Astaroth Genesi delle ombre
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Un oggetto misterioso si cela negli inferi, sapientemente occultato dal volere di Lucifero, tale oggetto nasconde un potere immenso e bramato dall'unica classe di demoni che l'angelo caduto teme da tempi immemori.
Quale segreto alberga in tale reliquia? Chi lo cerca e per quale motivo?
Hell kaiser Vol 3. la genesi delle ombre, è il penultimo episodio della saga: la fitta rete di mistero sta per dipanarsi.
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Astaroth Genesi delle ombre - Alessandro Falzani
Altre opere dell'autore:
Hell Kaiser saga Vol 1 - Lorian, l'alleanza dei caduti
Hell Kaiser saga Vol 2 - Baal, l'apocalisse di Salomone
Glenvion Saga Vol 1- La Matrice
Glenvion Saga Vol 2 - La Prigione di Sefrin
Glenvion Saga Vol 3 - L'ultimo Custode
Pactum Sigilli
Memoria (racconto breve)
ASTAROTH
GENESI DELLE OMBRE
Hell Kaiser Vol 3
Alessandro Falzani
Capitolo 1
Salì lentamente i gradini di marmo bianco, fiori di ogni tipo giacevano ai lati della gradinata, che lenta e inesorabile si alzava davanti a lui per decine di metri. Il suo volto si rifletteva sulla superficie liscia, meravigliandosi ancora del suo aspetto, così diverso, dopo tutto quel tempo. Ascoltava il rumore secco e deciso delle suole che toccavano la pietra lavorata, rompendo la coltre di delicato silenzio che si era insinuata in quel luogo, così prossimo alla fine, solo alcuni decenni prima. Sebbene non lo amasse o forse si rifiutasse semplicemente di farlo, ora ne faceva parte: era casa sua.
Il prato rigoglioso ai lati della scalinata lo accompagnava nella ripida salita, alberi da poco nati parevano esemplari secolari dalla lunga vita, ansiosi di narrare la loro esistenza; le rose coprivano come un manto rosso l'intero verdeggiare e come grandi pozze di sangue si erano distribuite qua e la, casualmente, formando famiglie più o meno grandi; la rugiada cadeva di petalo in petalo, in un sinuoso gioco di gravità, le gocce d'acqua cristallina scendevano dalla superficie rotondeggiante per scivolare su quella sotto. Le osservava a centinaia compiere la medesima azione.
Vicino al suo stivale una rosa bianca, fiore assai raro e di inestimabile bellezza, era solo in quel vasto pavimento rosso; ogni tanto ne incontrava una, era particolarmente fortunato in questo, più degli altri, persino più degli angeli. La colse con garbo, sapeva che lui lo avrebbe certamente gradito, ben si sarebbe intonato con la sua veste bianca. Riprese a salire e poco dopo la soave melodia di una lira lo punse all'orecchio: odiava la musica e non riusciva ancora ad ammettere che fosse proprio uno di loro a crearla.
Tuttavia non poteva negare che fosse bravo, i tempi e gli accordi erano migliorati parecchio, le corde pizzicate con pacatezza, doti che sino a pochi anni prima erano all'esecutore assolutamente sconosciute.
Sollevò il piede per l'ultimo gradino, una luce bianca gli inondò il viso con tale forza da doversi parare gli occhi, non era ancora riuscito ad abituare l'iride, sebbene non fosse la prima volta che gli facesse visita. Attese alcuni secondi, le dita sfilarono davanti ai suoi occhi allungati, le lunghe ciglia sfiorarono le unghie appuntite: le aveva conservate così, per nessun motivo le avrebbe tagliate. Quando la vista tornò, i suoi occhi restituirono l'immagine di un uomo snello e alto, seduto su una panca di marmo bianco, una lira splendente delicatamente tenuta tra le mani, una morbida coda di cavallo nera scivolava sulla spalla, contrastando con lo splendido biancore in cui giaceva.
Ai suoi lati e a terra sedevano eleganti figure femminili, ascoltavano estasiate la dolce melodia della lira, avevano occhi solo per lui.
«Hai fatto progressi, Adranelech!» disse la figura giunta alla sommità della scalinata.
«Un apprezzamento! A cosa devo tanta benevolenza, Belfagor?»
«Nulla, semplicemente sei diventato bravo, odio doverlo ammettere, ma almeno in questo...», Belfagor indicò la lira.
«Non che vi sia altro da fare, qui, dunque...» rispose Adranelech, accennando un malizioso sorriso, poi riprese a suonare.
Belfagor gli mostrò la rosa bianca, lasciandola volteggiare tra i polpastrelli, l'altro accennò con gli occhi, indirizzandolo verso una ninfa. Belfagor raccolse il suggerimento, adagiò il fiore tra i capelli biondi di una donna, questa, in risposta gli regalò uno splendido sorriso. Egli ammiccò, mentre i suoi pensieri corsero velocemente verso altre direzioni, lei lesse la sua mente, arrossì e si voltò verso l'altro, il quale aveva un vistoso sorriso stampato sul volto.
«Sei il solito, Belfagor! Non hai ancora capito che queste ninfe sono pure e caste, esse non concepiscono i peccati, conoscono solo la musica, la quiete e la preghiera.»
Belfagor lanciò una smorfia di sufficienza all'amico, ripensò a quelle parole: musica, preghiera, castità. E pensare che sino a poco prima erano esattamente le cose che disprezzavano e che combattevano, loro: i demoni ombra. Egli si era sforzato di cambiare, ci aveva provato davvero, nei modi e nelle parole, nell'abbigliamento e nello sguardo, diventare un angelo così, all'improvviso, lo aveva spiazzato, o peggio, lo aveva intimorito. Cambiare ogni cosa, capovolgere i valori in cui credere, proteggere ciò che un tempo si è combattuto, vivere un'esistenza infinita nella più completa pace e spensieratezza; non riusciva a farsene un'idea e tutto gli pareva ancora troppo sbiadito.
Quella volta era lì per parlargli con fermezza, per esprimergli le sue preoccupazioni.
Spostò con modi poco cavallereschi la ninfa seduta alla destra dell'amico, si sedette accanto a lui, Adranelech continuava a suonare come se nulla fosse. Restarono in silenzio alcuni minuti, Belfagor digrignò i denti, per un attimo affiorò un canino lucente dalle labbra sottili e violacee, Adranelech interruppe la dolce melodia in modo brusco.
«Vi chiedo di andare, dolci ninfe, io e il mio amico abbiamo qualcosa da dirci» aggiunse, guardando dolcemente negli occhi le figure attorno a lui. Le donne si alzarono silenziose e diressero verso la gradinata, scendendo in fila indiana, senza produrre il minimo rumore. Quando l'ultima coda di cavallo color rame tramontò alla loro vista, Adranelech posò la lira con delicatezza rivolgendo uno sguardo interlocutorio all'altro.
«Avanti, cosa ti turba?»
Belfagor distolse lo sguardo, raccolse la rosa bianca che era caduta a terra.
«Nulla, nulla in particolare, è solo che... io non riesco ad abituarmi a tutto questo, è più forte di me.»
«Questo lo so già, ormai sono decine di anni terrestri che viviamo in questa nuova condizione e comprendo che ognuno di noi è diverso, profondamente diverso. Tuttavia non è solo questo a turbarti, vero?»
Belfagor strinse la rosa nel pugno, le spine aguzze penetrarono le sue carni senza che egli esprimesse il minimo fastidio, osservò le gocce di sangue scivolare lungo il mignolo e cadere quasi ritmicamente a terra, sino a quando una discreta macchia rossa lucente risaltò nell'immenso biancore.
«Mi manca... questo, fratello. Puoi anche smettere di fingere e di chiamarmi amico, la nostra natura è la stessa, il nostro credo sempre uguale, la fame di sangue in me stenta ad essere trattenuta. Lo so che è così anche per te, puoi fingere finché vuoi, ma io non credo alla tua conversione, non credo alla mia e non credo a quelle degli altri.»
«Sei libero di esprimere il tuo pensiero, nessuno te lo vieta...»
La mano di Belfagor si scagliò sulla lira, con un gesto di rabbia incontrollato la fece cadere a metri di distanza, questa si frantumò in diversi pezzi, tenuti insieme solo dalle esili corde che avevano prodotto la dolce melodia.
«Belfagor, stai abusando della mia pazienza, io non ho mai cercato di mutare il tuo pensiero, ti ho rispettato, compreso e ti sono rimasto accanto, ma il tuo atteggiamento si sta orientando in qualcosa che non ti conviene portare avanti!»
Belfagor si alzò, sfidandolo con gli occhi, «non aspetto altro, fratello. E prima o poi ti rivelerai per quello che sei, siamo nati per fare una sola cosa, l'unica che ci accomuna, mi chiedo quanto ancora resisterai in quelle stupide vesti.»
«Taci, taci. Lucifero non concede che si faccia uso di poteri e che si sparga sangue, altrimenti...»
«Altrimenti cosa? Dimmi? Che cosa?» lo interrogò malizioso Belfagor.
Adranelech restò in silenzio, strinse le labbra e andò verso la lira, ne raccolse i pezzi, si morse il palmo della mano, lasciando