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Dreamscapes: I racconti perduti
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Dreamscapes: I racconti perduti
Ebook126 pages1 hour

Dreamscapes: I racconti perduti

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About this ebook

Volume illustrato

Otto racconti dedicati al fantasy e alla fantascienza, accompagnati da diverse illustrazioni di Ignazio Piacenti. Un libro da non perdere per gli amanti del genere.
Gli autori presenti sono Alberto De stefano, Mara Cassardo, Maurizio Vicidomini, Vito introna, Eleonora pescarolo, Fabio Filippi, Roberto Cattaneo, Robeto Re.
LanguageItaliano
Publishereditrice GDS
Release dateJun 4, 2013
ISBN9788867820924
Dreamscapes: I racconti perduti

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    Book preview

    Dreamscapes - AA. VV.

    DREAMSCAPES

    I racconti perduti

    © Dreamscapes

    I Racconti perduti

    Editrice GDS

    Via Giacomo Matteotti 23

    20069 Vaprio D’Adda-Mi

    TEL.029094203

    MAIL: edizionigds@hotmail.it

    www.gdsedizioni.it

    COLLANA AKTORIS

    TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI

    Copertina e illustrazioni interne

    sono state realizzate Da Ignazio Piacenti.

     Grafica, il lettering e il logo dell'antologia in copertina sono stati realizzati da Fabio Cicolani.

    Non è consentito l’utilizzo delle illustrazioni interne compresa la copertina per utilizzi pubblicitari e divulgazione commerciali senza l’autorizzazione scritta da parte dell’editore e dell’illustratore

    La Fotografia

    Di Mara Cassardo

    Il bambino era concentrato sui sassi con cui stava giocando nella corte della villa antica.

    Ne aveva fatto già fatto un bel mucchietto e con ostinazione cercava di metterne altri sulla sommità della montagnola dalla larga base. Inesorabilmente, però, quando sembrava che potessero stare in equilibrio, un piccolo movimento ed ecco che rotolavano giù impietosi.

    La donna lo guardava sorridendo mentre, seduta su una panca di legno  appoggiata alla gialla e perfetta facciata della costruzione, sembrava riposarsi. Aveva il viso tirato con gli zigomi sporgenti e i capelli che, seppur fissati da un lungo spillone dall’estremità attorcigliata, cadevano disordinati e opachi sulle spalle: tutto di lei, anche la sua postura lì su quella panca, erano l’esternazione della stanchezza che sembrava provare. Tutto, tutto… tranne quello sguardo che brillava dai suoi occhi verdi mentre quasi incantata osservava il piccolo giocare poco distante da lei.

    Era felice di vederlo sereno, anche se era evidente quanto si stesse arrabbiando con quei piccoli sassi che non ubbidivano al suo volere: una frustrazione da bambino. Come era altrettanto evidente che non fosse particolarmente in salute: l’incarnato grigiastro e le scure occhiaie erano in netto contrasto con i suoi grandi occhi chiari. E proprio quegli occhi, così simili a quelli della donna, erano lo specchio di una gioia che nonostante tutto provava quando infine un sasso, anche se in bilico, rimaneva fermo sulla sommità della costruzione.

    Entrambi godevano in pace del momento di quiete che si propagava in quella corte.

    Poi, improvvisamente, il bambino alzò lo sguardo e sul suo viso pallido si aprì un fin troppo bianco sorriso quando vide Juan, uscito dalla macchina, varcare l’ampio cancello del cortile.

             L’uomo, con la mano sinistra, cercava di sistemare la folta chioma scura mentre incedeva a passo sicuro: era un gesto entrato ormai nella consuetudine di quegli ultimi mesi. La destra era invece impegnata a portare un pesante badile che sorreggeva con facilità, all’apparenza leggero al pari di un ombrello: era grande, lucido e sporco di terra come usuale per un qualsiasi badile. Le sue scarpe nuove, leggermente impolverate, provocavano uno scricchiolio leggero mentre calpestava i ciottoli bianchi del camminamento centrale. Le aveva probabilmente pulite prima di arrivare lì: non gli piaceva essere in disordine. Scuro in volto, aveva la fronte solcata da marcate rughe d’espressione, nonostante il suo aspetto non dimostrasse più di trent’anni.           Papà, che bello fu l’urletto che il bimbo lanciò prima di buttarsi di corsa tra le sue braccia che spalancate attendevano di stringerlo a sé, sei tornato!.

    Come stai piccolo mio? gli chiese Juan dopo un lungo e forte abbraccio. Si chinò alla sua altezza guardandolo dritto negli occhi attendendo una risposta.

    Bene papà, io sto bene, vieni a giocare con me dai, Zaza non ce la fa, sta sempre seduta sulla sedia, aspettavo proprio te. Dai giochiamo sincero e diretto come i suoi quattro anni gli permettevano di essere.

    Mi sembri così fragile… disse Juan al vento mentre il piccolo si era già allontanato correndo per ritornare ai suoi sassi.

    Sii sincera Zaza, sta davvero bene? Si è nutrito oggi? disse questa volta rivolto a lei che silenziosa gli era giunta accanto; e di nuovo con la mano si afferrò i ricci ribelli per rimetterli nella posizione in cui sarebbero dovuti rimanere.

    Amore mio, ho fatto quello che ho potuto. Ma sembra davvero che non assimili nulla di quello che gli do. Non sai come tutto questo mi stia torturando gli si era avvicinata lenta e anche quelle poche parole erano uscite come un soffio faticoso dalle labbra. Il tono era triste e dispiaciuto, lui sapeva che si sentiva in colpa per quel che stava accadendo, ma non poteva comunque accettarlo.

    Non può fare a meno di te… lo sai bene. Aggiunse lui. Nessun sorriso però accompagnò quelle parole che invece sembravano così dolci alle orecchie della malferma Zaza.

    Per sempre, voglio stare con lui per sempre. gli sfiorò delicatamente il profilo reso ancor più netto da quel taglio di barba filiforme. Lo sai, è il mio unico desiderio. Oltre a quello di avere te ovviamente….

    Il gesto della donna quasi lo infastidì per l’intimità che voleva trasmettere. Una vicinanza che ormai non c’era più:  neppure la carezza gentile che lei gli aveva regalato lo colpiva. Ma sorrise lo stesso: perché doveva farlo. Non voleva altre domande, non voleva ritornare a fare le solite discussioni in cui lei chiedeva cosa stesse succedendo, interrogandolo su come si sentisse e su come si sarebbero potuti sentire tutti meglio se…

    Se… se… il se che lei poneva, lui non lo voleva assolutamente prendere in considerazione. Glielo aveva spiegato più volte senza che evidentemente lei riuscisse a capire il motivo che Juan, invece, era convinto di aver sviscerato ormai del tutto. Ogni volta lei, vedendolo cupo e distante, ripartiva con i soliti discorsi e Juan quella volta non aveva proprio voglia che quella scena si ripetesse. Tanto non c’erano vie d’uscita. Tutto si sarebbe certo dovuto risolvere ma non sarebbe stato come lei aveva immaginato potesse essere. Non sarebbe stato compatibile.

    Eppure tutto era così perfetto una volta, e lei era stata così bella prima.

    Il piccolo poi le assomigliava davvero tantissimo con i suoi scuri capelli lisci e con quei dolci occhi verdi. Non troppo alta, Juan la sovrastava di almeno quindici centimetri, ma davvero bella nell’ovale di quel volto gentile dall’ampia fronte e dal piccolo naso all’insù.

    Aveva adorato quel viso fin dai tempi in cui viveva in Spagna… tempi lontani di normalità e vita, di sole e respiro, di piaceri e amore.

    No, quella era un’altra storia e scosse la testa per scacciare i pensieri che lo portavano vicino al suo passato. Era consapevole che, in quel momento, il divagare della sua mente avrebbe potuto farlo vacillare nei sui intendimenti. Sarebbe stato più semplice afferrare quelle dita gentili e baciarle fino a consumarle, e invece prese la mano di Zaza nella sua e, con una rapida stretta, le regalò un fugace sorriso.

    Credo davvero che tu debba riposarti. Anche il nostro ometto lo dice. Su, vai a sederti mentre sto un po’ con lui. Facciamolo contento. E si girò per raggiungere il suo piccolo che lo attendeva con un’altra manciata di sassi da sistemare.

    Allora, la tua costruzione? Ci proviamo insieme a fare una bella torre? e per la prima volta quello che si aprì sul suo viso fu un ampio e sincero sorriso che rischiarò il suo volto rabbuiato.

    Si… si! rispose di rimando il piccolo saltellando e battendo le mani dalla gioia per quel momento che tutti i giorni attendeva impaziente, e che finalmente era arrivato: era il loro momento.

    Juan gli si sedette accanto con naturalezza, senza preoccuparsi minimamente che il soprabito scuro si sporcasse strusciando per terra, e neppure accorgendosi che una foto ingiallita gli era scivolata dalla tasca. Era una famiglia ad essere immortalata in quella piccola immagine dai bordi consunti. La donna era in posa e sorrideva composta nel suo vestito con il colletto alto e i pizzi che ne smorzavano la scura austerità. I capelli erano fissati sulla testa con uno spillone dall’estremità attorcigliata. Teneva un neonato tra le braccia mentre un Juan più magro e senza rughe le poggiava una mano sulla spalla abbracciandola tenero. Quando avevano fatto quella foto Juan era convinto che nulla avrebbe potuto rovinare la serenità del momento così ben immortalata in quel fermo-immagine.

    Ma adesso ancora ricordava, come se non si fosse trattato di un passato remoto, quello che era successo in un lontano giorno di agosto.

    Era stata una giornata assolata e molto calda: la serata non avrebbe smaltito presto i raggi del sole accumulati per tante ore di seguito. I cavalli brucavano pacifici i ciuffetti di erba fresca che qua e là crescevano in verdi fazzoletti di prato. Izara, accaldata, si sventagliava energica mentre era ancora seduta davanti agli avanzi del banchetto nuziale a cui erano stati invitati. Guardava sorridendo il marito che giocava con il loro piccolino: tutti e due così concentrati su una buca e sui segreti che avrebbe potuto contenere. Li accarezzava con lo sguardo mentre il ventaglio si muoveva rapido.  Juan alzò lo sguardo verso la donna che era convinto avrebbe amato più di se

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