Io, il mostro
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About this ebook
Andrei Chikatilo detto il mostro di Rostov, è forse uno dei più sanguinari serial killer della storia dell'umanità, certamente quello che ha potuto agire impunito per più tempo. Nel dicembre 1984, dopo tre mesi di carcere, Andrei Chikatilo viene lasciato libero perché gli esami del sangue non corrispondevano alle tracce di sperma ritrovate sulle vittime. Dopo la paura della prigione, l'onnipotenza del mostro si libera in tutta la sua ferocia e le aggressioni si fanno sempre più vicine e temerarie. Senza farsi tentare da facili scene raccapriccianti e sanguinarie, l'autore fissa l'obiettivo su come il serial killer riuscisse a convincere le sue vittime a seguirlo. Qualcuno ha detto che le ipnotizzasse, ma in realtà Andrei Chikatilo era uno spietato conoscitore dell'animo umano, delle paure dei più deboli, di quelle sottili pieghe dell'anima a cui poteva aggrapparsi per afferrare le redini delle intenzioni di poveri ignari, per lo più ragazzini, fino a esercitare la voglia di onnipotenza e riscatto che bruciavano nelle sue vene fin da bambino.
Umberto Maggesi è nato a Bologna l'11 novembre 1970. Vive a Milano dove lavora come chimico analista. Insegna e pratica Qwan Ki Do - arte marziale sino vietnamita. Ha pubblicato vari romanzi con case editrici quali: Stampalternativa, Delos Books, Ugo Mursia. Ha pubblicato vari racconti in riviste di settore come: Tam Tam, Inchiostro, Writersmagazine, e in appendice al "Giallo Mondadori".
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Io, il mostro - Umberto Maggesi
Mondadori".
1
Il portone di metallo sbatte alle mie spalle, spingendo vibrazioni contro il gelo di dicembre. Assaporo la libertà, vagheggiando lo sguardo intorno, senza l’ostacolo di muri, cancelli o sbarre. Attendo qualche minuto, indugiando sul piacere di essere fuori, lo assaporo con piccole leccate di occhi su strade, palazzi, alberi e cielo. È stata dura in galera, vittima della paura stavo accovacciato come un topo rassegnato a essere maciullato dalla suola. La paura ha toccato vette inimmaginabili quando i dottori mi hanno prelevato il sangue, cercando la colpevolezza con i loro strumenti moderni, i reattivi, le formule chimiche e quant’altra diavoleria le loro menti eccelse hanno studiato.
Innocente.
Libero.
Forse le loro menti non sono così eccelse. I reattivi guasti. Le formule chimiche male interpretate da cervelli stanchi al di là della disciplina.
Io sono disciplinato.
Un vero figlio della santa madre Russia, per questo motivo lei mi ha protetto.
Non ho nemmeno esultato alla notizia della scarcerazione. Composto e disciplinato sono uscito dalla cella, mentre dentro scintillavo di gioia.
Meglio muovermi da qui. Non vorrei che, i compagni carcerieri, si domandassero perché Andrej Chikatilo non corre incontro alla sua libertà come fanno tutti.
Sanno niente loro.
Sa niente nessuno di voi.
Indugiare al di qua del piacere. Ritardare l’appagamento, quando l’onnipotenza è solo da afferrare con una mano. Ho imparato io. Da quella prima volta in cui tutto si è concluso così velocemente, ho imparato a ritardare, indugiare, assaporare goccia a goccia il piacere.
Certo che l’inizio di tutto è una fiamma indelebile che niente potrà cancellare.
– Come ti chiami? – Lei è rimasta a fissarmi. Lo sguardo accigliato, un’espressione da ragazza grande, che stava ponderando la reazione adatta per uno sconosciuto che l’apostrofava in mezzo alla strada. Teneva le mani ficcate nelle tasche del cappottino rosso e mostrava una vaga inquietudine che provocava scintille di piacere dentro di me – È maleducazione non rispondere alle domande– Affermai – Comunque io sono Andrej – Feci un passo come per andarmene.
– Yelenia, ma tutti mi chiamano Lena.
– E tu cosa preferisci?
– Lena va bene.
– Allora vada per Lena. Da dove arrivi?
A quell’ora di sera stava sicuramente andando a casa, ma volevo che dimenticasse. Era necessario recidere il vincolo che la univa alla famiglia, farla pensare ad altro.
– Ho fatto ginnastica – Rispose, nervosa continuava a spostare il peso da un piede all’altro.
– Davvero? Fai bene, l’attività fisica è molto importante nei bambini, io lo so sono un insegnante.
– E cosa insegni?
– Russo, ti piace leggere? – Annuì, continuando a saltellare tra un piede e l’altro – Ti scappa di andare in bagno? – Ho domandato, grato dell’insperata fortuna.
– Sì... tanto.
– Oh, ma se è così ti posso far usare il bagno di casa mia.
– La mamma ha detto di non seguire gli sconosciuti.
– Oh, capisco, saggio consiglio, ma noi non siamo sconosciuti, io sono Andrej e tu Lena. – Ho sorriso senza staccare i miei occhi dai suoi. Lei mi ha fissato indecisa, mentre con le mani nelle tasche del cappotto si premeva l’inguine. – E poi è pericoloso tenerla troppo a lungo, – Mi sono accosciato davanti a lei, finto un tono preoccupato. – Potrebbe scoppiarti la vescica. Un dolore tremendo. Il sangue ti uscirebbe da sotto e non potresti mai più camminare e tanto meno fare ginnastica con le tue amiche.
Studiavo il mutare delle espressioni, era un libro aperto. Potevo leggerle l’anima, dal dispiegarsi dei lineamenti o dall’aggrottarsi delle sopracciglia.
– Casa tua è vicino?
– Ma certo, molto vicino, appena dietro quegli alberi.
Mi sono alzato allungando una mano. Il cuore aveva preso a sussultare nel mio petto eccitato dall’anticipazione. Non avevo ancora bene in mente ciò che sarebbe successo, sicuramente trovarmi da solo con la bambina, al riparo da sguardi indiscreti. Vagamente intuivo che non avrei potuto lasciarla andare dopo, quelle stronze parlano, raccontano tutto con le loro vocette frignanti.
Il contatto con la pelle morbida mi ha fatto vacillare. C’è voluta parecchia disciplina per non prenderla lì, in mezzo alla strada. Mi sono aggrappato alla consolazione di averla fra le quattro mura della mia dacia.
Lentamente ci siamo avviati verso gli alberi.
Quella prima volta mi si è rovesciato tutto addosso senza quasi che me ne accorgessi. Mi sono trovato immenso, gonfio di potere. Una reincarnazione terribile e spietata di Baba Yaga. Quando ho visto il sangue la potenza è diventata completa, riempiendo ogni pertugio del mio corpo, dandomi gli strumenti per raggiungere l’estasi. Se ripenso a quella goffa prima volta, mi sale un sorriso alle labbra. Quanta paura i mesi dopo il fatto. Credevo che i poliziotti avrebbero suonato alla porta, con le loro carte, con i loro rilevamenti che m’incastravano alla responsabilità del delitto. Avessi saputo allora quello che so oggi, non avrei bruciato mesi e mesi nell’attesa. Dilaniato fra paura e desiderio per quasi tre anni. Tutto questo doveva finire e la mia disciplina mi ha aiutato ancora una volta.
Fayina non è venuta a prendermi. Gliel’ho detto io. Non volevo dare l’impressione che, tre mesi di gattabuia, mi avessero indebolito a tal punto da aver bisogno di mia moglie. Soprattutto ho bisogno di assaporare la libertà a modo mio, in solitudine, avvoltolato nei miei pensieri e ricordi.
– Innocente? – Mi chiede lei.
– Certo, rispondo io. Hanno fatto tutte le prove scientifiche, il risultato è incontestabile.
– Lo dicevo io, – mi posa un bacio sulla guancia. – Ma ci hanno messo tre mesi a capirlo? La nostra grande Russia non è più come una volta. Ci stiamo infiacchendo!
– Hai ragione! – Rispondo. Ci credo. Ci credo veramente che ci stiamo infiacchendo, ma forse non è del tutto male, almeno per me. – Faccio un bagno.
Devo comunque togliermi di dosso l’odore di galera. Fare il bravo per un po’, il solo pensiero stringe ganasce di paura nelle mie viscere. Stare buono. Rinunciare. Attendere. Sento già il panico allungare vischiose bave fredde dentro di me. Lunghi mesi di non vita e brutti pensieri.
I brutti pensieri hanno voci echeggianti: quella di mia madre, quella di mio fratello, quelle degli stupidi studenti che mi deridevano. In verità mio fratello non l’ho mai conosciuto, ma so bene che le urla che sento dentro sono le sue, di quando lo hanno mangiato. Per anni ho sognato di tornare a Yablocnoe per ritrovare i responsabili.
Impensabile.
Troppi anni, troppe vicissitudini mi separano dalla giusta vendetta.
L’estate non ha portato il solito lieto tepore del cuore. Guardare i vestiti leggeri delle ragazze non basta più, non serve, non è ciò che mi salverà dalla vita da larva.
I ricordi sono l’unica cosa che mi rimane, ma non posso gustare il sangue con la mente, non posso sentire la potenza che sale in me solo col pensiero. Impotente, ecco come mi sento, inerme e inefficace. Come aveva detto quella puttana.
La seconda volta è stata la rabbia.
Tra gli aghi della pineta quella maledetta guardava il mio coso floscio e rideva. Una qualsiasi