Big Ed
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Book preview
Big Ed - Luca Di Gialleonardo
a cura di Franco Forte
Big Ed
di Luca Di Gialleonardo
1.0 marzo 2014
ISBN versione ePub: 9788867752270
© 2014 Luca Di Gialleonardo
Edizione ebook © 2014 Delos Digital srl
Piazza Bonomelli 6/6 20139 Milano
Versione: 1.0 marzo 2014
TUTTI I DIRITTI RISERVATI
Sono vietate la copia e la diffusione non autorizzate.
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Indice
Colophon
Luca Di Gialleonardo
Big Ed
Errori di gioventù
Co-Ed killer
Venerdì santo
Epilogo
Delos Digital e il DRM
In questa collana
Tutti gli ebook Bus Stop
Luca Di Gialleonardo
Luca Di Gialleonardo nasce il 31 ottobre del 1977 a Teramo, trascorre i primi anni di vita a Sassuolo (MO) e si trasferisce in via definitiva ad Anagni (FR), lo storico paese famoso per lo schiaffo
.
Non appena impara a leggere e scrivere, queste due attività diventano i suoi interessi principali. Laureato in Economia, lavora in una società di servizi per i fondi pensione. Nel 2009 pubblica con la Delos Booksil romanzo La Dama Bianca, nella collana Storie di draghi, maghi e guerrieri. Nel 2013 è finalista al Premio Urania. Per la Delos Digital, è autore de "La Fratellanza della Daga", serie di racconti fantasy in ebook. Cura sulla Writers Magazine Italia una rubrica su tecnologia e scrittura.
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Luca Di Gialleonardo, La Dama Bianca Dragonz ISBN: 9788865300220 Luca Di Gialleonardo, La daga di bronzo Fantasy Tales La Fratellanza della Daga ISBN: 9788867750801 Luca Di Gialleonardo, Iniziazione Fantasy Tales La Fratellanza della Daga ISBN: 9788867751587 Andrea Franco, Luca Di Gialleonardo, Di fame e d'amore The Tube Exposed ISBN: 9788867752119
Errori di gioventù
15 settembre 1972
— Sarà interessante.
Tom segue il dottor Foster lungo il corridoio, cercando di tenere il passo delle lunghe gambe. Maledice la propria statura. A ventisei anni è ancora alto quanto il suo cuginetto di dodici. Forse anche meno. Non vede Charlie da sei mesi, a quell’età i ragazzini si ritrovano con i pantaloni corti nel giro di una notte. La gran parte, almeno.
— Che cosa? — chiede Tom. Ha fatto quasi un balzo, per riuscire a portarsi al fianco di Foster.
Lui è già mezzo metro più avanti. Pare si diverta a lasciarlo indietro. — La valutazione di oggi.
Tom sospira. O forse ansima. Foster spara sempre quelle risposte telegrafiche. Ogni volta bisogna porre una nuova domanda per ottenere un’informazione in più.
Entrano in una stanza per le valutazioni. Un cubicolo spoglio. Pareti bianche, finestra che affaccia sul sole californiano, una scrivania e tre sedie di plastica. Due per i medici che danno le spalle alla finestra, una posta dall’altra parte del tavolo.
Foster sbatte il fascicolo sul piano e va ad affacciarsi. Tom è tentato di aprire la cartellina per farsi un’idea del soggetto che dovranno esaminare. Si trattiene. Sa che Foster non approverebbe. Il medico è lui. Gli specializzandi devono assistere e apprendere dai medici, dice sempre.
Sbircia solo il nome scritto con un pennarello sul cartoncino. Edmund Emil Kemper III. Un nome dal suono importante, che non dice molto sul soggetto. Potrebbe essere un vecchietto piegato dalla malattia o un ragazzo dagli occhi allucinati.
— Perché pensa che la valutazione sarà interessante? — chiede Tom.
Foster prende posto alla scrivania. — Ho letto alcuni rapporti dei miei colleghi di Atascadero su questo ragazzo.
Una frase lunga, stavolta, che ha fornito almeno due informazioni. Un ragazzo, dunque. Tom preferisce gli anziani. Tende a creare una certa empatia con i suoi coetanei e non va bene quando devi valutare se hai davanti una persona sana o qualcuno che ha ancora lampi di follia nella testa. Ma tanto non è Tom quello che deve valutare. Solo il medico può farlo, lo specializzando deve osservare in silenzio e imparare.
Atascadero. Deve esserci stato da adolescente, se è ancora un ragazzo.
Qualcuno ha chiuso la porta. Questo, almeno, è il primo pensiero che coglie Tom quando vede oscurarsi lo spazio tra i montanti. Ci vuole qualche istante in più per mettere a fuoco il gigante che attende di entrare.
— Sono Ed Kemper — si presenta. Ha la voce profonda, calma. Un sorriso cordiale sovrastato da un paio di baffi scuri. Capelli corti e ordinati. Un pacchetto di sigarette sforma il taschino della camicia senza maniche.
— Si accomodi — gli fa Foster accompagnando le parole con un gesto.
Gli bastano due passi per arrivare alla scrivania. Kemper supera i due metri. Tom ha quasi male il collo a guardarlo. Foster indica la sedia. Sembra di vedere un adulto su una seggiola per bambini, tanto Kemper è sproporzionato. Continua a sorridere. Non sembra aver fretta.
Foster apre la cartellina. Tira su un foglio. — Edmund Emil Kemper III…
— Ed va bene — lo interrompe il gigante.
Foster accenna un sorriso, prima di continuare. — Nato a Burbank il 18 dicembre 1948. Ricoverato nell’Ospedale Psichiatrico Criminale di Atascadero nel dicembre del 1964. C’è rimasto circa cinque anni.
Kemper annuisce.
— Dove vive oggi?
— Divido un appartamento ad Alameda con un amico, ma sono spesso con mia madre, a Santa Cruz. Sono stato affidato a lei.
— Sua madre lavora?
— È responsabile amministrativa del campus dell’università.
— Lei lavora o studia?
— Lavoro.
— Non le piacerebbe iscriversi all’università? Qui leggo che ha una buona predisposizione per gli studi.
— Preferisco lavorare. Sono operaio nel dipartimento ponti e strade della California.
Per un attimo, Tom legge un lampo di delusione nella voce. — Non le piace? — gli scappa. Si becca una brutta occhiata di Foster. Deve stare in silenzio e apprendere. Ogni tanto lo dimentica.
— Avrei voluto fare il poliziotto — risponde Kemper. — Mi ero anche iscritto a un college, quando ero ancora sotto la supervisione della Youth Authority. Volevo fare domanda per entrare in polizia. Ma poi ho scoperto che sono troppo alto per i loro requisiti — aggiunge con una scrollata di spalle.
Io invece troppo basso, pensa Tom. A volte la vita si accanisce con una certa ironia.
— Sa perché oggi è qui, vero? — riprende Foster.
— È il mio controllo periodico. Dovete stabilire se sono ancora pericoloso.
— Lei si ritiene tale?
Kemper si sofferma a pensare. — Lo sono stato e ho meritato di essere rinchiuso. I cinque anni ad Atascadero sono stati molto istruttivi per me. Mi hanno aiutato a capire meglio i miei istinti e a dominarli.
— Non ha risposto alla mia domanda — incalza Foster.
— No. Non penso di essere ancora pericoloso.
Foster torna a sfogliare gli incartamenti. — Le piace sezionare i gatti?
Kemper non si scompone. — Mi piaceva quando ero bambino.
— Perché?
— Per vedere come funzionavano.
— Per vedere come funzionavano — rinforza Foster.
— Anche a scuola ci facevano sezionare rane. Per vedere come funzionavano.
— Ma decapitare e squartare i gatti di casa non è la stessa cosa.
— Avevo problemi, infatti — risponde lui. Il sorriso si allarga e, per un attimo, Tome sente un brivido guizzargli lungo la schiena.
Dieci anni prima, giugno 1962
— Dopo tocca a te.
Susan lo fissò con la bocca piegata dal disgusto. — Non mi va di farlo.
— È divertente — insistette Ed. — Forza, mettimi questa.
Susan prese la sciarpa che le stava porgendo. — Se mamma scopre che gliel’hai presa di nuovo ti spezza le ossa.
Per tutta risposta, Ed smosse la sedia tenendola per la spalliera, cercando l’equilibrio migliore sul prato. Quando si sentì soddisfatto, si accomodò. Anche Susan era alta, ma lui doveva comunque sedersi per consentirle di imbavagliarlo. Mentre armeggiava con il nodo dietro la nuca, le indicò la corda appallottolata ai suoi piedi.
— Anche quella? — si lamentò Susan.
Ed annuì. Che esecuzione era se il condannato non era legato? Portò le mani dietro lo schienale. Purtroppo la sedia non aveva braccioli e doveva accontentarsi. — Stringi forte — tentò di dire, riuscendo solo a sputacchiare sulla sciarpa. Susan non lo comprese, o forse preferì non farlo. Ed sentiva i polsi poco costretti. Voleva chiederle di ripetere il nodo, ma la sorella era già tornata di fronte a lui, con una mano alzata all’altezza della spalla, stretta su una leva immaginaria.
— Edmund Kemper, questa corte ti ha…
Ed scosse la testa. Mugugnò con forza, interrompendo le dichiarazioni della bambina.
— E va bene — sospirò lei alzando gli occhi al cielo. — Edmund Emil Kemper III, questa corte ti ha dichiarato colpevole e ti ha condannato alla sedia elettrica. Che Dio abbia pietà della tua anima.
Ed si innervosì di nuovo. Quella cretina aveva sparato una frase a caso, quando lui le aveva insegnato altre parole di rito. Poi Susan abbassò la mano e lui si sentì percorrere da un brivido. Chiuse gli occhi, strinse i denti sulla sciarpa, si scosse sulla sedia come se davvero l’elettricità gli stesse friggendo