Celtic Rune - Il Cuore della Battaglia
By Lexy Timms
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Secondo Capitolo della Saga.
Linzi rischia ogni cosa quando, invece di uccidere un vichingo ferito nella sua terra, sceglie di salvarlo. Con il padre ammalato e il fratello partito in guerra, lei bada alla casa e al bellissimo straniero.
Erik non aveva pianificato di innamorarsi della terra ai suoi piedi, né si sarebbe aspettato di svegliarsi tra le braccia di una bellissima scozzese dai capelli rossi.
La passione per il nemico riuscirà a sconfiggere quello in cui avevano sempre creduto?
Lexy Timms
"Love should be something that lasts forever, not is lost forever." Visit USA TODAY BESTSELLING AUTHOR, LEXY TIMMS https://www.facebook.com/SavingForever *Please feel free to connect with me and share your comments. I love connecting with my readers.* Sign up for news and updates and freebies - I like spoiling my readers! http://eepurl.com/9i0vD website: www.lexytimms.com Dealing in Antique Jewelry and hanging out with her awesome hubby and three kids, Lexy Timms loves writing in her free time. MANAGING THE BOSSES is a bestselling 10-part series dipping into the lives of Alex Reid and Jamie Connors. Can a secretary really fall for her billionaire boss?
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Celtic Rune - Il Cuore della Battaglia - Lexy Timms
INDICE
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
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Capitolo 1
Linzi
Si ritrovò circondata dal silenzio. L’unico suono proveniva dal leggero respiro affannoso che fuoriusciva dalle sue labbra. Rimase sopra il biondo e muscoloso sconosciuto; il coltello sepolto proprio di fianco alla sua testa nella terra indurita. Rimase seduta ancora per un momento, certa che i suoi movimenti l’avrebbero ridestato. Tuttavia, lui non si spostò.
Ebbe bisogno di respirare profondamente per calmare il suo cuore impazzito.
Facendo molta attenzione, Linzi si sollevò dai suoi fianchi e si piegò in avanti per estrarre il coltello osservandone l’elegante impugnatura. Impiegò tutte le sue forze per liberare l’arma. Non aveva avuto il coraggio di privare quell’uomo della sua vita, o forse non era abbastanza codarda da farlo mentre era svenuto. Era riuscita ad affondare la lama nel terreno, quindi aveva almeno capito di averne la forza.
Si mise cavalcioni sullo straniero ferito, cercando d’ignorare la fantastica sensazione del calore tra le sue gambe. Fu tentata di muoversi di più. Assolutamente no, si rimproverò. Non era il momento.
Il suo corpo barcollò non appena estrasse il coltello. La forza del colpo per poco non la fece rotolare giù dalla collina alle sue spalle. Sospirò, piegandosi per strappare una piccola striscia dalla sua gonna per avvolgere l’arma. L’avrebbe tenuta finché lui non l’avesse richiesta o dimenticato di averla mai posseduta – se fosse sopravvissuto. Di sicuro avrebbe potuto venderla nella città vicina. Un tesoro simile non era facile da trovare. Linzi si sollevò, assicurandosi di essere sola prima di voltarsi verso il vichingo. Era mozzafiato. I muscoli del suo stomaco si contrassero ripensando alla sensazione delle sue forti mani che la stringevano, i fianchi che ondeggiavano come se il sesso avesse potuto guarirlo. «Un dannato marchio sulla spalla e all’improvviso ti comporti come una sgualdrina,» farfugliò e rimase immobile prima di capire di dover fare qualcosa con il corpo dell’uomo. Non poteva lasciarlo sul campo. Se doveva ucciderlo e seppellirlo nel bosco, allora non aveva altra scelta che aiutarlo – forse aiutarlo a rimettersi e poi cacciarlo era l’altra possibilità.
Non completamente sicura della sua capacità di ragionare, Linzi smise di analizzare troppo la situazione e cercò una soluzione. Tornò a osservarlo. La guaritrice in lei stava già pensando alle erbe che avrebbe dovuto raccogliere dietro casa per ripulire le ferite su addome e petto. Non sarebbe bastato e non aveva molte possibilità di guarigione. Comunque, si rifiutò di comportarsi come quei barbari vichinghi.
Afferrò il coltello da cucina ancora accanto al vichingo e corse in casa. Lo sgocciolare di un liquido dal suo palmo la fece fermare. Sollevò la mano, facendo una smorfia per il dolore della ferita che si era riaperta. Sangue gocciolò dal suo polso e creò una linea rossa sulla sua bianca gonna.
«No... dannazione.» Agitò la mano e il sangue si riversò sul terreno. Pensò di strappare un’altra striscia dal proprio abito, ma poi respinse velocemente quell’idea. Era già troppo piccolo e stretto, ancora qualche altro centimetro e avrebbe avuto anche l’abbigliamento da sgualdrina.
Scosse il capo e corse in direzione della casa, cercando di mantenere la calma. Non ebbe tempo per riprendere fiato. Lanciò il coltello sul tavolo della cucina prima di controllare il padre, assicurandosi che stesse bene. Fu accolta da una sensazione di pace, dal profumo di caprifoglio che sporgeva dalla porta alle sue spalle e dal leggero russare di suo padre. Lo avrebbe controllato di nuovo prima di uscire da casa. La febbre sembrava essersi abbassata, il suo corpo non era più bollente, come il sole che presto si sarebbe nascosto oltre le colline alle spalle della loro abitazione. Le ricordò una questione urgente là fuori.
Cercò di fasciare la sua mano velocemente. Doveva trascinare quell’omaccione per tutto il campo fino in casa. Non aveva altra scelta. Non poteva semplicemente lasciarlo nei boschi e osservalo da lì. E se una bestia lo avesse attaccato durante la notte? Era troppo bello per darlo in pasto agli animali.
Quel vichingo doveva essere più alto di lei di parecchi centimetri e pesante più di cento libbre. Lei era forte per aver lavorato tanti anni nei campi con suo padre e suo fratello, ma sollevarlo sul suo cavallo o trascinarlo fino in casa era impensabile. Non poteva farcela. Impossibile da sola.
Passò nuovamente da suo padre e gli toccò la fronte. Il sudore che lo ricopriva confermò la sua ipotesi. La febbre era passata e sebbene la sua pelle fosse bagnata, non era più bollente. Si era spostato troppo sulla destra e il suo braccio stava penzolando. La mano era blu per la mancanza di ossigeno. Pensò di svegliarlo, ma decise sarebbe stato più semplice spingere le lenzuola dall’altro lato del letto e spostarlo di nuovo verso il centro. Fu orgogliosa del risultato.
«Fatto,» sussurrò e corse in camera di Kenton. Tolse le lenzuola dal suo letto e poi andò in cucina per prendere una corda. Avrebbe dovuto pianificare tutto alla perfezione, ma se ci fosse riuscita, il vichingo sarebbe arrivato in casa in pochi minuti. Doveva solo trovare la forza di trascinarlo dentro una volta davanti alla porta principale. Farlo salire sul letto di Kenton sarebbe stata tutta un’altra storia.
La bellissima cavalla che aveva legato prima rimase tranquilla vicino all’abitazione. Linzi si avvicinò all’animale lentamente e protese il braccio. Sbuffò come se non volesse essere disturbato, ma Linzi ignorò la sua protesta e lo slegò, spazzolandolo con le dita e mettendo con attenzione il necessario in groppo. «Il tuo padrone è in fin di vita nei campi. Ho bisogno del tuo aiuto. So che sei stanca bella, ma sarai contenta di averlo fatto. Sempre che non sia un bastardo.» Si spostò davanti all’animale e lo fissò nei suoi occhi neri. Sbuffò ancora. «Lo è?»
La cavalla indietreggiò leggermente e Linzi scoppiò a ridere. Era evidente che quel vichingo incutesse paura alle terre e a tutti gli uomini, ma non al suo compagno a quattro zampe. Portò il bellissimo animale fino alla collina, si fermò e piegandosi soffiò sui capelli del vichingo. Alcune ciocche si sollevarono e Linzi notò fossero incrostare di sangue, sporco e sudore.
Linzi fece abbassare il cavallo, prendendo il lenzuolo e scartando il pugnale del vichingo adesso in suo possesso. Fece due fori abbastanza grandi sul tessuto, non troppo vicini alla parte superiore.
«Spero funzioni. Sarebbe molto più semplice se si svegliasse e camminasse da solo fino a casa, ma la vita sembra non concedere mai risposte semplici, non è vero?» Lanciò un’occhiata alla puledra che la fissò con sguardo assente. «So che mi capisci. Dio ti ha dato un cervello e la testa per agire. Non guardarmi in quel modo.»
L’animale sbuffò di nuovo e distolse lo sguardo, piegandosi per mangiare dell’erba. Linzi sorrise, desiderando che la sua famiglia possedesse un altro cavallo e altri polli e maiali. Ne voleva un altro, l’ultimo era stato venduto quando i tempi erano diventati troppo duri l’estate scorsa. Si era sentita come se avesse offerto un buon amico al macellaio.
Abbandonò quei pensieri e si sollevò, concentrandosi sulla corda che doveva infilare nei due fori. Si avvicinò al fianco del vichingo addormentato e mise il lenzuolo di lato. Non sapeva come avrebbe fatto a spostarlo su di esso. Gli camminò attorno mentre il cavallo faceva dei versi, come se stesse cercando di comunicarle il modo giusto per portare a termine quel compito.
«Silenzio, temo potrebbe svegliarsi.» Accarezzò il muso del cavallo e s’inginocchiò al fianco dell’uomo, facendo scivolare le mani sotto la sua schiena e coscia. Digrignò i denti e tirò con tutte le sue forze. Il muscoloso corpo pesava più di quanto si fosse aspettata. Riuscì a sollevarlo leggermente, tuttavia, Linzi si rifiutò di mollare e continuò a tirare. Cadde sulle ginocchia, affondando i piedi nella terra quando lui si girò sul petto e viso. Un leggero grugnito la avvertì che non fosse lontano da riprendere conoscenza.
«Ancora una volta,» sussurrò, trascinando i piedi in avanti e ricominciando il processo da capo. Il suo respiro divenne pesante, i suoi capelli s’incollarono al viso per il sudore mentre continuava a tirare. Riuscì a farlo rotolare di nuovo, questa volta supino; un colpo di tosse fuoriuscì dalle sue labbra spaccate. Linzi non poteva temporeggiare, quell’uomo era troppo vicino alla morte.
Si alzò, asciugandosi le mani sulla camicia da notte e sollevò lo sguardo sul cavallo. «Tocca a te.»
Collegare le corde alla sella della puledra non fu difficile, ma convincerla a percorrere la collina con un vichingo su una puleggia improvvisata la mise a dura prova. Diede delle pacche sul didietro dell’animale parecchie volte, facendolo muovere e poi tirando le redini. Dopo quella che sembrò un’eternità, riuscì alla fine a legare la cavalla nel fienile ben nascosto e portò il moribondo disteso sul lenzuolo davanti all’ingresso di casa.
Scavalcò l’imponente uomo ed entrò nell’oscura cucina. Si versò un bicchiere d’acqua e lo bevve in fretta, riversando il contenuto su mento e petto. Doveva sbrigarsi. Il pomeriggio sarebbe presto andato sprecato e se non avesse piantato i semi per il raccolto, sarebbero rimasti solamente fame e un’altra lapide sulla collina. Forse due e una senza nome.
Corse verso la porta, piegandosi e sollevando la punta del lenzuolo su cui era appoggiata la testa del vichingo. Urlò non appena il tessuto strisciò sulla sua mano ferita; il dolore le attraversò il palmo fino al braccio. Si rialzò su gambe tremanti, respirando profondamente e cercando di riprendersi. Tirando con forza, provò a trascinare lo sconosciuto fino alla camera del fratello. Si fermò di fronte alla propria stanza, abbassando lo sguardo sul lenzuolo distrutto una volta appartenuto a Kenton. Non funzionerà.
Il vichingo avrebbe preso la sua camera. Quella di Kenton era troppo vicina alla stanza del padre e alla porta d’ingresso. Inoltre, non avrebbe mai permesso che riposasse su un letto non rifatto con un materasso duro e scomodo. Avrebbe dovuto cedergli la sua camera, lavare le lenzuola sotto di lui, sistemarle e poi usarle per se stessa.
Ad ogni