Maria da Silva - Una cronaca brasiliana
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Non si può affermare che Maria da Silva sia un lavoro di finzione, perché è una cronaca del quotidiano senza ritocchi. Un piccolo libro sulla vita breve di una rivenditrice di spazzatura. Qui non ci sono descrizioni superflue, così l’immaginazione del lettore, mentre legge il romanzo, comporrà l’ambiente con lo scenario che conosce, che si svolge vicino a lui, che visualizza giorno per giorno e le cui dinamiche gli sono ignote.
Le “Maria da Silva” muoiono quotidianamente di inedia e di malattie non curate, in un breve e tragico cammino di vita, portando con sé un’intera storia ignorata dai più. È ora di vederle come esseri umani, e questo piccolo libro può aiutare. Sento che l’opera non è mia, io sono solo un tramite del messaggio di Maria da Silva. Credo che se qualche lettore cambierà dopo averla conosciuta, che sia solo nello sguardo che lancia ai senzatetto che rivendono spazzatura -che estraggono quello che viene disprezzato, senza elemosinarlo- la missione che mi è stata assegnata dal caso sarà compiuta.
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Maria da Silva - Una cronaca brasiliana - pedro marangoni
Introduzione
Non si può affermare che Maria da Silva sia un lavoro di finzione, perché è una cronaca del quotidiano senza ritocchi. Un piccolo libro sulla vita breve di una rivenditrice di spazzatura. Qui non ci sono descrizioni superflue, così l’immaginazione del lettore, mentre legge il romanzo, comporrà l’ambiente con lo scenario che conosce, che si svolge vicino a lui, che visualizza giorno per giorno e le cui dinamiche gli sono ignote.
Le Maria da Silva
muoiono quotidianamente di inedia e di malattie non curate, in un breve e tragico cammino di vita, portando con sé un’intera storia ignorata dai più. È ora di vederle come esseri umani, e questo piccolo libro può aiutare. Sento che l’opera non è mia, io sono solo un tramite del messaggio di Maria da Silva. Credo che se qualche lettore cambierà dopo averla conosciuta, che sia solo nello sguardo che lancia ai senzatetto che rivendono spazzatura -che estraggono quello che viene disprezzato, senza elemosinarlo- la missione che mi è stata assegnata dal caso sarà compiuta.
P. Marangoni.
Non è uno svegliarsi, non si sveglia a causa di un incubo. Avvolta come un gomitolo sul vecchio materasso ammuffito, nascosta dallo sguardo della disgrazia, Maria apre gli occhi ma non si muove. Rimane in posizione fetale, le braccia scarne che racchiudono le ginocchia, diventando un tutt’uno con la coperta lacera, di colore grigio e con alcune strisce rosse, già impallidite. Il materasso, di cui rimane solo la schiuma, probabilmente è stato verde o azzurro e adesso è marrone, impiastricciato del fango del viottolo dove è stato preso. La muffa è persistente, ma per Maria è l’odore della sicurezza, l’odore della sua baracca.
Il gomitolo umano rimane nella quiete. La mente no. Maria è umana, sebbene sia difficile per molti, quelli scelti da Dio, immaginare o capire quello che pensa; prova emozioni e soprattutto riesce a visualizzare e valutare la sua posizione nel mondo degli uomini -sa di essere scartabile e ha un solo desiderio: vuole andare via.
Maria non vuole svegliarsi, alzarsi, essere obbligata a vivere. Il suo vivere si confonde con il sopravvivere. Solo sopravvivere, un giorno per volta, senza tregua, senza riposo. Sa che per gli altri tipi di animali è normale la ricerca quotidiana del cibo, ma perché proprio lei deve sopportare questo, e per cosa? Qual è il suo guadagno? Qual è il piacere? Saziare la fame, la sete, non è un piacere, è un attenuare una necessità di cui lei farebbe a meno se potesse non svegliarsi.
Ma si sveglia. Una vecchia quasi adolescente, pelle e ossa e una presumibile età tra i diciotto e i venti anni. Capelli castano scuro, lisci e fini, pelle candidissima nelle parti che la sporcizia delle strade non ha insudiciato. I seni caduti, pochi denti, negli occhi appena un’ombra di dignità.
Aprire gli occhi, svegliarsi, è sempre uno shock sgradevole, l’inizio dell’incubo. Vorrebbe chiudere di nuovo le palpebre e spegnere la coscienza, fuggire dalla realtà. Ma sa che non ce la farà, chi la sta svegliando non è la soddisfazione del sonno, è lo stomaco che esige la sua perenne, insaziabile quota.
Gemella della fame,
dalla sorella nulla la separa,
e se per nulla è stata gettata a terra
presto atterra la speranza che accudisce,
dal volto il sorriso bandisce.
Controvoglia comincia ad assumere il suo destino di essere vivente. Muove gli occhi. Ma soltanto gli occhi. Sempre nella vana speranza di stare solo facendo un incubo, un brutto sogno. Svegliarsi spaventata in un letto pulito, avere fratelli, madre, padre, casa, cibo, saper leggere, scrivere, salutare le persone ed essere salutata per strada, esistere per davvero. Altrimenti, perché non trasformarsi in un cane randagio, senza dover pensare, vedersi, paragonarsi a qualcuno? Non è un cane, ma non è nemmeno umana, e alla fine che cos’è? Se parla non le rispondono, a volte la scacciano via esattamente come si fa con gli animali randagi, ma a volte le danno anche ordini come se ne danno agli umani.
I suoi occhi percorrono la baracca, ancora in penombra. Più o meno una lastra di compensato -di quelle delle costruzioni- di larghezza, per due di