ossigeno, divorava gli spazi, introduceva corpi estranei, come i ladri. Portava la follia.

    – Dobbiamo organizzarci, come ai tempi del West.

    Voce di Becchi austera come un tuono, una sera, al bar. Aria masticata dai suoi denti sporgenti, enormi mani callose mulinate nell’aria. Gli uomini del paese si erano infervorati. Voci alzate oltre il limite della decenza, sguardi accesi come braci, getti di saliva densa sputati dalle labbra tremanti.

    Becchi fu il primo a effettuare una ronda notturna. Era salito in macchina sotto gli occhi impauriti della moglie, come se stesse partendo per il fronte. Aveva girato fino all’alba, pronto ad avvertire la polizia, ma non era successo niente. Livio era stato il secondo della lista e in cuor suo si augurava di trascinarsi inutilmente lungo le strade deserte e poi conficcarsi sotto le lenzuola alle prime luci dell’alba.

    Livio accostò al margine della strada e staccò le braccia indolenzite dal volante. Spense un attimo il motore e abbassò il finestrino. Notte senza respiro, oscura e silenziosa. Aria appesa alle propaggini del cielo senza stelle, offuscato dalla coltre di umidità. Brandelli di ossigeno putrefatto dal calore. Ronzii indefiniti dei cavi dell’alta tensione, aggrappati a tralicci insormontabili.

    Livio scrutò la penombra scolorita dalla luce proveniente dai pochi lampioni giallastri. Si divincolò sul sedile alla ricerca di una posizione più confortevole. Riaccese il motore e riprese a girovagare lungo il dedalo delle vie.

    Passò di fronte alla villa di Palmieri. Grande residenza padana stagliata nell’oscurità rarefatta. Era stata abbandonata da un paio di mesi. Nessuno, da allora, l’aveva più occupata.

    Livio scorse una sagoma umana costeggiare per un attimo il muro della villa. Venne subito inghiottita dalla penombra. Livio si trasformò in un fascio di nervi. Pulsazioni forsennate del cuore. Mente inchiodata su quell’immagine, sbiadita dal buio e dalla paura. Scese dall’auto e si avvicinò alla grande casa di Palmieri. Si accorse che il cancello di ingresso era accostato. Livio si intrufolò nell’ampio giardino antistante col telefono stretto nel pugno. Avrebbe dovuto chiamare subito i rinforzi. Ma la polizia gli avrebbe dato dell’idiota, una chiamata nel cuore della notte per controllare una casa disabitata. Livio avanzò verso l’ingresso. Raggiunse la porta principale e vi appoggiò una mano. La porta ruotò sui cardini senza alcuna resistenza. Il buio dell’ingresso lo inghiottì di colpo. Voragine misteriosa stipata di paura. Odore polveroso della casa. Si appoggiò allo stipite cercando di respirare piano. Fece un passo all’interno e restò in ascolto. La sua mano sfiorò un interruttore. Luce materializzata in un attimo. Una giovane donna stava seduta su un divano in mezzo alla stanza, accanto a un camino. Lunghi capelli neri adagiati sulle spalle. Drappo rosso avvolto intorno al corpo flessuoso. Sigaretta spenta a penzoloni dalle labbra. Livio fece un passo indietro pronto a sentire un urlo di sorpresa e di terrore.

    – Ehi, hai da accendere?

    – No… non fumo…

    – Peccato.

    Livio si guardò intorno. La donna si alzò in piedi e si avvicinò a Livio.

    – Che palle!… Ma che ore sono?

    – Quasi le tre di notte.

    La donna rimase a fissarlo per alcuni secondi.

    – Tu che ci fai, qui?

    – Passavo e ho visto un’ombra che costeggiava un muro… ho pensato che fosse un ladro… sto facendo la ronda notturna…

    – Sei proprio sicuro di non avere da accendere?

    – Posso prendere l’accendino della macchina.

    – Magari.

    Livio si diresse fuori, estrasse l’accendino e lo tenne tra le mani per proteggere la brace elettrica. La donna lo stava attendendo sulla soglia della villa. Aspirò il fumo e buttò all’indietro la massa di capelli. Livio inghiottì il bolo di saliva che gli si era accumulato in bocca.

    – Quindi non ti sei accorta di nulla… non hai visto nessuno, là fuori?

    – Ero io… avevo fatto due passi, non riuscivo a dormire…

    – Tu abiti qui?

    – Certo.

    – E da quando?

    – Da poco tempo.

    – Sei un’amica di Palmieri?

    La donna si allontanò da Livio e rientrò all’interno, continuando a fumare. Si passò una mano tra i lunghi capelli neri.

    – Posso sapere come ti chiami?

    – Veronica.

    Gli si avvicinò di nuovo e lo fissò a lungo, come se lo volesse studiare. Si accostò piano al suo volto esterrefatto. Alito caldo di lei, tra le spire di fumo biancastro. Gli fece passare la lingua sulle labbra, cercò un pertugio tra i denti e gliela affondò delicatamente in bocca. Livio ondeggiò, come un palo conficcato malamente in un terreno troppo duro. Veronica gli passò una mano tra i capelli. Vibrazioni impercettibili delle sue labbra scarlatte. Gettò la sigaretta oltre la porta d’ingresso. Lo condusse verso il divano e lo fece distendere. Gli si mise a cavallo delle gambe irrigidite dalla tensione. Drappo rosso lasciato scivolare sul pavimento. Cominciò a sbottonargli la camicia e ad accarezzargli il petto. Lo avvolse come una piovra e si dimenò su di lui risucchiandogli ogni residuo di energia. Restò ad ascoltare i mugolii del suo orgasmo poi si allontanò e si diresse verso il fondo della grande stanza, senza voltarsi indietro. Frammenti della sua nudità baluginati nell’oscurità della stanza.

    – Veronica…

    Livio intravide una porta chiudersi e poi più nulla. Si alzò dal divano e andò a bussare, continuando a chiamarla. Provò ad aprire ma la porta era chiusa dall’interno. Attese per diversi minuti. Alla fine tornò sui suoi passi. Raccolse i vestiti sparpagliati per terra. Restò a fissare la porta chiusa oltre la quale era sparita la donna. Si infilò gli indumenti e si avviò verso l’uscita.

    Alba in procinto di emergere dalla campagna intorpidita, oltre i tetti di gres. L’abitacolo dell’auto lo avvolse come una morsa. Aria trasformata in un magma dolciastro nei polmoni. Avviò il motore e percorse le strade senza vedere nulla. Brandelli di inquietudine sputati lungo gli impiantiti che sembravano distese di ghisa crepata. Nessun pensiero nella testa, solo il sapore di quelle labbra e di quel profumo.

    Livio fermò la macchina davanti al cancello di casa e scese a ricevere la benedizione della famiglia ancora immersa nel sonno. Si preparò un caffè e si sedette dietro il bancone della cucina con lo sguardo perso sulle piastrelle di finto cotto.

    – Come è andata?

    La moglie era comparsa sulla soglia della cucina, con un pigiama di tela leggera, capelli arruffati sul volto disfatto dal sonno.

    – Bene… non è successo niente… tutto tranquillo.

    Gli sembrò che la sua voce avesse un suono innaturale. Gorgoglio della caffettiera appena in tempo a interrompere il silenzio. Livio si alzò.

    – Me ne vado a letto.

    – E il caffè?

    – Lo bevo dopo.

    – Non andrai in officina, vero?

    – Ci andrò nel pomeriggio. Telefona a Remo per ricordargli quegli ordini urgenti.

    Livio si lasciò cadere sul copriletto azzurrino, afferrò il cuscino e se lo conficcò sulla testa. Sapeva che non avrebbe chiuso occhio. Respirò l’odore delle lenzuola infeltrite. Dopo qualche minuto si trascinò giù dal letto, agguantò il telefono e compose un numero.

    – Sono Varsi. Cerco Roberto.

    – Roberto è via. Tornerà tra tre giorni.

    – Dove è andato?

    – In Francia, con Trini, a una fiera del vino.

    – D’accordo.

    Digitazione di un secondo numero. Restò in attesa. Cliente irraggiungibile. Compose in fretta un messaggio. Poi lasciò cadere il telefono sul tavolo. Polvere in sospensione nell’aria satura di umidità.

    Mezzogiorno inchiodato alla luce vivida del cielo. Bar del paese abbarbicato all’impiantito grigiastro. Tavolini incandescenti mal riparati da un ombrellone blu sbiadito. Livio vide Becchi guardare il fondo di un piccolo calice di malvasia ormai vuoto. Frammenti di patatine sulla tovaglia rossastra.

    – Ehi, Livio, come è andata ieri notte?

    – Bene… i ladri erano in sciopero.

    – Meglio così. A chi tocca questa notte?

    – A Garnetti, credo.

    Becchi fece un cenno al cameriere per un rabbocco di vino. Livio ordinò un caffè.

    – Dimmi una cosa, Becchi, è venuto ad abitare qualcuno nella casa di Palmieri?

    – No, non che io sappia. Perché me lo chiedi?

    – Così… ieri notte ci sono passato davanti più di una volta e mi sono chiesto se la casa fosse stata affittata.

    – Ci vuole uno con le tasche piene di soldi per affittare una villa di quel genere.

    – Lo credo anch’io.

    Livio ingollò il caffè come se fosse un bicchierino di grappa. Becchi tracannò la sua malvasia. Si alzò e si aggiustò la cintura dei pantaloni. Fece un cenno di saluto e attraversò la piazza infuocata. Livio lo guardò allontanarsi sulle grosse gambe leggermente arcuate. Aspettò che scomparisse all’interno della sua vettura e ripartisse in direzione di casa. Livio si alzò e raggiunse la sua auto con le gambe leggermente tremanti sotto i pantaloni di lino chiaro. Si diresse verso la villa di Palmieri. Restò a guardarla da dietro i vetri del parabrezza. Eccitazione mista a timore. Non c’era nessuno in giro. Tentazione di scendere e andare a vedere se Veronica era dentro ad aspettarlo. Lo potevano vedere, in piena luce. Prima o poi avrebbero scoperto che ci abitava quella donna. Voci di paese a corrodergli l’animo e la coscienza. Si allontanò continuando a fissare la casa nello specchietto retrovisore.

    – Venerdì Basetti non può fare il suo turno di ronda, hanno portato sua madre in ospedale. C’è qualcuno che lo può sostituire?

    Voce di Becchi stampata nell’aria asfittica del bar. Livio sollevò una mano di scatto, come a scuola.

    – La faccio io.

    – Tu? Un’altra?

    – Tanto sabato l’officina è chiusa.

    – Contento tu.

    Livio contrasse i muscoli delle guance. Sentì delle pacche sulle spalle, le voci degli uomini gli ronzarono intorno come mosconi eccitati. Livio pensò a come lo avrebbe detto a sua moglie, dovevano andare in pizzeria, venerdì.

    Strade attraversate di sbieco, solo il rumore dei suoi passi nell’aria intrisa della sua frenesia. Livio scivolò sotto le coperte sperando di non svegliare la moglie. Restò pietrificato a guardare il soffitto e a sentire i piccoli gorgoglii di lei nel sonno. Una strana forma di paura gli attraversò i visceri e gli bucò il cervello.

    Il venerdì la moglie se ne andò in pizzeria con le amiche. Figli consegnati ai nonni come due ostaggi sbalorditi. Livio si mangiò un panino e bevve molto caffè. Restò ad ascoltare il silenzio della casa come se stesse per stritolarlo.

    Notte immobile, dietro i lampioni inchinati sull’asfalto. Livio guidò verso la casa dei suoi genitori, vicino agli argini. Sapeva che era tardi, forse suo padre dormiva davanti alla televisione mentre sua madre se ne era già andata a letto. Si muovevano come vecchi animali in gabbia, ormai assuefatti ai ritmi dello zoo. Non potevano più scorrazzare liberi nella campagna intorno al grande fiume, portando in casa l’odore dei campi, il respiro dell’acqua. Livio sentì il solito odore di chiuso, quando entrò. Suo padre gli lanciò uno sguardo. Era ancora seduto a tavola. Tovaglia costellata di briciole. Impronta circolare del bicchiere di vino scuro.

    Livio si sedette accanto a lui, in silenzio. Suo padre spense la televisione e finì il vino nel bicchiere.

    – Ne vuoi?

    – No, devo restare sveglio, faccio la ronda questa notte.

    – Fai la ronda… e perché?

    – Ci sono i ladri, in paese…

    Il padre strizzò le labbra avvizzite e si appoggiò allo schienale della sedia.

    – Tu stai male, ragazzo mio… molto male…

    – Ma cosa dici? Non sono mai stato meglio.

    – Lo pensi tu… ma non puoi ingannare gli occhi del tuo vecchio padre.

    Livio restò qualche minuto in silenzio, con gli occhi fissi sulle macchie della tovaglia. Poi si alzò e scivolò in silenzio fuori dalla casa dei genitori. Mormorio biascicato tra i denti serrati, voleva essere una specie di saluto. Suo padre non si mosse, si lasciò avvolgere dalla luce fioca che stava per consumarsi nel tremore della notte.

    Ore trascinate sugli intonaci delle case, sulle recinzioni smaltate, sui lampioni attorniati da insetti notturni. Spessore del silenzio incrinato dal ronzio di qualche automobile lontana. La notte gli alitò addosso tutta la sua inquietudine.

    Livio si diresse verso la casa di Palmieri intorno alle due. Parcheggiò a una certa distanza, accanto ad altre macchine, poi si avviò a piedi guardandosi intorno. Il buio compatto lo fece tremare di fronte alle finestre chiuse, al viottolo di mattoni consunti che portavano verso la porta d’ingresso. Casa incarcerata nel guscio discreto della notte, oscurata dalla latitanza della luna.

    Oltrepassò il cancello accostato. La porta d’ingresso era socchiusa. Livio si ritrovò nel grande vano immerso

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