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Ricordi di un uomo allietato da un bicchiere di vodka
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Ricordi di un uomo allietato da un bicchiere di vodka
Ebook158 pages2 hours

Ricordi di un uomo allietato da un bicchiere di vodka

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About this ebook

Una crudele metafora della vita umana.
Un romanzo picaresco ambientato nella Repubblica Ceca.
L’idea è nata dal voler raccontare la precarietà della vita, dalle esperienze di Wilem il protagonista e voce narrante, e del suo amico Alex, che sono sballottati per inquietudine, alla ricerca di qualcosa che non trovano, un po’ come scrive Anthony, un americano, “...moving back to the States would feel like some kind of suicide, it would feel like giving up. Whatever I came here for, I still haven't got. And if I go home without that, then I will feel more lost than ever before…” .
Credo che il senso dei miei racconti e romanzi picareschi sia tutto qui. Gente che viaggia alla ricerca di qualcosa, senza sapere cosa e dove cercare. È la metafora della vita umana, una crudele realtà che ho sulla pelle da sempre e che le lacrime non lavano via.
LanguageItaliano
PublisherAbel Books
Release dateSep 8, 2011
ISBN9788897513193
Ricordi di un uomo allietato da un bicchiere di vodka

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    Ricordi di un uomo allietato da un bicchiere di vodka - Piergiorgio Leaci

    Piergiorgio Leaci

    RICORDI DI UN UOMO ALLIETATO DA UN BICCHIERE DI VODKA

    Abel Books

    Proprietà letteraria riservata

    © 2011 Abel Books

    Tutti i diritti sono riservati. È  vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico.

    Le richieste per l’utilizzo della presente opera o di parte di essa in un contesto che non sia la lettura privata devono essere inviate a:

    Abel Books

    via Terme di Traiano, 25

    00053 Civitavecchia (Roma)

    ISBN  978-88-97513-19-3

    Per la copertina si ringrazia Milly (Milena Vignali)

    A voi tutti

    che vi svegliate

    a giorno inoltrato,

    pesti e intontiti

    perché amate

    l'argentea luce

    della luna

    RICORDI DI UN UOMO ALLIETATO DA UN BICCHIERE DI VODKA

    Premessa

    Insegno inglese in Moravia e non sono un granché. Da principio l'accento americano convince, poi devo cambiare Istituto. In quattro mesi, tre città diverse e in ognuna troppa gente insoddisfatta alla ricerca di qualcosa. Ho smesso di cercare da qualche tempo e mi limito a raggranellare i quattrini per l’affitto e l’alcol.

    Restare a galla con il mare agitato richiede sacrificio e io sono un esperto. L'ammiraglio della Moravia.

    Non ho molti amici. La gente mantiene le distanze per via del caratteraccio e della fatica ad adattarmi. Ho solo un portatile tra una bottiglia e una donna. È lento come la mia mano solitaria, inutile come i pattini per lo storpio che è in me, ma non posso permettermi altro. Scrivere fa compagnia alla fragilità dell’esistenza e al terrore.

    Non l’ho mai guardata negli occhi, la morte, ma dopo ogni sbornia ci vado vicino. Ha un ghigno raccapricciante. O forse è solo qualche inserviente o spazzina che mi tira su al mattino presto.

    Forse per voi è disgustoso il mio vivere, ma mi appartiene. Proprio come l'accento americano. E non ci posso fare nulla. Che ve ne piaccia o meno. Ma vi prego non mi lasciate.

        Vorrei soffocare in una terribile angoscia solo per stemperarla in un acre bicchiere. Mi dicono pazzo e sopravvivo appeso ai ricordi come la mia scimmia su un ramo, con lo stomaco digiuno, la testa vuota e un cuore che batte.

        Non so se ne sia valsa la pena. Non immagino la mia vita in modo diverso. Preferisco bruciare piano sulla brace, piuttosto che leccare le regole. Già. Voi, uomini seduti in fondo alle vostre gabbie.

    Prendete, mescete e aspettate.

    Aspettate.

    I

    Český Tešín.

    Uscivo dalla Warren English School che la sera precipitava sulla città e la buia strada si svolgeva per la depravata periferia con la sua lingua catramosa che leccava i vicoli e i marciapiedi come una zuccherosa puttana, mentre il ruggente vento lacerava l’aria e segava i nervi. Delle vecchie donne dai capelli lanosi e opachi correvano accollacciate per il freddo, arrancando sui carnosi polpacci, con le calze nere a mezza caviglia. Le seguii con gli occhi e mi resi conto che un lume di saggezza luccicava ancora nelle loro argillose pupille.

    Ero stanco morto dopo tutte quelle ore di lezione a barbosi uomini d’affari annoiati dalla vita e dalle mogli. Sedevano col sonno appiccicoso e impastato negli occhi, le calvizie incipienti e l’untuosa pelle maleodorante. Da principio era stato piacevole. Insegnavo nei corsi femminili e godevo nello strusciare quei nivei corpi dal pungente profumo e dalla candida e vibrante carnalità. Loro erano sempre ansiose d’assaporare, di concedermi le loro umide frementi fessure, di aprirmi le molli rosee carni come fichi maturi, ma poi commisi un errore. Mi approfittai di una troppo giovane dal sedere caldo, lo sfintere stretto e la madre permalosa che andò a lagnarsi con la direttrice. KONEC.

    Dopo le lezioni, finivo solo nella mia stanza a bere, a scrivere e aspettare. Fottuta Italia. L’avevo lasciata da diversi mesi ormai e il solo nome mi feteva dentro come un animale morto.

    Sapevo di che avevo bisogno. Un buon quarto di Vodka e una sigaretta. Mi fermai a una trafika (tabacchino) e comprai della Vodka e un pacchetto di Petra Light. Buttai giù un sorso, mi accesi una sigaretta sotto il rannuvolante cielo che pareva quasi schiacciarmi e continuai per la stazione. Arrivai dopo pochi minuti e il treno era già sul secondo binario.

    Ero a pezzi dopo la devastazione della notte passata, tra fiumi di Tequila e Rum con Alex, smilzo e guizzante come un’aringa. Era risoluto, impetuoso e violento. Per lui la vita era uccidere o essere uccisi e me lo ripeteva di continuo. A diciannove anni aveva sparato a un arabo e poi era fuggito per l’Europa. Ora, dopo nove anni dall’accaduto, correva ancora.

    Nei week-ends bevevamo e inebriati affrontavamo la strada, i bar e le floride prostitute senza cuore. Erano il nostro riparo. Avvinazzati, ingannavamo la pena della vita non avendo altro su cui contare. Senza alcol ci rimaneva solo un mondo che non capivamo, con uomini spaventati e aggressivi che incubavano l’assassinio nel cuore.

    La razza umana era per noi un brulichio di putredine e appiccicosa sozzura, annebbiata dalle sue stesse paure, dalle rispettive angosce represse e taciute. Alex lo sapeva così bene che fiutava il marciume nell’aria ovunque andasse. Allora ci ubriacavamo e ridevamo di noi e delle nostre sfortune. Non c’interessava altro. Non serviva altro.

    §§

    Scossoni sui binari. Tornai in me. Mi succedeva spesso di perdermi in cruccianti pensieri senza niente di concreto. Era un modo come un altro per consumare il tempo, anche se poi le mie cicatrici riprendevano a dolorire e a sanguinare. Mi strofinai gli occhi.

    La gente appariva stordita e agitata in un cicaleccio di rauche voci impastate. Guardai fuori del finestrino. Il vagone pendeva da un lato, mentre procedeva con una lenta gommosa andatura sulle torte rotaie. Ripensai ai miei tentennanti passi durante le nostre incursioni nei locali, nell’acquosa aria della notte fino alla coprente bruma di primo mattino, quando tutto finiva e mi ritrovavo con le gambe intorcinate, con lo stomaco e il petto arroventato. La mia vita si svolgeva oramai quasi solo di notte e l’anima mi s’accendeva al contatto immediato con l’ombra.

    §§

    Il treno si fermò a Frýdlant Nad Ostravicí, la mia zastávka (fermata), tranquillamente accosciata tra le montagne del Beskýdy, il luogo perfetto dove acquietare l’anima prima dell’ennesima fiammeggiante sconfitta per le strade di qualche umida e terrorizzante capitale.

    §§

    Entrai nella mia garsonka (monolocale) e fui investito da una zaffata di un venefico putrefacente lezzo. Aprii di filato la finestra. Sfilai il maglione e mi buttai sul materasso.

    I piatti sporchi e le pentole se ne stavano penosamente ammucchiati sul lavandino. La moquette era concimata dalle cicche e dai fondi di caffè, mentre una catasta di bottiglie di vino era disposta in fila dirimpetto alla finestra.

    Non era rimasto molto di me, sfinito da quella gente, dai loro soporiferi discorsi, dai loro contingenti sorrisi. Chiusi gli occhi e m’addormentai. Mezz’ora dopo squillò il telefono.

    Saltai su esasperato e nervoso.

    Pronto?

    "Buona sera, professore!"

    Ehi, Alex! Che mi racconti?

    Una biondina con il prurito al sedere mi ha mollato. Un vero peccato, credimi. Era vellutato e cedevole come quello di una ninfetta e singhiozzava come un angelo, confessò stringendo il cuore nella mano destra, E tu?

    Niente! ringhiai, lavoro, lavoro e lavoro!

    "Capisco! Vieni qui da me a Ostrava che facciamo un salto in centro."

    No! Ho i piedi gonfi e preferisco riposare!

    "Dai! È venerdì sera. Stamattina giravano delle gatttine calde calde."

    Alzai il fiaschetto di Vodka e bevvi.

    Non ne ho voglia! Ho avuto una brutta settimana!

    O.K. Riposati. Magari dopo cambi idea.

    A dopo.

    "Au Revoir!"

    Mollai la cornetta e mi stesi scrutando il soffitto.

    Di nuovo in mezzo la gente! sbuffai con rassegnazione.

    Li avrei affrontati solo da ubriaco.

    Cominciai…

    Sms:

    Mi piace la tua anima e vorrei berne un sorso se mi lasciassi fare. La tua anima frizzante, piccola.

                                            

    Sei un bravo ragazzo con la polvere sul viso e una cicatrice sullo stomaco. Ti voglio bene sul serio.

                                            

    II

    Mi aspettava nella sua farinosa Volks’, sorridente, luminoso ed eccitato, con i capelli biondi, le folte sopracciglia e il setto nasale storto. Era così marcio che ovunque passasse c’erano esalazioni mefitiche. Aprii la portiera e lui m’accolse con uno sbotto di gioia.

    Amico mio, sei sparito!

    Sai, non mi rimane molto tempo e dopo il lavoro sono uno straccio.

    O.K. Ma basta parlare di lavoro!

    Bene, non chiedo altro!

    Partì veloce ingranando una marcia dietro l’altra e pestando l’acceleratore. Imboccò la tangenziale e sfrecciò abile in un rapido slalom tra cadenti škoda. In pochi minuti fummo in centro e parcheggiammo.

    Avevo una gran voglia di vederti! confessò.

    Sorrisi. Mi diede una pacca sulla gamba e scendemmo.

    Erano le sette e un quarto. I negozi erano chiusi e la Masarykovo Námĕst (Piazza Masarykovo) deserta. Solo malinconici ubriachi farfugliavano con le braccia alzate. Uno sollevò la bottiglia e mi salutò. Accesi una sigaretta e ricambiai. Si gettò a terra felice.

    Il vento era caduto. Mi ricordai delle giovani Morave che di mattina ancheggiavano estuose e sensuose sulle bianchissime cosce che ricordavano la porcellana di Karlovy Vary.

    Sorridevano alla ricerca di clienti perché nei bordelli i guadagni erano limitati, mentre per le strade era più facile e redditizio. C’ero incappato un’estate. Il suo nome d’arte era Zuzka, con una luce stellante negli occhi e un sorriso panna e miele. La incontrai per caso, davanti una vetrina d’intimo. La sua pelle era abbronzata e una patina di sudore la velava come una fresca birra. Nel suo appartamento cominciammo con i giochi di pelle, poi la feci partire con le dita, mentre lei schiumava come una lumaca. Mi era costato quattromila corone e da allora non ne ho avuto più voglia.

    Allora, dove andiamo? m’interrogò Alex indeciso sul da farsi.

    "Non ho idea! Un posto vale l’altro! M’interessano solo drinks economici e donne affabili!"

    "Non resta che Kimex! È il più vicino. Dall’altra parte della piazza, vicino la Pedagogická Fakulta", replicò indicando la strada.

    Gettai il mozzicone e continuammo. Uomini e donne

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