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Sono a un PASSO dal Trapasso
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Sono a un PASSO dal Trapasso

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Questo è il 2° libro di una trilogia, il primo è un libro di racconti, ma anche un manuale d’autodifesa per vecchi ed un invito ad essere irosi per combattere la tristezza e la melanconia. Del 3° ho solo il titolo: ”Sono già nell’aldilà, ma mi sono perso!” Questo? E’ scritto per svuotare la morte dal corteo di segni e simboli minacciosi che la accompagnano ancora, per ovviare ai silenzi della stampa, ci mancano i pettegolezzi che la riguardano: lacunosi anche “Chi” e “Gente”! Non ne aumenta il timore, anzi può rassicurare, parlare a lungo di Lei e di tutto ciò che le sta attorno, di chi la teme, di chi la venera e di chi ogni anno la festeggia. Parleremo di come evitarla e di come dileggiarla; aggiungeremo un pizzico di vampirismo e di considerazione per gli zombi. Ritengo sia molto meglio discorrerne, anche per “metterla al suo posto”: è forse impossibile non averne un poco paura, possiamo però riuscire a collocarla tra il timore della stradale e quella delle tasse.
LanguageItaliano
PublisherCarlo Pelfini
Release dateJan 13, 2016
ISBN9788892542587
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    Sono a un PASSO dal Trapasso - Carlo Pelfini

    tasse! 

    Scaramanzia: scongiuriamo la sfortuna e la morte.

    La scaramanzia non é, ovviamente, la stessa cosa della superstizione che è un credere nell’irrazionale. Il gesto scaramantico o scongiuro è in genere reattivo a qualcosa che sia vissuto ed interpretato come negativo; può essere la risposta ad un vammorìammazzato o al simpatico dialettale te vegnis un cancher o al passaggio di qualcuno che porti sfiga: suore (perché poverette?), specifico individuo o gatto purché nero. Parliamo di questi specifici individui. Uno vive principalmente a Napoli ed è lo schiattamuorto, che non è soltanto il comune becchino, ma qualcosa di più: è colui che accompagna il morto e quindi è facilmente identificato, nella credenza popolare, come persona che porta sciagura. L’altra figura è il menagramo o iettatore, colui che porta sfortuna ed emana un’influenza negativa. Tutti ne conosciamo qualcuno. Ricordo un medico, bravo e buono, sfortunatamente incorso in questa fama. Andai a prenderlo per andare a cena assieme; invitato a salire un attimo in casa, fu impossibile però uscirne: la porta non si apriva; ovviò all’inconveniente il portiere con scala a pioli, fortunatamente il collega abitava al piano rialzato. Buona la cena, il pollo un po’ troppo bruciato, ma si sa il cuoco… Sorpresa all’uscita: la sua macchina era sparita! Ma la sfortuna si estese al ladro e l’auto si bloccò a 300 metri! Inevitabile il rientro con carro-atrezzi. Ognuno, quando si parla in compagnia di quest’argomento, ha il suo racconto da aggiungere e, dopo un po’, sembra aleggiare nella stanza una strana atmosfera! E’ impossibile non ricordare una delle Novelle per un anno di Pirandello, specie nella versione cinematografica di Luigi Zampa, nell’episodio la patente del film Questa è la vita (1954). Un credibilissimo iettatore è impersonato da Totò: costretto dall’ignorante superstiziosa società ad incarnare questa figura, chiede ed ottiene dal giudice una patente che gli riconosca legalmente la sua professione di menagramo e gli permetta di sopravvivere dal momento che tutti i suoi concittadini, quando se lo vedranno davanti, gli pagheranno qualcosa per farlo andare via. La ragione: ho accumulato tanta bile e tanto odio, io, contro tutta questa schifosa umanità, che veramente credo d’avere ormai in questi occhi la potenza di far crollare dalle fondamenta un’intera città. E voi? Siete proprio sicuri di non aver effettuato alcun gesto al passaggio di un autofurgone o carro funebre vuoto? Ovviamente il gesto può essere reattivo ad una superstizione, ma soprattutto scaturisce dal desiderio di evitare guai specifici o generici, insomma la malasorte o addirittura la morte come nel caso sopraccitato. Banali ed in disuso tocca ferro e tocca legno ma due sono tuttora usatissimi gesti scaramantici: le corna e il toccarsi i testicoli. Le corna ovviamente vengono fatte con le dita rivolte verso il basso: il cornuto, sia arbitro o sfortunato marito, al quale vengono rivolte con le dita verso l’alto, qui non c’entra niente. Ricordate le più altolocate corna? Quelle dell’allora presidente della Repubblica Giovanni Leone e, per di più, fatte durante una visita ad un ospedale napoletano durante l’epidemia di colera del 1973, corna che, da tipico napoletano, ripeteva spesso ma che non valsero a scongiurargli le dimissioni richieste dal PCI nel 1978. Secondo gesto che, ovviamente, è solo maschile (in alcune regioni l’equivalente femminile è il toccarsi la mammella sinistra) è il palparsi o strizzarsi i testicoli. E’ celebre la foto scattata nel giugno del 2009 all’allora presidente del consiglio Silvio Berlusconi.A questo proposito forse vale la pena ricordare come la Corte di Cassazione, nella sentenza 8389 del 25 febbraio 2008 abbia dichiarato che il gesto di grattarsi i genitali in pubblico è un illecito penale. Lo ha definito «un atto contrario al decoro e alla decenza pubblica»; infatti, secondo la Corte, «il palpeggiamento dei genitali davanti ad altri soggetti, in quanto manifestazione di mancanza di costumatezza ed educazione, deve considerarsi atto contrario alla pubblica decenza». Purtroppo sinora, a fronte dei molti che pubblicamente lo hanno compiuto, ci risulta sia stato condannato solo un operaio di Como con una multa equivalente ad un mese del suo stipendio; inutile la sua dichiarazione di aver compiuto il gesto incriminato per sistemarsi la tuta. La Corte sottolinea che il reato è contemplato anche «se il fine del gesto è apotropaico». Questo aggettivo, certamente al di fuori del linguaggio comune, deriva dal greco αποτρέπειν, apotrépein = allontanare e viene solitamente attribuito ad un oggetto o frase atti a scongiurare, allontanare o annullare influssi maligni: siamo di nuovo nel campo della scaramanzia! Vi ricordate nel libro di storia o nei film di quel tipo che, sul carro del generale romano che attraversava Roma in trionfo, gli sussurrava: Ricordati che devi morire!? Questa è una frase apotropaica (vi erano anche dei riti) atta a scongiurare invidie e sfortuna, quindi ad esorcizzare il male e la morte stessa. La stessa frase, qui ammonitrice, è rivolta da un religioso a Troisi nel film Non ci resta che piangere (1983, regista lo stesso Troisi) veniva invece così sdrammatizzata dal riso:

    Frate: Ricordati che devi morire!.

    Mario (Troisi): come?"

    Frate: Ricordati che devi morire!.

    Mario: Vabbene.

    Frate: Ricordati che devi morire!

    Mario: Sì, sì, no, mò me lo segno proprio.

    Altro tipico esempio di credenza scaramantica è l’idea che dicendo qualcosa, questa non accadrà, o anzi potrebbe accadere il contrario: il comunissimo e scherzoso "In bocca al lupo rivolto a chi debba sostenere un esame n’è comunissimo esempio. La risposta crepi il lupo" di recentissima introduzione, se ci pensate, paradossalmente, annulla lo scongiuro, un bel guaio! 

    Sherazade: la fiaba come antidoto alla morte.

    Sappiamo tutti quanto faccia bene ai bambini ascoltare le fiabe e quale sia il loro valore pedagogico e sappiamo anche che i nonni, forse più dei padri, si compiacciono della loro utile funzione di narratori. C’è dell’altro da sottolineare: il raccontare allontana la morte! Questa potrebbe essere soltanto una mia bizzarra teoria se non ci fosse stata Lei, bella, geniale, sublime narratrice: Sherazade! Vi ricorderete certamente come le Mille e una notte siano una celebre raccolta di novelle orientali che venne a costituirsi a partire dal X secolo, con storie di varia ambientazione ed origine storico-geografica, (indo-iranico, arabo-iracheno, arabo-egiziano) composta da differenti autori. Dal gruppo di storie, prima trasmesse oralmente e, come tali, ritenute di limitato valore, si è passato a varie stesure che hanno visto in seguito l’aggiungersi de Le avventure di Sinbad il marinaio o La storia dei sette Visir. Esistono moltissime traduzioni basate su diversi manoscritti originali. La prima traduzione europea risale al 1704 ed è opera di Antoine Galland, archeologo ed orientalista francese; in Inghilterra primo a tradurla fu l’orientalista Edward Lane, che ne fornì una versione più completa rispetto a quella di Galland, ma molto epurata delle parti ritenute licenziose, per adattarla alla rigida morale del tempo. Ben più importante la completa traduzione fatta da quel grande viaggiatore che fu l’inglese Richard Francis Burton. La sua vita è anch’essa un romanzo: la fine dell’800 lo vide in Africa, alla ricerca delle sorgenti del Nilo; alla dipendenza della Compagnia delle Indie esplorò e soggiornò in un gran numero di paesi orientali. Coraggioso il suo viaggio alla Mecca, allora interdetta ai miscredenti (pena la morte), che raggiunse, nel 1853, grazie, non solo alla conoscenza della lingua araba (sembra ne parlasse altre 28), ma anche ad un perfetto travestimento, circoncisione compresa. La sua traduzione, avvenuta a Trieste, dove era console, fu pubblicata tra il 1885 e il 1888 ed è corredata da numerose appendici e note dove vengono descritti costumi ed abitudini degli abitanti dei vari stati arabi da lui visitati, compreso un erotismo molto spinto per l’epoca. Se volete cimentarvi nella lettura, i volumi sono sedici: dieci di Mille e una notte più sei di Notti supplementari. Lo straordinario successo fece sì che fossero tradotte in moltissime lingue rivaleggiando nell’800 con la Bibbia. Disponiamo di molte versioni delle Mille e una notte, non mancano edizioni pornografiche e edizioni ridotte per ragazzi. Successivamente oltre a riconoscerne il loro straordinario valore storico-letterario, si cercò di risalire ai testi originali, liberandoli d’inutili aggiunte e in quest’ottica si colloca una delle recenti edizioni Italiane [1]. Mi permetto di richiamarvi alla mente alcuni elementi essenziali della trama anche a sostegno della mia tesi:

    Il sultano d’India e Cina, Shahriyàr, deluso ed infuriato per il tradimento della moglie che ha sorpreso ad accoppiarsi con un servo negro (massimo degli orrori anche allora!), oltre ad uccidere entrambi, è giunto a concepire un odio mortale per tutte le donne. Per questo motivo, egli ha ordinato al suo visir di procurargli ogni giorno una vergine: avrebbe passato la notte con lei e la mattina l’avrebbe fatta uccidere dallo stesso visir, che è anche esperto boia di corte. Stupro e omicidio non fanno impressione nelle leggende e nelle mille abbondano, ma abbondano anche donne bellissime, in ricchi vestiti, talvolta svestite, spesso determinate ad ottenere tutto ciò che vogliono, maschi compresi. Dunque, la cosa è andata avanti per anni e non vi sono più vergini in città: mille notti, mille vergini, compagne di una notte, uccise il mattino, altre fuggite. Il gran visir che deve procurarle è nei guai. Ci penseranno le sue due figlie: Sherazàde, affascinante e coraggiosa, si offre di passare la notte col sultano e la minore, Dinazad, la aiuterà nella realizzazione di un piano che potrebbe consentire e la sua sopravvivenza e quella delle altre vergini. Il visir boia cerca, raccontando una storia, di dissuadere la figlia, ma invano. Il sultano si accinge a passare la notte con la bella vergine Sherazade ed ha anche aderito alla richiesta che le sia compagna la sorella, che così assiste al connubio sotto o in fondo al letto (secondo le diverse traduzioni). A cose fatte i tre chiacchierano tranquillamente ed ecco che, come convenuto

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