Straniera
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Book preview
Straniera - Maria Cristina Grella
a cura di Vincenzo Vizzini
Maria Cristina Grella
Straniera
Prima edizione novembre 2014
ISBN versione ePub: 9788867755677
© 2014 Maria Cristina Grella
Edizione ebook © 2014 Delos Digital srl
Piazza Bonomelli 6/6 20139 Milano
Versione: 1.0
TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Sono vietate la copia e la diffusione non autorizzate.
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Indice
Maria Cristina Grella
Straniera
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Delos Digital e il DRM
In questa collana
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Maria Cristina Grella
Maria Cristina Grella vive Perugia, con suo marito e i due amatissimi gatti. Nella città umbra insegna Italiano e Storia nella scuola secondaria superiore. Ha pubblicato numerose storie gialle per la rivista settimanale Vera e il racconto Vacanze alternative per la rivista mensile Confessioni Donna. Due suoi racconti brevi sono apparsi nelle antologie 365 Racconti sulla fine del mondo e 365 Storie d’amore edite da Delos Books.
1
Domenica, 18 luglio 2010
Il sole è già tramontato quando sbarco su quest’isola selvaggia e meravigliosa. Mentre scendo dal traghetto, penso che tutto sarebbe perfetto se anche Luca, mio marito, fosse qui. Invece, lui è rimasto a Roma. Impegni di lavoro, ha detto, e io sono partita insieme a mia sorella Paola e alla sua famiglia.
– Come va, Ada? – domanda mio cognato che è alla guida.
– Da schifo – rispondo.
– Dai, non fare così. Vedrai che le cose tra te e Luca si aggiusteranno. Non è possibile mandare a puttane tanti anni di vita insieme per una sciocchezza.
– Una sciocchezza? – domando. Non so quello che Luca gli ha raccontato, ma un figlio morto non è una sciocchezza, e nemmeno un adulterio lo è.
Mentre guida verso il residence, non fa che ripetermi che tutto si sistemerà. Mia sorella non parla, ma so che pensa che quella sbagliata sono io. Mi limito a sorridere scuotendo il capo. Luca è ormai uno di loro, ma io non so se riuscirò a perdonare, anche se non ho mai smesso di amarlo. Stiamo insieme dai tempi della scuola. Abbiamo condiviso tutto, negli ultimi venti anni di vita, ma non la tragedia dell’inverno appena trascorso.
Ho partorito un figlio morto, dopo averlo portato per nove mesi nella pancia. Era il mio bambino. Era mio. Era parte di me e non è vero che non l’ho mai conosciuto.
Mia madre. Lei non l’ho mai conosciuta. Si è ammazzata quando ero molto piccola. È stata Paola, che mi ha fatto da mamma. Mio figlio, invece, lo conoscevo bene. L’ho sentito muoversi e scalciare nella pancia per mesi. Ho passato ore e ore in religioso silenzio per non disturbare il suo sonno, avvolto nella coperta del liquido amniotico, pensando ai suoi occhi spalancati nelle mie viscere, sognando il suo tenero sguardo di bimbo, le sue manine paffute, i suoi occhi scuri come quelli di Luca. Pregando perché avesse una vita lunga e felice. Gioiosa.
Ma tutto quello che ho immaginato, sperato, fantasticato, non è mai diventato realtà. I miei sogni sono rimasti tali: fantasie di una donna delusa.
Ho partorito un figlio morto. Senza vita. Senza sogni. Senza amore. Come culla ha avuto una piccola bara. Non me lo potrò mai perdonare, anche se tutti dicono che non è stata colpa mia.
È accaduto ai primi di dicembre, quando le giornate diventano sempre più corte e buie, ma le strade sfavillano sotto il peso delle luminarie del Natale. Quando sono uscita dall’ospedale, faceva freddo e l’aria umida e carica di pioggia, che mi appiccicava addosso i vestiti, non ha fatto altro che rendere il mio dolore ancora più acerbo.
Il giorno che ho seppellito mio figlio, ho pensato che sarei andata via anche io, insieme a lui, nella terra gelida e muscosa. Volevo morire. Ero sicura che anche per me fosse arrivata la fine. Ma non è andata così. Quel giorno ho imparato che la vita non cessa per un grande dolore. L’esistenza continua e, a un certo punto, bisogna scegliere se vivere o morire.
Mio marito, però, non ha capito. Era anche figlio mio
mi ha detto,ma io non ho permesso al dolore di averla vinta
.
È vero. Lui non glielo ha permesso. Forse perché non lo ha mai veramente desiderato, quel bambino. É questo pensiero che ha aperto tra noi un solco che è tanto difficile colmare.
– Siamo arrivati – dice mio cognato svoltando sulla destra.
– Vieni da noi a mangiare qualcosa? – chiede Paola.
– Non ho fame – rispondo. – È tardi e sono molto stanca.
Ci diamo la buona notte e ognuno se ne va al proprio alloggio.
Il mio appartamento è piccolo: una terrazza, la stanza da letto il bagno e una cucina, ma per passarci le vacanze estive è perfetto. Mi sembra strano che Luca non ci sia. È la mia prima volta senza di lui. Non voglio ammetterlo, ma mi manca da morire. Non resisto alla tentazione e grufolo nella borsa alla ricerca del cellulare. Lo accendo. Voglio vedere se mi ha chiamato. Tanto, lo so benissimo che lui se la spassa, senza di me che gli rompo le palle. Non faccio in tempo a schiacciare il pulsante dell’accensione, che il telefonino inizia a ronzare. Il nome di Luca appare sul quadro illuminato. Senza pensarci su un istante, schiaccio il tasto e apro la comunicazione.
–Ada?
–