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Cose che capitano
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Cose che capitano

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About this ebook

Siamo bombardati dai tanti mezzi di comunicazione sui temi più disparati. L’autore si è voluto adeguare a questa tendenza e alterna brevi racconti, novelle, saggi storici, scientifici, articoli, poesie, aspetti psicologici, suggerimenti, consigli culinari e terapeutici, paradossi e utopie stimolanti, aneddoti di fantasia ad accadimenti della sua vita. L’intento di Marco Biffani, dichiarato nel suo sito Web, è quello di trasmettere le emozioni che ha provato nelle tante attività a cui si è dedicato e si dedica: paracadutismo, equitazione, pesca subacquea, caccia, volo acrobatico, aliante, fotovoltaico, la nuova scultura, l’orticoltura e il tenere a bada lo stress, pubblicati dalla AbelBooks. È autore di brevetti, manuali e guide tecniche, ma anche di saggi sul cavallo, sull’orologeria e sull’oro. Per i titoli delle Edizioni Amrita, il testo “Leonardo da Vinci e la dieta mediterranea”, cofirmato dal Dr. Alfredo Iannello, è stato appena pubblicato in concomitanza con l’Expò 2015 di Milano, patrocinato dalla Città di Torino, dal Comune di Palermo e dai Lions.
LanguageItaliano
PublisherAbel Books
Release dateJul 30, 2015
ISBN9788867521364
Cose che capitano

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    Cose che capitano - Marco Biffani

    Marco Biffani

    COSE CHE CAPITANO

    AbelBooks

    Proprietà letteraria riservata

    © 2014 Abel Books

    Tutti i diritti sono riservati. È  vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.

    Le richieste per l’utilizzo della presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura privata devono essere inviate a:

    Abel Books – Massimo Lerose editore

    via Leonardo Da Vinci Pal. CEEPLA snc

    04019 Terracina (Latina)

    ISBN 9788867521364

    a margherita

    INDICE

    Caretta caretta

    La moneta d’oro

    Vacanze romane

    Jonatan

    La libertà

    Il cannone del Gianicolo

    Servizio alla russa

    Philosophia

    Il sogno

    Un futuro luminoso

    Il Pantheon

    Il sacro succo dell’uva

    Elogio della bruschetta

    Un esame vitale

    Il Grande Raccordo Anulare di Roma, questo sconosciuto

    Chi difende la romanità dalla scomparsa?

    Il pony

    Perché Oscar Wilde?

    Un comando difficile

    Come mi sono tolto il vizio del fumo

    Una sbronza fuori programma

    La curva della morte

    Quella rossa Alfa Romeo 1750 6C!

    Cupido

    Povera cornacchia!

    Uno zingaro psicologo

    Il Dinghy, una barca di altri tempi

    I giochi a cavallo – il polo

    La caccia alla volpe si pratica ancora in Italia

    Quarantamila delle vecchie lire

    Un ragazzino svelto

    Un lavoro creativo

    Il titolo dell’oro

    Quanto l’oreficeria mondiale deve alla Famiglia Castellani

    Sorpresa

    Il cavallino rampante, un simbolo, tante vittorie. Un’esperienza

    Allegra

    Necrologio di un pino

    La doma dei cavalli

    Il sole

    Gli orologi solari (e il concetto di latitudine)

    Il caleidoscopio

    Galoppare sulla spiaggia

    Leggere e scrivere

    Le vie dell’antica Roma

    È utopia un Manifesto culturale  mondiale?

    Il metodo del rilassamento dello Jacobsen

    Usare l’orologio con le lancette come una bussola per orientarsi

    Dello stesso autore

    CARETTA CARETTA

    <Guarda su quel banchetto…è ancora viva!> esclamò Gianfranco indicandola a Marco, suo cugino. Due ragazzi sui vent’anni in viaggio di vacanza per conoscere il sud dell’Italia.

    Era una tartaruga marina grande quanto un piatto da portata, con l’ampio guscio leggermente curvo, solido, verdastro, a scaglie, una grossa testa pelata che sbucava da sotto il bordo anteriore del carapace e con gli occhi spauriti sopra un robusto becco tagliente sbirciava timorosa i dintorni e quattro grosse zampe verdi che si agitavano sul banchetto, bagnato del mercato, pieno di cassette di pesce, che ogni tanto l’anziano pescivendolo bagnava con ampi gesti della mano, inneggiando ad alta voce alla freschezza di quello che vendeva.

    domandò Marco al pescivendolo con la parannanza bianca, indicando la grossa tartaruga marina.

    esclamò il pescivendolo

    < Ma quanto costa?> lo interruppe Marco a cui era balenata una idea balzana.

    Quella bestia, strappata al suo mondo marino, vivo, colorato, immenso, senza limiti che si ritrovava proiettata, atterrita, su un banchetto e stava per essere venduta e mangiata, gli faceva pena.

    Avrebbe voluto salvarla. Riportarla nel suo ambiente. Restituirle la libertà che quella mattina gli era stata tolta da un pescatore. Ma voleva fare anche altro…

    esclamò invitante il pescivendolo rivolto ai due ragazzi. Come per sostenere che era un affare. Che tutto il pesce che vendeva era a poco prezzo, ma soprattutto fresco. Vivo.

    Marco si consultò con suo cugino. Parlottarono a bassa voce fra loro, poi Marco rilanciò.

    esclamò il pescivendolo

    rilanciò nuovamente Marco, guardandosi intorno e cercando di coinvolgere i pochi presenti:

    Ribadì con forza Gianfranco.

    E il pescivendolo credendo che fosse una scusa:

    <È pesce pregiato, si trova difficilmente al mercato. È una delicatezza per pochi. Viene fuori un brodo da leccarsi i baffi! Diecimila mi sembra un prezzo giusto!> replicò cercando consenso dai pochi astanti.

    Marco voleva portare dalla sua parte i pochi avventori che quella mattina frequentavano il mercato rivolgendosi a loro più che al venditore.

    rivolto al pescivendolo < E come? A mazzate? Ora? Subito? Ce l’ha il martello? O la sgozza come un pollo! Ma povera bestia!!!> insistette Marco indicandola ai presenti

    E Marco si infervorava. Voleva quella testuggine. L’avrebbe pagata perfino quanto chiedeva. Anche se questo gli sarebbe costato quanto aveva messo da parte per altre necessità. Ma non voleva cedere.

    si intromise Gianfranco, che studiava architettura e qualcosa ne masticava di animali. esclamò improvvisò sentenziò :

    Il pescivendolo capiva che i due ragazzi non volevano mollare e che quella disputa lo stava danneggiando, perché altra gente si avvicinava richiamata dalla voce dei due ragazzi che si faceva sempre più animata e accusatoria e invece di comperare il suo pesce ascoltavano incuriositi la disputa. Non ci stava ad essere colpevolizzato.

    Marco cercava di coinvolgere quella piccola folla che si era creata intorno al banchetto del pesce.

    propose conciliante il pescivendolo insistette Marco,

    rilanciò il pescivendolo con fare conciliante, mostrando sei dita con le mani ancora bagnate

    insistette Marco, cercando di metterlo in difficoltà sull’etica.

    Chi vende pesci al mercato li vende quasi sempre morti, e da più o meno tempo, tranne aragoste e capitoni, che più che suscitare pena stimolano solo appetito, quindi quel grosso animale verdastro che si agitava strusciando ripetutamente con le lunghe zampe anteriori il metallo del bancone, come se nuotasse, aveva creato curiosità negli astanti, i quali cominciarono ad intervenire in difesa dei due ragazzi, iniziando a parteggiare per loro che volevano ridargli la libertà.

    <È una povera bestia, è meglio libera che in tavola>

    Le intercessioni si moltiplicavano e i presenti avevano ormai sposato la causa dei due giovani.

    insistette Marco, addolcendo i toni, vedendo la vittoria vicina, anche perché quel vistoso calo di prezzo denotava che il pescivendolo era in difficoltà. flautò cercando di convincerlo.  Ma anche di colpevolizzarlo di fronte agli astanti se non avesse ceduto a quell’atto di benevolenza.

    cedette Marco tirò fuori tremila lire e le tese all’anziano pescivendolo che le prese quasi strappandogliele dalle mani, il resto lo mise Gianfranco tirando fuori – nella fretta – insieme alle banconote anche  sigarette, spicci, accendino e fazzoletto.

    Questi, poi,  incassato il contante, sollevò quel tartarugone zampettante e,  a braccia diritte lo tese a Marco mollandoglielo di colpo sulle mani, a rischio che il ragazzo non ne sostenesse il carico. Voleva con questo gesto sgarbato fargli pesare anche il fatto che gli regalava quasi dieci chili di merce.

    I ragazzi si allontanarono sorridendo. Marco, con la maglietta bianca bagnata, e le braccia abbronzate, teneva alta la tartaruga stillante acqua, che si agitava freneticamente, sopra la testa, come un trofeo e ringraziava gli astanti per il supporto prestato, fra gli applausi della piccola folla che in poco tempo si era formata nell’ora più favorevole del mercato.

    disse Gianfranco poco dopo < ma non lo possiamo raggiungere a piedi, dobbiamo prendere per forza  la macchina>

    Il problema che si presentò loro era dove mettere l’animale dentro una Fiat Seicento, senza che si facesse male, ma anche senza che l’agitarsi soprattutto delle due zampe anteriori danneggiasse gli interni della macchina e intralciasse le gambe di  chi guidava.

    Decisero di togliere il sedile del passeggero e spostarlo dietro quello del guidatore, deponendo la grossa tartaruga sul pianale anteriore, rovesciata. La occupava quasi interamente.

    Mentre Marco guidava, Gianfranco, seduto sul sedile di dietro, la teneva ferma sul tappetino gommato del pavimento della vettura, poggiandole delicatamente un piede, infilato in una scarpa da ginnastica, sul piastrone del ventre, giallastro ed embricato, senza premere troppo, ma evitando nel contempo di rimediare qualche graffio sulle gambe.

    Dopo un breve tratto di strada raggiunsero un punto dove la scogliera era a pochi passi dall’asfalto e facile da discendere per arrivare al mare.

    Era una giornata d’agosto, calda, piena di sole e di vita. Il cielo azzurro senza una nuvola.

    In quel punto il mare, di un blu intenso, era molto profondo già vicino alla riva.

    Fresco, trasparente e invitante.

    I due ragazzi tirarono fuori la testuggine e, a turno, la tennero ferma, mentre ciascuno di loro si spogliava. Era una operazione facile perché entrambi indossavano già il costume sotto i pantaloni jeans, corti. L’animale aveva fiutato l’odore del mare vicinissimo, zampettava felice e anelava a ritornare in acqua.

    Chiusa a chiave la Seicento, raggiunsero il mare.

    Entrambi si misero le pinne, il boccaglio e la maschera e si immersero con lui.

    Avete mai provato a farvi trascinare in mare da una testuggine marina di dieci chilogrammi, felice di tornare nel suo elemento? Contenta di essersi salvata da un mondo di gente famelica e rumorosa.

    Giovane, frenetica e ansiosa di ritornare fra i suoi simili.

    Era una sensazione che i ragazzi volevano sperimentare prima di liberarla, ed a turno si facevano trascinare dalla Caretta, afferrando i due lati del grosso guscio osseo con entrambe le mani.

    Con le braccia leggermente curve, tese in avanti, e spingendo la tartaruga ad un livello più basso di loro, evitavano così di contrastare l’agitarsi delle sue lunghe e forti zampe anteriori che si muovevano con decisione, spingendo l’acqua all’indietro, mentre quelle posteriori le facevano da timone e si facevano trainare,  senza pinneggiare, saggiando l’efficacia della sua nuotata.

    Che non era indifferente.

    Notevole la sua energia. Fortissimo il suo desiderio di libertà. Graditissimo il ritorno nel suo elemento.

    Filava che era un piacere. Farsi trascinare, una goduria insolita per i due ragazzi. La novità li entusiasmava e si alternavano alla guida dell’animale.

    Era una sensazione piacevolissima. Avvertivano la forza delle zampe anteriori che le davano una discreta spinta in avanti sostituendosi alle braccia di chi veniva trascinato. Pilotandola opportunamente, i due ragazzi, a turno, ne regolavano, con il polso, anche la profondità, per poter rimanere il più a lungo possibile in superficie e respirare con il boccaglio. Ogni tanto favorivano nella testuggine il naturale istinto di immergersi e si lasciavano trascinare verso il fondo, regolandone la permanenza con il proprio fiato. Quando stavano per raggiungere il limite di resistenza la dirigevano nuovamente verso l’alto, pinneggiando se necessario.

    Quanto doveva aver sognato quel momento l’animale mentre era nel misterioso e pericoloso mondo degli uomini! E lo dimostrava con una notevole capacità natatoria, azionando entusiasticamente le sue muscolose leve, con il grosso muso liscio, fuori del guscio e proteso in avanti verso la libertà.

    I ragazzi si alternarono a lungo in quel gioco, regolandone la direzione per evitare di allontanarsi troppo dalla riva verso il mare aperto, dove l’animale cercava di trascinarli.

    Quando finalmente stanco e felice Marco la lasciò andare la testuggine, sentendosi libera, aumentò la sua velocità e la videro immergersi verso il fondo agitando freneticamente le zampe anteriori e scomparire lentamente nelle profondità marine del Mar Tirreno, di un verde intenso, dove il sole non ce la faceva più a penetrare le tenebre.

    Gianfranco, un po’ più in alto di Marco, li osservava dalla superficie, con la maschera, felice anche lui di una esperienza insolita finalizzata ad una buona azione.

    LA MONETA D’ORO

    Più che un portafortuna, quella moneta d’oro francese da 5 franchi del 1857, con su una faccia la testa di Napoleone III e sull’altra una corona d’alloro, era l’arbitro del destino di Jair. Un libero pensatore, come si era sempre considerato, senza obblighi per nessuno tranne che verso se stesso.

     La vita non gli era amica, ma era stata sua la scelta di lasciare i genitori trapezisti in un circo di periferia, a soli 17 anni. Aveva imparato presto a leggere ed a far di conto presso una scuola di gesuiti del paese vicino la città nella quale il circo Delle meraviglie di proprietà dei genitori, era stabile. Ma il suo rifiuto di imparare il latino lo aveva costretto a lasciare presto quella scuola. Il faticoso allenamento quotidiano, per ore, al trapezio e sui cavalli, al quale il padre l’obbligava, lo annoiava e lo riteneva senza futuro.

    Ma lo aveva formato bene fisicamente. Alto, con le spalle larghe i folti capelli corvini di gitano, le mani forti con le dita affusolate. Si era fatto crescere due baffetti nerissimi, di cui era orgoglioso. Era diventato amico del violinista del circo, a cui forniva i crini bianchi della coda dello stallone per farne corde per il suo strumento ed aveva appreso da lui come rendere le dita forti, abili e disarticolate. Questi dispiegava un foglio di giornale sul tavolo e, poggiandovi sopra una mano completamente aperta, lo appallottolava tutto con le dita, senza spostare la mano. Era ipnotizzato da quell’esercizio. Le dita sembravano le zampe di un ragno che, camminando…stava fermo! E vi si allenava ogni giorno, preferendolo al trapezio.

    Fuggito dal circo aveva fatto i mestieri più umili in una grande città. Cameriere, facchino, artiere, allenatore di cavalli, ma di ogni lavoro si stancava presto. Avendo imparato a giocare a carte nelle osterie, era diventato molto abile, ed aveva scoperto che poteva trasformarsi in un vero lavoro con cui pagarsi vitto, alloggio e anche qualcosa di più.

    Con le dita divenute agilissime, faceva ruotare rapidamente una moneta dal mignolo, all’anulare, al medio, all’indice della mano sinistra e – arrivato al pollice – con  un colpo secco la passava con destrezza sulla mano destra e – ripetendo la rotazione su ogni dito, arrivato nuovamente al mignolo, faceva una maestosa riverenza alla ragazza di turno, come se quella moneta fosse il suo cappello.

    Si era fatto crescere persino un pizzetto nerissimo che gli dava l’aspetto di D’Artagnan (l’unico libro letto in gioventù, con quel coraggioso moschettiere che lo aveva affascinato).

    Grazie alla sua abilità con le dita, a vent’anni era diventato un

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