La piramide sottomarina della Dinastia Tang
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La piramide sottomarina della Dinastia Tang - Walter Jon Williams
9788867758418
1
Quello che potremmo chiamare l'Affare della Piramide Sommersa della Dinastia Tang ebbe inizio a Staré Mêsto in un giorno ventoso di primavera. Eravamo raggruppati sotto la statua di Jan Hus, assorti nel bel mezzo del nostro medley di Canzoni Sudamericane Portate alla Ribalta da Cantanti Pop Nordamericani. Il passaggio da Cielito Lindo
a El Condor Pasa
richiedeva degli arpeggi complicati, e quando alzai gli occhi dalla mia guitarra individuai fra la folla il nostro contatto intento a fumare una sigaretta. Fingeva maldestramente di non aver di meglio da fare che ciondolare in mezzo alla Città Vecchia di Praga ascoltando una famiglia di nove indiani Aymara che demolivano Simon e Garfunkel.
Il tizio corrispondeva alla perfezione all'immagine che mio zio Iago mi aveva fornito dell'uomo che intendeva assoldarci: un taiwanese giovanile con raffinato taglio a rasoio, occhiali scuri alla moda, Burberry indossato sopra un vestito di cashmere cucito da sarti pachistani a Hong Kong, cravatta di seta e scarpe italiane fatte a mano.
Decisamente non mi sembrava un appassionato di musica folk.
Al termine del medley proposi una pausa; mia cugina Rosalinda passò con la bombetta fra i vecchi hippy nei pressi della statua mentre l'altro mio cugino, Jorge, cercava di invogliare la folla a comprare i nostri CD. Mi avvicinai disinvolto al nostro contatto e gli scroccai sigaretta e accendino.
– Sei Ernesto? – mi domandò in inglese, con accento di Oxford.
– Sono Ernesto, – replicai.
– Tuo zio Iago mi ha consigliato di contattarti, – disse. – Puoi chiamarmi Jesse.
Non si chiamava Jesse più di quanto io mi chiamassi Ernesto: quello era il nomignolo che mi diede il prete quando la mia famiglia si decise a farmi battezzare. Sono nato su un'isola di giunchi artificiale alla deriva nel lago Titicaca, un posto che i funzionari della Chiesa Romana Cattolica e Apostolica non bazzicano spesso.
Il mio vero nome è Cari, nel caso ve lo steste chiedendo.
– Possiamo andare in un posto un po' più appartato? – chiese Jesse.
– Sì, certo. Per di qua.
Schiacciò la sigaretta sotto una scarpa a coda di rondine e mi seguì nella Chiesa di San Nicola, mentre mi domandavo se ci fosse qualche possibilità che ci trovassimo effettivamente sotto sorveglianza o se Jesse fosse semplicemente affetto da eccessiva paranoia.
In un modo o nell'altro, pensai, il prezzo ne avrebbe risentito.
Al mio ingresso, la gloria barocca della chiesa mi esplose negli occhi: statue di marmo e affreschi stravaganti e quantità improbabili di foglia d'oro. Fatto alquanto strano, il tempio apparteneva agli ussiti, normalmente avversi a questo tipo di ostentazione.
Strepiti e rimbombi echeggiavano nella navata. L'organista si stava preparando per il concerto che avrebbe tenuto più tardi, ottima fonte di disturbo nel caso qualcuno ci stesse davvero intercettando con un microfono.
Senza degnare di un'occhiata il profluvio di decorazioni che faceva sfoggio di sé tutto attorno a lui, Jesse si sfilò gli occhiali da sole e scrutò a destra e a sinistra per controllare che nessuno fosse a distanza d'udito.
– Iago ti ha detto nulla di me? – chiese.
– Soltanto che ha già lavorato per te e che l'hai pagato.
Iago e il suo ramo della famiglia erano a Sofia, a sorvegliare un ex-appartenente alla polizia segreta montenegrina coinvolto nella vendita di missili aria-terra russi provenienti dalla Transnistria, in transito per il Bosforo e diretti all'Esercito di Liberazione di Giovanni Battista, un'organizzazione di separatisti mandei iracheni che operava da Cipro. Lo sa Dio cosa ci avrebbero fatto i mandei coi missili, dato che non disponevano di una forza aerea in grado di lanciarli, o almeno così possiamo sperare. Probabilmente agivano solo come mediatori per conto di chi voleva veramente le testate.
In caso di necessità il mio gruppo era pronto a volare a Cipro, ma per il resto i mandei iracheni non erano una preoccupazione mia. Riflettendo su questo, mi chiesi se il mondo fosse sempre stato così complicato o se si trattasse di una nuova tendenza del ventunesimo secolo.
– Ci serve che facciate un recupero, – annunciò Jesse.
– Cosa dovremmo recuperare?
La sua bocca ebbe un fremito d'impazienza. – Non è necessario che lo sappiate.
Stava iniziando a darmi sui nervi. – È più grande di un cestino per il pranzo? – domandai. –Devo sapere se mi serve una gru o un camion o…
– Una barca, – mi interruppe Jesse. – E materiale da immersione.
L'organista provò un brano di Bach. La Toccata in Re minore, credo, e troppo veloce.
Se trascorrete del tempo nelle chiese europee, sentirete spesso la Toccata. Nel corso degli anni sono diventato un esperto.
– Materiale da immersione, – sottolineai con cautela. – Interessante.
– Tre giorni fa, – disse Jesse, – il mercantile da cinquemila tonnellate Folletto Pesce Rosso è affondato durante una tempesta nel Delta del Fiume delle Perle, al largo di Hong Kong. Nella stiva c'era il nostro carico. Dopo che la Corte dell'Ammiragliato avrà concluso la sua inchiesta, i diritti di recupero andranno all'asta. Ci serve che vi impossessiate di quel carico prima che entrino in gioco le compagnie di recupero.
Rimuginai il concetto mentre le canne dell'organo mi strepitavano sopra la testa. – Cinquemila tonnellate, – ripetei, – è una piccola imbarcazione costiera, neanche una nave