Clara Hörbiger e la cripta meccanica: Clara Hörbiger 4
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La guerra contro i Seleniti, gli alieni che hanno invaso l'Impero Austro Ungarico e la Terra, prosegue senza sosta. Ma il morale è basso e sembra che non sia possibile fermare l'avanzata degli extraterrestri. È necessario qualcuno capace di ribaltare la situazione. Ma il nemico di Clara, Borri, ha un piano tutto suo per mettere le mani su questa persona.
Alessandro Forlani insegna sceneggiatura all'Accademia di Belle Arti di Macerata e alla Scuola Comics di Pescara. Premio Urania 2011 con il romanzo "I senza tempo", vincitore e finalista di altri premi di narrativa di genere (Circo Massimo 2011, Kipple 2012, Robot e Stella Doppia 2013) pubblica racconti e romanzi fantasy, dell'orrore e di fantascienza ("Tristano"; "Qui si va a vapore o si muore"; "All'Inferno, Savoia!") e partecipa a diverse antologie ("Orco Nero"; "Cerchio Capovolto"; "Ucronie Impure"; "Deinos"; "Kataris"; "Idropunk"; "L'Ennesimo Libro di Fantascienza"; "50 Sfumature di Sci-fi"). Vincitore del Premio Stella Doppia Urania/Fantascienza.com 2013.
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Clara Hörbiger e la cripta meccanica - Alessandro Forlani
9788867759361
1
Clara si svegliò in un letto molto comodo, fra lenzuola profumate e pulite con accanto un orsacchiotto di pezza. Un afflato di cinguettii mattutini, polveroso di borotalco, di caligine di città, si insinuò, dagli scuri socchiusi, nella penombra rosa-antico di una camera per bambine; e un alito pizzicò un calendario a parete con il foglio 26 giugno 1847.
L'orologio, su un comò, si affrettava alle 11.00.
Il raggio scivolò fin un carrello di ottone appetitoso di frutta fresca, di pasticcini e di latte; di burro, pancarré e barattolini di marmellata. Saltò giù dal materasso deliziata ed affamata. Solo allora si accorse di avere indosso un autentico tesoro di camiciola da notte: quella seta acciarina, dai riflessi argentati, era un rivolo d'acqua fresca dalle spalle fin i polpacci; sotto il trine floreale si arrossì di essere nuda.
Ma…
Le diradarono le grevi nubi del sonno e si sovvenne di Nigra, di quell'uomo e del golem; del vapormobile coi finestrini oscurati che accelerava nel… buio.
Che la avevano rapita!
E quella pagina dell'almanacco là al chiodo che la avvertiva ch'era assopita da più di un giorno!
Scansò la colazione, si affacciò alla finestra: da almeno il terzo piano di un austero palazzo, incastonato in un lungoviale di architettura francese, le apparve il panorama d'una metropoli razionale, di infaticabili ciminiere e giganteschi paranchi; di fabbriche larghe e piatte con i velodromi sui terrazzi; di tram, che si incrociavano su tre livelli di via ferrata e scrosciavano scintille sui cornicioni settecenteschi.
La investì un effluvio strano di cioccolato e carbone.
Su un cielo di azzurro gelido e acceso, striato di spurghi neri di industria, si scorgevano distintamente le Alpi dipinte all'acquarello coi colori della neve: molto grandi e più vicine che dai cancelli della Centrale a Milano. E però non ritrovò le torri gotiche d'una Chartres, di Parigi o di Reims; le guglie, le campane e le vetriate di Notre-Dame: riconobbe lo stendardo, col tricolore e la croce, che garriva alla brezza elettrica dal palazzo di un Re:
– …è l'insegna dei Savoia! Mi han portata a…
– …oui, è Torino – le confermò una vocina. Clara si voltò alla compunta domestica che era apparsa all'improvviso sulla soglia della stanza: la ragazza restava là, ferma sull'uscio con gli occhi bassi, e porgendole un vestito di seta splendida tenebrosa; le scarpe, le calze e un cappellino en pendant.
– Se per caso mademoiselle si è già lavata e rifocillata, si vesta: ché la attendono a basso.
– Chi mi aspetta?! A basso dove?! È una cosa da… screanzati! –; ma la seta e le pieghe nere di quell'abito strepitoso, e i guanti, i ricami, gli incantevoli dettagli, le smorzarono l'arrabbiatura le vampe elettriche le escandescenze.
E poi, quasi sicuro, c'era giù Nigra che la aspettava…
Ma smettila, cretina!; si imporporò di vergogna, tolse l'abito da in braccio alla ragazza e le intese, di tergo, si allontanasse; ché avrebbe fatto da sola.
L'altra schiarì la voce, non si mosse d'un passo: guardò alla frutta fresca, al caffè latte, le marmellate, gli asciugamani stirati e intatti e l'acqua calda ed i sali intonsi:
– Se per caso mademoiselle si è già lavata e rifocillata – ripeté con intenzione senza ammettere discussioni, – …ché altrimenti, non ce ne andiamo da qui.
– Ehi, piemontese! Lo sai che a casa nostra non comanda la servitù?!
Quella, zitta e rigida, le spalancò un'altra finestra davanti gli occhi, la affacciò a un altro scorcio di Torino, le imburrò una tartina e gliela sparse di miele e burro:
– È squisito, non, mademoiselle?
Clara annusò l'aria di cioccolato e carbone, e inghiottì quel bocconcino con una tazza di latte caldo. Vuotò una porcellana e lasciò briciole su un piattino; un cucchiaio, un coltellino d'argento, appiccicosi di marmellata e di granelli di zucchero.
Si acconciò, si vestì e volle fare da sé: e allontanava con uno sguardo la cameriera ogni volta le si accostasse ad allacciarle i bottoni.
I riflessi del mattino sui ricami di quell'abito la lasciarono stupefatta e incuriosirono del disegno: riconobbe una trama fitta, minuscola, a fil di rame, di caratteri in ebraico e pentacoli nel pizzo; frasi intere dai salmi biblici, e esorcismi cristiani, nelle stecche di balena che reggevano il corsetto. Stelle a punta e croci greche sotto il tacco delle scarpe.
Non le piacque granché.
– Che cos'è 'sta pagliacciata? È sinistro! Sono mica una fattucchiera da baraccone! Si riprendano 'sti stracci neri, voglio un abito decente!
Ma la ragazza le strinse i polsi:
– Scendiamo, mademoiselle.
Ora basta, 'sta impudente!; l'avrebbe stesa con una scarica. Non le importava che non doveva, non è corretto ed è eretico: maltrattata, prigioniera e la vestivano da pagliaccio! Scaldò le dita di flusso elettrico e rabbia,