Il cane e l'anatra
By Luca Sartori
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Il cane e l'anatra - Luca Sartori
produzione.
Capitolo 1
Ogni volta che viene Natale non posso fare a meno di ripensare a quei lontani giorni di fine dicembre del 1889 quando, stando ai miei appunti, mi trovavo a passeggiare in Oxford Street senza una meta ben precisa. Avevo fatto visita al dottor Cyril Wotton, un vegliardo di settant’anni che era stato un mio professore all’università e che, distintosi nel campo dell’oftalmologia, aveva recentemente pubblicato un interessantissimo opuscolo sulle degenerazioni maculari della retina. Mi ero ripromesso di leggerlo con attenzione e per questo ero passato dal suo studio in Cavendish Square per ritirare una copia dalle sue stesse mani. Lo studio del dottor Wotton era uno di quegli ambienti in cui ogni medico con un minimo di ambizione avrebbe sognato di esercitare: tre stanze al quarto piano di un elegante edificio in pietra bianca e mattoni ocra, arredate con buon gusto secondo l’ultima moda e provviste di tutte le attrezzature di cui un buon fisiologo aveva bisogno. Avere uno studio ben avviato in Cavendish Square voleva dire avere una clientela ricca e abbondante che certo avrebbe permesso al titolare di disporre di un invidiabile reddito nonostante gli affitti della zona fossero tra i più cari di Londra.
Avevo chiacchierato vivacemente con il dottor Wotton per un’oretta, e ci eravamo lasciati facendoci gli auguri di buon natale, ma non appena mi confusi con la folla della strada mi sentii assalire da una subdola forma di frustrazione. Ero troppo orgoglioso per ammettere che il confronto tra quell’empireo della medicina e il mio modestissimo ambulatorio nei pressi di Paddington, che tra l’altro condividevo con il collega Anstruther, era impietoso e umiliante, e perciò imputai il mio stato d’animo a una specie di avvilimento natalizio, ovvero quella tristezza che s’insinua silenziosamente nell’allegria più chiassosa, corrodendo il buon umore come una goccia d’acqua corrode la roccia. Troppi pagliacci travestiti da Santa Claus, mi dicevo. Troppi dolciumi al mercato del Covent Garden. Troppi polli, troppi capponi e troppi maiali sbudellati nelle botteghe dell’East End. E poi le immancabili voci bianche del coro di St. Paul, e i tre spiriti di Dickens che puntualmente tornavano a infestare ogni casa d’Inghilterra. La gente sembrava esser preda di un eccessivo fervore per un avvenimento che si ripeteva una volta ogni trecentosessantacinque giorni, il che strideva con la flemmatica indifferenza che regnava sovrana durante tutto l’anno, come se Gesù Cristo non fosse mai nato.
Cercai di rimediare alle mie malsane elucubrazioni e spesi due scellini per acquistare una copia del Beeton’s Christmas Annual, una rivista di passatempi che piaceva molto a mia moglie Mary. A dire il vero anch’io mi concedevo qualche sbirciatina al suo interno, qua e là, prediligendo le commedie teatrali e i racconti polizieschi. La copertina del 1889, pittoresca e colorata come sempre, annunciava un intrigante delitto della camera chiusa. Cominciai a leggiucchiare distrattamente e, quasi per associazione di idee, una forza misteriosa mi attrasse verso Baker Street. In effetti, non vedevo Sherlock Holmes da un paio di settimane, essendomi concentrato sulla professione e sulla vita matrimoniale. In un paio d’occasioni mi aveva spedito dei telegrammi per informarmi sui casi che aveva risolto con successo. Erano casi semplici e poco interessanti, ovviamente, che gli servivano più che altro per fare cassa. Avrei potuto star certo che, non appena si fosse presentato qualcosa di succulento, Holmes non avrebbe esitato a convocarmi.
Arrivai davanti al 221B che già imbruniva. Un vento freddo spazzava la strada, perdendosi in un cielo color ametista sporca, dove le fumarole dei comignoli disegnavano inquietanti ombre nere. Una luce tenue e giallastra filtrava da una finestra al primo piano, la finestra del soggiorno dov’ero stato così tante volte. Il mio amico era in casa, dunque, e sapendolo un’anima inquieta, già m’immaginavo cosa stesse facendo per lenire il suo malheur de vivre. Mi calcai il capello in testa e mi strinsi nel mio Ulster, rialzando il bavero. Poi, infilato l’opuscolo del dottor Wotton all’interno del Beeton’s Christmas Annual, ripiegai in due la rivista natalizia ed entrai nell’andito. Salii i diciassette scalini che mi separavano dal primo piano e bussai con vigore alla prima porta a destra dopo le scale.
– Entri pure, Watson – rispose una voce familiare.
Entrai senza farmelo dire una seconda volta, richiudendomi la porta dietro. Un forte odore di ammoniaca mi aggredì le narici. In compenso, c’era un calduccio corroborante e un bel fuoco ardeva nel caminetto. Holmes era in piedi di fronte al caminetto e aveva appena gettato un pezzo di legna tra le fiamme. Mi sorrise e mi salutò cordialmente.
– Oh, buonasera, Watson. Che posso dirle: buon Natale! Le prometto che è l’unica cosa banale che le dirò stasera.
– Buon Natale, Holmes – risposi prima di togliermi il capello e il cappotto per appenderli sull’attaccapanni. – Che cosa ha combinato con i suoi alambicchi? C’è un odore tremendo qua dentro.
– Ah, solo un piccolo e interessante esperimento. Ma la prego, si sieda! Tra dieci minuti la signora Hudson dovrebbe essere qui con il tè.
Mi sedetti su una poltrona e Holmes fece altrettanto. Mi guardai attorno, scrutando tra i tanti curiosi oggetti che affollavano la stanza, e notai che c’erano uno spruzzatore, dei barattoli con delle polveri e alcuni becchi contenenti del liquido sopra il tavolo con il piano rivestito in acciaio.
– Ma che razza di esperimento ha fatto? – domandai.
– Oh, nulla di particolarmente straordinario – rispose lui. – Ho solo riprodotto un campione d’inchiostro simpatico.
– Inchiostro simpatico? E perché mai?
– Perché oggigiorno è molto usato dai truffatori. Eh sì, caro Watson, la scienza non è soltanto al servizio degli onesti. Per un investigatore è essenziale saper riconoscere il caratteristico odore acidulo e persistente che emana un foglio su cui si è scritto con l'inchiostro simpatico. Lo sapeva che per far apparire l’affascinante scrittura invisibile è sufficiente tracciare un testo con un pennino intinto in una soluzione con sali di ferro o rame, e poi spruzzarlo con del ferrocianuro liquido o ammoniaca? Si otterrà un colore blu di Prussia o marrone. In questo caso io, con i sali di rame e l’ammoniaca, ho ottenuto un colore marrone. Se non si ha la soluzione d’ammoniaca si può usare, all’occorrenza, il succo di un limone molto maturo. Ma mi dica: come le va la vita? Vedo che oggi pomeriggio non ha visto alcun paziente, che non ha ancora incontrato sua moglie, e che è andato a trovare quel suo vecchio professore che ha lo studio in Cavendish Square.
– Sì, è tutto vero. Risulterei scontato se le chiedessi come ha fatto a dedurlo?
– Oh, non mi ci è voluto poi così tanto. Oggi lei indossa degli scarponcini neri con la punta arrotondata, e io conosco fin troppo bene le sue abitudini per non sapere che quando fa il giro dei pazienti si mette sempre gli stivaletti marroni che sono leggermente più appuntiti. Inoltre, noto anche che non ha con sé la sua valigetta di cuoio e lo stetoscopio infilato sotto il cappello. Se non è uscito per andare a fare delle visite professionali è evidente che deve aver avuto qualche altra ragione. Se osservo quella rivista natalizia che stringe piegata tra le mani posso vedere chiaramente spuntare la parte superiore di un libello al suo interno, dove si può distintamente leggere il nome dell’autore: professor Cyril Wotton. Per quanto ne so, nessun opuscolo del professor Cyril Wotton è attualmente in circolazione. Per cui deve necessariamente averlo preso direttamente da lui, in Cavendish Square. Per quanto riguarda il fatto che lei non abbia ancora incontrato sua moglie, bé, è elementare, Watson: il Beeton’s Christmas Annual è la rivista preferita di sua moglie Mary, e certamente l’ha comprata per lei. E se l’ha qui tra le mani vuol dire che non ha ancora avuto modo di vederla per dargliela.
– I suoi ragionamenti non fanno una piega – osservai. – In effetti devo vedermi con mia moglie più tardi, verso le sette. Pensavamo di cenare al Trocadero.
– Ah, un po’ caro. Hanno degli ottimi vini di Borgogna. Il fois gras è un po’ unto, ma in compenso la tarte tatin è eccezionale.
– Sì, è un po’ caro. Ma oggi festeggiamo nove mesi di matrimonio, e abbiamo deciso di concederci un piccolo lusso. A ogni modo, c’è una cosa che non ha dedotto: il Beeton’s Christmas Annual non piace solo a mia moglie, piace anche a me.