Discover millions of ebooks, audiobooks, and so much more with a free trial

Only $11.99/month after trial. Cancel anytime.

Nuvole Prensili
Nuvole Prensili
Nuvole Prensili
Ebook236 pages3 hours

Nuvole Prensili

Rating: 0 out of 5 stars

()

Read preview

About this ebook

Si legge con piacere, si ricorda per sempre. Una raccolta di venti racconti, nello stile che rese grande il genere. Per gli amanti della narrativa breve.

Il Punto EMME - Chi è la donna di cui Elisa vive le sensazioni?
Il fischio - Importuna signore e signorine, ma sul finale riparerà matrimoni noiosi.
Tre amici - Chiacchiere di anziani che... volano via.
Fra gli alberi altre cose - La paura delle antiche superstizioni non basta a scapparne.
Una scatola di ferro - Diventare ricco può costare moltissimo.
Il drago di Edgar - Una spy story fra vichinghi, granchi, scrittori gelosi e incomprensioni di coppia.
Come finì la pirateria - In nessun'altra storia di pirati leggerete la parola "hipster", ve lo garantisco.
Il cliente - Cappello si o cappello no?
L'inseguitore - Una corsa in bici lunga una vita.
Una minuscola guerra - Ovvero: far ridere il prossimo può salvarti la pelle.
Meloni artificiali - Ecco da dove viene il melone in copertina!
Un singolare caso di distrazione - Svegliarsi la mattina può avere risvolti inconsueti.
Bionda a Biologia - Non sarà il massimo come ricercatrice, ma risolve tutto!
Fantasma originale - Ossip Prescot si siede dove non avrebbe dovuto.
Avevano paura di Apollo - Il sogno di ogni bambino diventa reale.
Alla finestra - Una coincidenza strepitosa riporta una donna a lottare per la sua vita.
In fondo al pozzo - Due personaggi singolari, un pozzo abbandonato e una leggenda.
Cuore di muffa - Oscar Schliemann avrà una vita migliore. Che non è la sua.
Perché bisogna fare così - Diario veloce di una famiglia lacerata dalle violenze.
Recensione di un film mai veduto - Due fratelli, una domenica pomeriggio. Tutto qui.

Include postfazione critica di Alessio Montagner

LanguageItaliano
Release dateNov 30, 2015
ISBN9781310131103
Nuvole Prensili
Author

Gaspare Burgio

Ho compilato oltre duecento racconti, che ho raccolto in varie antologie tematiche, soprattutto di genere reale fantastico, horror e fantascienza ironica. Quando posso, scrivo articoli per altri blog o leggo opere altrui che mi sono inviate per avere consigli. Partecipo attivamente a gruppi online che riguardano proprio questi temi. Sono impegnato adesso nella stesura di un romanzo piuttosto interessante. Se continui a seguirmi ci saranno di certo aggiornamenti al riguardo.

Read more from Gaspare Burgio

Related to Nuvole Prensili

Related ebooks

Short Stories For You

View More

Related articles

Reviews for Nuvole Prensili

Rating: 0 out of 5 stars
0 ratings

0 ratings0 reviews

What did you think?

Tap to rate

Review must be at least 10 words

    Book preview

    Nuvole Prensili - Gaspare Burgio

    Prefazione

    Quelli che seguono sono ancora racconti di fantasia.

    Nei limiti coi quali si può distinguere la realtà dalla fantasia.

    Esistono talenti di vario genere e uno di questi, attualmente fra i più gettonati, è quello della conformità. Essendo un gioco al rialzo per via del mercato, è diventato un talento impegnativo. Estetica, comportamenti, mestieri, vita sessuale, vita condominiale, vita automobilistica. Prodotti, lessico, viaggi brevi quanto lunghi. Alimentazione, palestra, cura del corpo. Non è mai stato così difficile e faticoso essere una persona qualunque.

    Ho rinunciato molto presto a questa onerosa attività di essere banale, e ho trovato gran piacere nel fare abbastanza schifo e impressione al prossimo.

    Le storie che scrivo ricalcano questo modo di esistere deliziosamente eccentrico.

    La giovinezza mi accarezzava la schiena implorando che mi voltassi e facessi qualcosa per rimediare alle mancanze. Prima che fosse troppo tardi, ma già lo era. Ti prego diventa un calciatore. Ti prego prendi una Laurea. Ti prego fammi diventare bello, ti prego fammi sembrare intelligente, ti prego fammi sentire amato in qualunque modo ti sia possibile.

    La vecchiaia mi lambiva la punta delle scarpe. Era così prossima da potermi leccare il naso. Alla vecchiaia andava bene, perché tanto sapeva di durare poco e qualcuno si sarebbe occupato di lei. Ero schiacciato fra queste pareti arroventate che stringevano la mia figura. Posso garantire che non ne uscivo indenne. Per scappare dal groppo in gola e dalle crisi di pianto, il più spesso per sfuggire dalla considerazione dei fatti per come si presentavano, migravo. Coi pensieri. Alle decapottabili inglesi, a qualche bellezza americana del sud, gli sconfinati dossi colorati di una regione cinese.

    Dicevo che ero uno scrittore, ma non lo ero. Lo scrittore le sa, le cose che scrive. Io inventavo zone franche e talvolta, per noia, per concretizzare e nella maggioranza dei casi per farmi vedere impegnato, buttavo giù periodi e concetti e astrazioni che inchiodavano alla carta alcune delle simbologie che generavo. Amori, incontri, città, prese di posizione, scoperte. Niente affatto preciso, niente affatto utile. Perché queste cose, le cose del cambiamento o della pura esistenza io non le conoscevo. Le idealizzavo. Con due matematiche: il desiderio del bambino e l'astrazione del vecchio. Io nel mezzo, che a volte scendevo dagli autobus a due terzi del tragitto perché mi sentivo male.

    Se uno scrittore campa di altruismi, ero probabilmente la cosa più egoista che si potesse definire. Non scrivevo neppure per orgoglio, di cui ero arido, ma per giocoleria delle dita, per dipendenza da quei diari sofferti che racchiusero male i lamenti, confesso che fu per noia.

    Impazzii e il giorno che impazzii tentai di afferrare una nuvola.

    Quello che leggerete nelle pagine seguenti è il risultato di quell'esercizio di follia che ancora non si è concluso.

    Gaspare Burgio, Novembre 2015

    Il Punto EMME

    Francesca tornò alla veglia dopo aver solcato sogni di libertà, ma non aprì subito gli occhi. Passò le dita sul volto, sulla spalla, sui seni e sullo stomaco. Qui trovò un ombelico a bottone, a contrario del suo, che era a fossa. Nel mentre, la Voce Femminile Uno chiamava dabbasso. Francesca pensò: mamma. Non andate d'accordo. Insegnante di sostegno. Opinioni politiche divergenti.

    Aprì gli occhi su un soffitto rosa pallido. Voltò il capo ed enumerò una scrivania disordinata, una sedia laccata di bianco, un armadio. Si dispose a sedere. Cercò coi piedi le proprie ciabatte, quindi si ricordò che Elisa ne spingeva un paio di pelouche fin sotto il letto. Le cercò con gli alluci quindi vi ficcò i piedi. La Voce Femminile Due brontolava qualcosa sulla colazione che si teneva al pianterreno. Francesca pensò: sorella minore. Nove anni. Ti adora. Ama i dinosauri.

    Prima di alzarsi sentì la calda emozione di un bacio sulla spalla e ne sorrise, compiaciuta.

    Si recò in bagno. Allo specchio vide una sagoma piuttosto confusa, magra, bionda. Ricordò di indossare le lenti e quel ritratto si delineò con maggiore accuratezza.

    Si deterse il volto e le mani, operò la toeletta, guardò una foto di Elisa fatta al Centro Commerciale per una guida su come sistemarsi i capelli. Non lo ricordava mai, per quanto si sforzasse di apprendere la tecnica. Raggiunse l'armadio mentre la Voce Femminile Uno aveva smesso di prendersela con Voce Femminile Due e ripeteva l'appello.

    «Arrivo subito!», urlò Francesca. Aveva appeso all'interno dell'anta di armadio un calendario e uno schema scritto a matita, per sapere quali attività attendevano Elisa. Allo stesso modo poteva evitare di vestirsi con le solite cose per troppe volte di seguito. Selezionò gli abiti secondo indicazione, quindi scese le scale. Dovette fermarsi al quinto gradino. Socchiuse gli occhi avvertendo una pressione sulle labbra. «Non adesso, dai!», sospirò. Inarcò la schiena e al contrario di quanto aveva detto si lasciò coinvolgere qualche secondo da un brivido tiepido che saliva dal ventre alla nuca. Sentì il ricordo di mani che le cingevano i fianchi e per istinto si carezzò le braccia dove quelle mani erano passate più volte. Si passò dita sul volto estasiato, quindi inspirò forte e scese il resto dei gradini.

    Una signora sui quaranta armeggiava un cassetto della cucina. Capelli ricci ancora da ricomporre. Una bambina rotonda lottava col latte usando come arpione un grosso biscotto. Francesca si sedette su una sedia libera, che riconobbe come sua perché la tazza davanti aveva disegni femminili.

    «Buongiorno», disse in modo esitante. La signora non le rispose. La bambina le faceva linguacce scherzose. Giunse allora Persona Maschile Uno. Francesca si disse: padre. Peggio che la madre. Crede che ti droghi. Da ignorare. Lavora nel ramo assicurativo.

    La Persona Maschile Uno non si sedette, prese la tazza di caffè e la bevve in piedi, scrutando più volte l'orologio a parete. Fece un cenno alla bambina e questa con manovre goffe scese dalla sedia e si preparò a calzare uno zaino grosso il doppio di lei.

    «Forza, che siamo in ritardo.»

    «Ciao Elisa, fai la brava!», disse la piccola, entusiasta. Francesca non ebbe tempo di rispondere, la porta di casa era già sbarrata.

    La signora si sedette al posto che era relegato al marito. Si svuotò come se le fosse stata aperta una valvola di sfogo. Francesca non aveva idea di come comportarsi, quindi guardò la propria tazza e perse tempo.

    «Non ti firmerò la giustifica se fai tardi, oggi. Ti prenderai un rapporto e fine là.»

    Francesca inarcò un sopracciglio. Era entrata tardi ieri? Non poteva ricordarlo. Quel «ieri» di Elisa chissà quando era successo.

    «Credo di avere ottimi voti», tagliò corto finendo il caffellatte.

    «Si che li hai, anche se non so come sia possibile», disse Voce Femminile Uno, mettendosi le mani nella foresta irta dei capelli. «E' la condotta che non funziona. Non sei presente. Senti, te lo chiedo schietto e tu nel caso fai finta di nulla.»

    «Non mi drogo e non sono incinta», anticipò Francesca.

    «Anche di questo dovremmo parlare.»

    «I ragazzi della mia età sembrano bambini», rispose quella che era la figlia, e non stava affatto mentendo. «Per quello che vale, la mia condotta conta pochissimo. Una volta finito questo stupido liceo inizieranno le cose serie. Col diploma oggi non ci pulisci nemmeno il bagno. Le tue sono preoccupazioni eccessive.» A Francesca pareva di aver fatto già discorsi del genere, e di aver visto anche l'espressione conseguente in quella figura femminile. Quella doveva nutrire una forma di affetto istintuale per Elisa, e si chiedeva probabilmente da cosa venisse quella solidità concettuale che poteva benissimo venire fraintesa per orgoglio, in bocca a una diciassettenne. Francesca ci si era provata, ma le era impossibile recitare qualunque parvenza di amore filiare per una donna che madre non le era. Anche provando, il sentimento simulato sarebbe stato grottesco e in ultimo umiliante per lei stessa. Francesca era un'ospite di transito.

    Distolse lo sguardo fermo da quello della madre di Elisa. Era stato interpretato come una sfida, e non voleva esserlo.

    «Vado», disse, e afferrato lo zaino se ne uscì lasciando la signora alle sue valutazioni.

    Per strada si sentiva sempre in leggero disagio perché non era certa di simulare alla perfezione i meccanismi di comportamento di una diciassettenne. Risolveva con l'isolamento, per quanto le era possibile. Le altre, alla fermata dell'autobus, le parevano troppo ridanciane, scomposte e per alcuni spigoli del comportamento troppo cattive le une verso le altre. C'era comunque un entusiasmo di fondo che le piaceva studiare. In alcune vedeva la figlia che avrebbe desiderato avere, in altre la ragazzina che le sarebbe piaciuto essere davvero. Teneva le osservazioni per sé, guardando alla distanza.

    Sul mezzo pubblico preferì restare in disparte invece di mescolarsi alla massa degli studenti. Manipolò il telefono cellulare. Non lo aveva comprato, lo aveva trovato abbandonato qualche giorno prima nei bagni di un ristorante e non lo aveva consegnato nonostante la proprietaria si fosse fatta viva. Ne aveva bisogno.

    Consultò in rubrica la voce NVP. Di quel numero conosceva per certo le prime tre cifre, anche se non sapeva dire da dove le venisse il ricordo. Le altre no, e per risolvere l'enigma dei numeri mancanti aveva deciso per un approccio pragmatico. In fondo erano soltanto 999 possibilità. Era partita con 000, poi 001, 002 e via così, arrivando fin oltre 710. Aumentò di uno le ultime tre cifre memorizzate e chiamò. Le rispose una signora anziana, impacciata nell'uso del telefono. La voce, con forte accento nordico, arrivava tanto confusa da credere che stesse parlando nell'auricolare invece che nel microfono. Francesca chiuse la comunicazione. Sapeva che per istinto avrebbe riconosciuto il giusto interlocutore, e non era quella signora. Aumentò di uno la cifra e provò ancora. Prima dell'arrivo a destinazione compose cinque numeri a vuoto. Aggiornò il numero NVP in rubrica e chiuse là. Anche se si trattava di una semplice chiamata ogni tentativo le risultava stressante perché poteva essere quello giusto e da quell'attimo in poi la situazione sarebbe cambiata.

    A scuola prese posto dopo aver consultato uno schema che le ricordava lezioni, quale banco e in che rapporti si trovava Elisa con le compagne. Nessuna indicazione era positiva, ma alcune andavano evitate interamente perché prone al conflitto. Francesca spese le prime ore di lezione compilando pagine di diario, leggendo un tascabile e disegnando scarabocchi; Elisa era ancora in fase di apprendimento, ma lei no. Lei era già architetto, abitava già in tre appartamenti in differenti capitali europee, aveva progetti in ballo di altra grandezza che non un tema in due colonne sulla Restaurazione. Francesca era più ricca, bella e acculturata di quelle donnette da supermercato che le facevano lezione, cercavano sottilmente di ispirarle una morale, si davano un tono, ma in fondo non erano andate più in là di un concorso statale come potevano spazzini e timbracarte comunali. Talvolta doveva abbassare il capo, nei panni di Elisa. Ma nei panni suoi, quelli di Francesca, si risvegliava un atavico senso di competizione e allora era capace di gettare sguardi e parole che mettevano le insegnanti a disagio. Quel mattino toccò all'insegnante di matematica, che osò apostrofarla con «signorina.» Odiava quando la chiamavano a quel modo. Staffilò la donna e una compagna che sghignazzava. Le due rimasero mortificate e Francesca poté tornare al suo libro.

    Terminate le prime ore di lezione uscì dall'edificio senza permesso, in modo da recarsi al bar che lo fronteggiava. Chiese una sigaretta a un anziano di passaggio. La fumò in piedi, prima di entrare. Prese un caffè. Spese un'ora ai tavolini del locale, osservando le signore degli uffici e dei negozi in pausa. Guardava le loro scarpe, le loro auto, i loro tagli di capelli e ne studiava il trucco, con un anomalo senso di nostalgia unito alla rabbia che ogni suo desiderio non poteva venire esaudito. Sfogliando i giornali annotava offerte di lavoro per le quali sarebbe stata ufficialmente qualificata fra dieci anni.

    Ricordò la brezza di Londra, la passeggiata di mezzanotte a Charleroi, un abbraccio focoso su un patio delle Comore. Ricordò di essere stata vestita meglio di tutte queste provinciali del bar. Continuò a ricordare fino a che non suonò la campanella che annunciava l'intervallo. Allora rientrò nel plesso scolastico. Le piaceva guardare i ragazzini sciamare nel caos.

    Il Giorno del Cambiamento, come molti altri di quell'anno, fu cercata e raggiunta durante l'intervallo da un paio di occhiali sopra abiti colorati, un insieme scombinato che corrispondeva al nome di Letizia. Prima ancora di dire ciao, Letizia disse: campi morfogenici. Quindi si sedette sul muro di cinta che bordava il cortile scolastico, accanto a Francesca.

    Letizia era la sola compagna di corso che aveva tollerato, una ragazza eccentrica, miope fino al fastidio, tanto bisognosa di contatti umani da accettare compromessi. Non sentiva buoni sentimenti fraterni per quella ragazza strana e non avrebbe mai gradito uscite mondane con lei, circostanza dalla quale glissava sempre fingendo timidezza. Gli inviti di Letizia al riguardo cadevano a vuoto. Tuttavia Letizia era a conoscenza del segreto dell'anima ospite; ne avevano parlato per semplice ipotesi, ma ci si era appassionata. Questo mistero copriva di una vernice dinamica un rapporto altrimenti umiliante, e Letizia aveva trovato un ruolo per sé stessa nel mondo.

    «Campi cosa?»

    «I campi morfogenici sono una sorta di onde che viaggiano nel tempo e nello spazio fra due cervelli, tramandano le esperienze. Questo potrebbe spiegare perché vive in te Francesca. Sono le sue onde che ti raggiungono.»

    La pioggia annunciata per quel giorno trovò lo spiraglio di cielo per venire giù. I ragazzi nel cortile sciamarono nell'edificio, loro due preferirono deviare sotto il tetto in laminato che copriva le biciclette nel parcheggio, restando sole all'esterno.

    «Questo potrebbe significare che da qualche parte esiste una donna nota a tutti come Francesca che sta avendo i comportamenti e le percezioni di un'adolescente chiamata Elisa.»

    «Si farebbe licenziare dopo cinque minuti. E non voglio sapere come se la passano gli uomini che la incontrano», valutò Francesca.

    «In fondo tu sai di chi si tratta. E se hai le sue percezioni sai se si trova male o no. Pare di no. Forse si è adeguata come stai facendo tu. In pratica vi conoscete benissimo senza esservi mai incontrate.»

    Francesca valutò quelle parole con attenzione.

    «E' più che comunicare. Io sento sapori, talvolta odori, poco ma capitano anche suoni. Ho memorie di fatti importanti. Io non sono Elisa che ascolta qualcun altro. Io sono lei, o sarò, o sono stata. Cosa dicono questi campi?»

    Letizia alzò di spalle.

    «Nulla. Che ci sono. Nessuno li prese sul serio, anche dimostrarli non è facile. Non ti salveranno dal Punto M.»

    Francesca roteò gli occhi al cielo. Letizia aveva creato una serie di teorie e lessico pseudo-scientifico, ispirata forse dai cartoni animati di cui era appassionata. Il Punto M era un calcolo semplice. Se Elisa aveva 17 anni e Francesca 40, Francesca sarebbe morta prima. Cosa ne sarebbe stato di Elisa, a quel punto? Sarebbe morta anche lei? Avrebbe sperimentato l'aldilà? Avrebbe avuto vuoti e buchi dove prima stava Francesca? Il Punto M era una congettura affascinante, ma pur sempre un argomento teorico che non si poteva verificare.

    Si udì il suono della campanella di rientro. Letizia si alzò, stava per chiedere alla compagna di seguirla, ma non le parve il caso. Corse nella pioggia verso l'edificio scolastico senza voltarsi. Francesca, dal canto suo, teneva lo sguardo al profilo del centro metropolitano, che a quella distanza e nella foschia umida sembrava edificato sopra nuvole basse.

    E se fosse morto prima il corpo di Elisa? Cosa ne sarebbe stato di quelle coscienze condivise? I ricordi che aveva accumulato come Elisa si sarebbero dispersi e lei si sarebbe trovata nella realtà completa di Francesca?

    Pensò a molti scenari. Li pensò anche per il resto delle lezioni.

    Nel tragitto di ritorno a casa telefonò altre due volte cercando il numero di NVP, aggiornò la rubrica con un niente di fatto e si tradusse in camera, evitando dialoghi impegnativi. Elisa teneva lo zaino presso lo scrivania, dove aveva ammonticchiato anche una ridda di pupazzi. Elisa si toglieva le scarpe, andava in bagno, si legava i capelli, addentava uno snack per celiaci. Così faceva Francesca. Che si chiese quando avrebbe potuto buttare via i pupazzi, quando poter usare la sua borsa invece di uno zaino, quando sarebbe giunto il tempo di apericena coi colleghi di ufficio e infine quando avrebbe potuto smetterla con quelle ginniche e portare scarpe come le piacevano davvero.

    Sdraiata infine sul letto abbracciò svariate considerazioni, ingenerate da quella novità dei campi morfogenici. Immaginò il proprio cervello come una radio ricevente, sintonizzata su un canale che veniva da altrove, nel tempo e nello spazio. Immaginò poi la sua anima, quella di Francesca, prigioniera in un burattino di altre sembianze. Erano pensieri lugubri. Si destò ritta per un dettaglio che aveva notato e che le raggelò il sangue. Era entrato qualcuno, nonostante sbrigasse da sola tutte le faccende e non c'era bisogno di interventi, e quel qualcuno aveva forzato il cassetto della scrivania. Lo teneva sigillato per ulteriore sicurezza grazie a un sistema di perni che si inserivano da sotto, invisibili se non andandoli a cercare. Il qualcuno aveva strappato via i perni.

    Francesca avvertì proprio in quel momento il brivido di un tocco che le sfiorava il ventre e scendeva verso le gambe. «Non adesso, per piacere», bisbigliò. I brividi si acuivano, le giravano su vertici delle forme, qualcuno ovunque fosse nel tempo e nello spazio stava iniziando i preliminari.

    Si negò altre due volte, ma l'impulso non voleva affievolirsi.

    Con uno sbuffo Francesca si buttò sul letto e lasciò fare. Aveva sviluppato alcune tecniche

    Enjoying the preview?
    Page 1 of 1