La cooperazione internazionale e la progettazione per lo sviluppo
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La cooperazione internazionale e la progettazione per lo sviluppo - Carmen Rubolino
progetto
INTRODUZIONE
Questo lavoro è motivato da un profondo interesse per la cooperazione internazionale, diventata ormai uno dei temi più dibattuto nella politica internazionale e per la progettazione allo sviluppo, ossia l’insieme delle attività finalizzate alla gestione e alla realizzazione di un progetto di sviluppo che, ormai, sta diventando di uso comune sia negli enti pubblici che nelle organizzazioni private
L’interesse per queste tematiche nasce in seguito alla partecipazione al Corso di Progettazione per la Cooperazione, realizzato dall’Università del Salento in collaborazione con il Centro di Studi Economici ed il Corso di Laurea in Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali, grazie al quale ho acquisito gli strumenti di base relativi alla progettazione e alle modalità di intervento della cooperazione allo sviluppo.
Tracciato un quadro sulle origini della cooperazione internazionale, ci si soffermerà sulla parte più tecnica relativa alla pianificazione operativa e, nello specifico, ai progetti di intervento sino a giungere all’analisi della cooperazione italiana e al contributo che la Provincia di Lecce ha fornito nell’ambito della progettazione allo sviluppo.
Nel primo capitolo dopo aver analizzato le origini della cooperazione internazionale e il dibattito sulla questione ambientale si definisce l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo, inteso come il trasferimento di risorse dai paesi sviluppati a quelli meno sviluppati a fine di promuoverne la crescita economica ed il benessere.
Nel secondo capitolo, dopo aver analizzato alcune definizioni generali di base, ossia cosa si intende per progetto e quali sono le tecniche e le metodologie utilizzate per la pianificazione ed il controllo dei progetti, ovvero il project management, si entra nello specifico delle stesse attraverso una descrizione dettagliata delle tecniche di pianificazione. La più semplice ed efficace è la Work Breakdown Structure (WBS), un meccanismo di scomposizione gerarchica che, a partire dall’obiettivo fondamentale, giunge ad identificare dei progetti di lavoro, i work package. Le altre tecniche descritte sono il diagramma di Gannt, che consente di descrivere il programma di sviluppo di un progetto attraverso la rappresentazione della durata delle sue attività e la tecnica PERT, basata sulla connessione logica e temporale delle fasi di realizzazione di un progetto consentendo di programmarne tempi, costi e risorse e di operare costanti revisioni.
Nel terzo capitolo, si individuano le componenti principali di un progetto e le fasi che ne costituiscono il ciclo di vita necessari per portare a termine un progetto di successo e si indicano, infine, i soggetti promotori di progetti, ossia coloro che giuridicamente e concretamente possono essere considerati idonei alla realizzazione di progetti.
L’ultimo capitolo si incentra sul ruolo dell’Italia nella cooperazione allo sviluppo partendo dalla definizione dell’assetto normativo sino ad una ricostruzione delle risorse che l’Italia destina all’APS, soffermandomi, anche, sulle conseguenze che la crisi economica e finanziaria mondiale, ha sulle possibilità di sviluppo dei Paesi più poveri.
Nell’ultima parte sono descritti due progetti promossi e realizzati dalla Provincia di Lecce: il progetto Cherguì, finalizzato alla ricostruzione di una scuola elementare in Marocco e il progetto V.A.L.T., inserito nell’ambito del Programma Interreg Italia-Albania.
CAPITOLO 1
La cooperazione internazionale
1. Le origini della cooperazione internazionale
La cooperazione internazionale comprende tutte le forme di intervento finalizzate al conseguimento di specifici obiettivi relativi allo sviluppo di una determinata area, il cui raggiungimento richiede un impegno continuo e mirato sui versanti economico, sociale, politico ed istituzionale{1}. Si tratta di rapporti basati sullo scambio reciproco e sulla collaborazione per far sì che gli Stati con maggiori disponibilità sostengano e finanzino i paesi più svantaggiati.
Oggi il concetto di sviluppo generalmente accettato è quello di sviluppo umano: ogni individuo deve essere messo nella condizione di condurre una vita sana e degna e acquisire le competenze necessarie per contribuire allo sviluppo del suo paese.
La Società delle Nazioni, nata alla fine della prima guerra mondiale, durante la Conferenza di pace di Parigi del 1919, è stata la prima organizzazione internazionale a occuparsi di assistenza allo sviluppo, seppur in maniera circoscritta, sviluppando una serie di dibattiti e attività su questioni inerenti i Paesi sottosviluppati. Nel 1931, ha realizzato il primo programma di cooperazione allo sviluppo con la Cina per la formazione e l’invio di esperti per la lotta contro le epidemie. Questi primi e sporadici esempi di assistenza allo sviluppo sono ricordati solo per il loro significato storico in quanto privi di vero e proprio valore sistemico{2}.
Sul piano storico, la cooperazione allo sviluppo nasce come diretta conseguenza della devastazione lasciata dal secondo conflitto mondiale. Nel 1944, in seguito alla Conferenza di Bretton Woods, sono stati creati due importanti organismi internazionali, la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo, meglio nota come Banca Mondiale, e il Fondo Monetario Internazionale.
In realtà il momento storico dal quale si comincia a parlare di cooperazione allo sviluppo è la fine della Seconda Guerra Mondiale, quando il Presidente degli Stati Uniti, Harry Truman, nel suo discorso inaugurale sostiene che gli Stati Uniti aiuteranno i Paesi in Via di Sviluppo (PVS) a raggiungere un adeguato livello di crescita economica. Al 1954 quasi quattrocento milioni di dollari erano stati già spesi, in base al programma del presidente Truman, nello sforzo di portare la medicina e la tecnica moderna ai PVS{3}.
Il discorso pronunciato dal presidente Truman non era, però, totalmente disinteressato in quanto i suoi obiettivi principali erano la crescita economica e la modernizzazione del paese, gli aiuti, quindi, venivano identificati in investimenti destinati ad una rapida industrializzazione. Obiettivi di questo tipo sono rintracciabili nella Teoria degli stadi di sviluppo messa a punto, all’inizio degli anni Sessanta dall’economista americano Walt Whitman Rostow. In questa opera Rostow cercò di delineare un modello di crescita secondo il quale esistono cinque stadi che permettono alla società tradizionale di raggiungere il decollo industriale e quindi la modernizzazione. I cinque stadi sono:
- la società tradizionale, caratterizzata da un’economia di tipo agricolo con bassa produttività e bassi livelli di risparmio;ù
- lo stato precedente al decollo nel quale cominciano a svilupparsi le precondizioni essenziali per il decollo, quali un accrescimento del risparmio e degli investimenti;
- il decollo, definito take off, in cui vengono rimossi tutti gli ostacoli che hanno impedito il decollo stesso;
- la strada verso la maturità, in cui il tasso di crescita continua a mantenersi pressoché stabile;
- la società nei consumi di massa, indicata quale ultimo gradino per raggiungere la modernizzazione{4}
Un contributo decisivo per la ripresa alla devastazione lasciata dal conflitto mondiale, è il Piano Marshall, dal nome dell’allora segretario di stato americano, considerato il primo vero programma di cooperazione internazionale, rappresentando, di fatto, il modello di riferimento per molti programmi di cooperazione allo sviluppo, sino ai giorni nostri{5}.
Il definitivo passaggio all’era della cooperazione avviene con la Carta delle Nazioni Unite, adottata a San Francisco il 26 giugno 1945 da cinquantuno paesi, al fine di "salvare le future generazioni dal flagello della guerra, che