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IL Raggio Spezzato
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IL Raggio Spezzato

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About this ebook

Britannia, I secolo d.C.
La nascita di Aneirin, figlio del comandante iceno Gawain, viene salutata da un raggio di sole che si spezza improvvisamente, come un fosco presagio sul suo destino.
Reso orfano e fatto schiavo dai Romani, a soli sette anni si trova costretto a combattere per affermare la sua dignità di essere umano.
La sua sorte migliora dopo l’incontro con Alun - anch’egli Iceno -, giovane liberto del potente Senatore romano Gaio. Aneirin riscopre l’amicizia, e trova l’amore in Giulia - un amore contrastato perché la ragazza è figlia di un nobile.
Il suo desiderio di libertà si intreccia con la lotta per far trionfare i suoi sentimenti. La chiave di volta potrebbe essere Luca, il figlio illegittimo di Gaio, scomparso nel nulla alcuni anni prima?
LanguageItaliano
Release dateNov 5, 2015
ISBN9788869820809
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    IL Raggio Spezzato - MIRKO CIMINIELLO

    CONCLUSIONE

    PROLOGO

    La carovana avanzava, lentamente ma incessantemente, ormai da ore attraverso il fitto bosco della Britannia. Gawain era sempre alla testa della carovana, in groppa al suo destriero dal pelo folto e nero come la notte. Come gli era stato ordinato dai Druidi.

    Il silenzio della foresta era rotto solo dalle litanie cantate dai sacerdoti e intonate dal resto del popolo e, a volte, da alcune urla di dolore di Meinwen, la moglie di Gawain, che facevano rabbrividire il possente comandante.

    Tuttavia, egli non osava voltarsi e andarla a visitare: temeva che, se avesse contravvenuto agli ordini dei Druidi, gli dèi avrebbero potuto vendicarsi sul figlio che Meinwen stava per generargli.

    Perciò continuava a sperare nelle attenzioni delle levatrici e nel buon favore di Tuatha, la dea madre degli Iceni, e di Dagda, il dio padre.

    Si rese conto che stava tremando dalla paura. Non gli era mai capitato. Più volte aveva condotto il suo popolo in guerra contro i nemici britannici, e mai aveva provato alcun timore.

    Ma ora che suo figlio, il suo primogenito, stava per nascere, si sentiva sperduto come un fanciullo che muove i suoi primi passi verso un mondo che gli è ancora ignoto.

    Era sicuro che fosse un maschio, ed era sicuro che avrebbe ereditato la sua forza, il suo coraggio, le sue capacità politiche e militari. Gawain era il più forte, coraggioso e rispettato di tutti gli Iceni, e perfino il Re Prasutago sembrava avere un certo timore reverenziale nei suoi confronti, quasi che il sovrano fosse stato in realtà Gawain.

    Solo l’autorità dei Druidi era superiore alla sua. Perciò, anche se malvolentieri, aveva dovuto obbedire quando i sacerdoti gli avevano imposto di non far nascere il fanciullo nel suo villaggio perché le stelle avevano scelto un luogo più propizio.

    Tutti volevano assistere alla nascita del figlio di Gawain, e tutti, quando avevano saputo che Meinwen stava per partorire, avevano deciso di partire con il loro comandante e con i sacerdoti.

    Più il tempo passava, e più Gawain si sentiva nervoso, irrequieto, impaziente. Temeva che suo figlio potesse nascere da un momento all’altro in mezzo alla foresta britannica, come se fosse stato un bastardo. Cosa avrebbero ordinato allora i Druidi?

    Non voleva neanche pensare all’ipotesi più terribile, che suo figlio potesse essere chiamato maledetto dagli dèi e, quindi…

    Scosse la testa, e riprese a pregare le sue divinità perché gli rimanessero favorevoli, come gli erano sempre state in guerra.

    Ma ora era sua moglie che stava combattendo la battaglia più importante della sua vita, e lui non poteva aiutarla.

    D’improvviso, i tronchi degli alberi iniziarono ad allargarsi, il fogliame divenne meno fitto, e la luce del sole, ormai quasi completamente circondato dalle nuvole, brillò più forte, accecando momentaneamente gli occhi dei Druidi. Una radura.

    I sacerdoti alzarono gli occhi al cielo, dove il sole fu presto ricoperto del tutto, e si volsero verso il comandante. Poi l’Arcidruido disse:

    - Ecco, soldato. Questo è il luogo che vedrà nascere tuo figlio -.

    Gawain rimase impassibile, né fece nulla per dissimulare il disprezzo che provava per quel sacerdote che ignorava ostentatamente il suo grado.

    Erano le due personalità più forti dell’intero popolo iceno, e perciò erano spesso in conflitto tra loro. Ma la vittoria arrideva sempre all’Arcidruido, per la maggiore autorità che possedeva presso il popolo, e che gli derivava dal semplice fatto di essere un Druido, prima ancora che il sommo sacerdote.

    Gawain distolse lo sguardo dalla figura del rivale, preferendo concentrarsi sull’imminente nascita del suo bambino.

    Meinwen fu portata al centro della radura e circondata dalle levatrici e dai Druidi, che senza sosta continuavano a pregare gli dèi.

    Gawain, smontato da cavallo, rimase ai margini della radura, in una perenne tensione che inutilmente tentava di smorzare arricciandosi i lunghi baffi biondi, e agitando delle braci con un ramo secco che aveva raccolto da terra.

    A ogni urlo di Meinwen gli si gelava il sangue, né valevano a nulla i tentativi che facevano i suoi amici per confortarlo e rassicurarlo.

    D’improvviso, la donna emise un grido ancora più forte degli altri. Poi ci fu silenzio per qualche attimo. Poi i gemiti di un neonato echeggiarono per la foresta.

    Gawain lasciò cadere fra le braci il ramo con cui stava cercando di distrarsi, e corse a vedere il figlio e a verificare le condizioni della moglie.

    Una levatrice, dopo aver messo in fasce il bambino, lo porse al comandante dicendo:

    - Complimenti, Gawain: è un maschio, e ti assomiglia molto, direi. Ha i capelli biondi come l’oro, e gli occhi azzurri come il cielo. Proprio come te -.

    Gawain, tremante di gioia e di commozione, prese delicatamente il neonato fra le sue possenti braccia, e lo cullò un po’, cercando di farlo smettere di piangere, ma invano.

    La levatrice, ridendo, chiese nuovamente il bambino a Gawain e, dopo averlo avuto di nuovo tra le sue braccia, riuscì subito a tranquillizzarlo e a farlo addormentare.

    Gawain continuò ad ammirarlo per qualche istante. Poi chiese di Meinwen.

    - È molto stanca - rispose la donna, - ha bisogno di molto riposo. Il parto è stato molto faticoso. Ma, ringraziando gli dèi, non ci sono state complicazioni di nessun genere -.

    Gawain tirò un sospiro di sollievo, e chiese nuovamente di poter prendere in braccio suo figlio.

    D’improvviso, la luce del sole squarciò le nuvole, e un raggio fortissimo illuminò il volto del bambino, che si svegliò.

    Gawain sollevò in aria il piccolo e gridò:

    - Guardate, forze della natura! Ascoltate, divinità celesti! Il sole e le nuvole, il vento, il lampo e il tuono mi siano testimoni! Questo è mio figlio! Aneirin! -

    Grida di giubilo e di gioia accompagnarono le ultime parole del comandante, mentre il raggio di sole ancora indugiava sul volto del bambino.

    D’improvviso, però, le nuvole oscurarono di nuovo il sole, e fu come se il raggio d’oro si spezzasse.

    Il panico si dipinse sui volti dei sacerdoti, e lo stupore su quelli del popolo. Cosa voleva significare, per il destino di Aneirin, quel raggio spezzato?

    Parte prima

    Non ho paura di affrontarti, benché nudo e disarmato

    I.

    "NUNC TERMINUS BRITANNIAE PATET

    ¹"

    Anno 805 ab Urbe condita².

    Nella parte sudoccidentale dell’antica provincia della Britannia, a nord del municipio di Verulamio, un bambino di sette anni correva felice fra i prati erbosi e le verdi vallate della regione, e l’eco della sua risata argentina si diffondeva attraverso il suo villaggio come una tenue e delicata armonia.

    - Ani, fermati! Aspettaci, per favore! Aneirin! -

    Dietro di lui venivano altri cinque bambini, la cui età era compresa fra i sei e i nove anni. Ma nessuno di loro riusciva ad eguagliare la velocità del figlio di Gawain, né la sua forza o la sua intelligenza.

    Suo padre, il capo dell’esercito degli Iceni, era fiero di lui. Il bambino stava crescendo esattamente come Gawain aveva sempre sperato e desiderato.

    Ma anche sua moglie, Meinwen, era contenta del piccolo. Educato, studioso, rispettoso e devoto agli dèi iceni e alla memoria degli antenati, Aneirin possedeva anche una sensibilità considerata fuori dal normale, e molti erano convinti che, in un futuro non lontano, sarebbe potuto divenire un Druido.

    Ne era convinto anche l’Arcidruido che era stato eletto due anni prima, alla morte del rivale di Gawain.

    - Aneirin - aveva detto al comandante, - sembra poter comunicare direttamente con le forze della natura, con il caldo sole, con la pioggia scrosciante, con il vento impetuoso! Io sono convinto che nel Wyrd³ sia già stato prescritto che un destino di gloria attende il fanciullo, se riuscirà a giungere all’età adulta -.

    Se riuscirà a giungere all’età adulta… sospirava Gawain serrando gli occhi. Poi, quando li riapriva, dirigeva lo sguardo lontano, oltre il suo bosco, all’interno delle mura che proteggevano il municipio di Verulamio, dove si annidava la sola minaccia che incombeva sul capo di Aneirin, sul capo di un fanciullo dalla salute di ferro, a cui la rigida struttura patriarcale della società degli Iceni - di cui Gawain occupava uno dei vertici più alti - garantiva la sicurezza contro possibili complotti ai danni del comandante e della sua famiglia. Ma non contro i desideri espansionistici dell’Impero Romano.

    Benché gli Iceni considerassero la guerra quasi come un piacevole passatempo, volto a mantenere attivi i propri nobili e, nel contempo, a procurarsi ingenti ricchezze dagli sconfitti, erano tuttavia restii a uccidere senza motivo, dal momento che i Druidi, tra le altre cose, predicavano il rispetto della vita universale, la tolleranza, l’ospitalità, l’altruismo, l’amore fraterno, lo spirito di unità.

    Inoltre gli Iceni conoscevano bene la forza dei Romani, e perciò avrebbero preferito evitare lo scontro diretto.

    Ma il Legato della Britannia, Ostorio Scapula, sembrava star progettando un attacco nei confronti del popolo iceno entro breve tempo, e Gawain non aveva nessuna intenzione di farsi cogliere di sorpresa.

    Era sicuro che i Romani avrebbero attaccato, prima o poi, e già da tempo si stava dando da fare per preparare al meglio i suoi uomini e organizzare strategie che potessero risultare vincenti.

    Il vicus, il semplice villaggio, era stato trasformato in un oppidum, una piazzaforte, per metà fortezza e per metà villaggio, adibito a rifugio temporaneo per la popolazione nei periodi di crisi. In pratica, l’oppidum era una sorta di recinto fortificato, posto sulla sommità di una ripida collina, da dove era più semplice organizzare una difesa.

    Da parte sua, Scapula non si preoccupava così tanto, dal momento che era convinto che gli Iceni fossero solo un popolo barbaro e primitivo: sarebbe stato facile spazzarli via e annettere un altro territorio al dominio di Roma.

    Intanto, però, temporeggiava, anche perché i suoi soldati, dopo aver combattuto a lungo, avevano bisogno di riposo. Molti, sicuri che alla fine della guerra si sarebbero stabiliti in quei luoghi, avevano anche fatto venire dall’Italia le loro famiglie, e ciò aveva anche favorito, per un certo periodo, degli interscambi tra Iceni e Romani, in particolare tra i bambini.

    Aneirin, per esempio, aveva fatto amicizia con alcuni fanciulli romani, e stava imparando la lingua e i costumi dei Latini, così come i suoi nuovi compagni di giochi stavano imparando quelli degli Iceni.

    C’erano anche bambini romani tra quelli che vanamente inseguivano Aneirin tra le valli dell’antica Britannia. Non sapevano che quella sarebbe stata l’ultima volta che Romani e Iceni avrebbero potuto coabitare in pace.

    E venne il meriggio, e con esso il termine del gioco. Aneirin tornò a casa, un’abitazione a pianta ovale, tipica delle zone britanniche, con le pareti a palizzata di tronchi, uniti da graffe in ferro, ed imbiancate a calce. Presentava due pali portanti verticali, eretti lungo l’asse principale, a quattro metri l’uno dall’altro: sostenevano il trave di colmo principale, su cui era costruita tutta la struttura del tetto, il cui foro centrale costituiva, oltre alla porta, l’unica apertura della casa. Da esso usciva il fumo del focolare, che era ricavato al centro dell’abitazione, in una piccola alcova, e non restava mai spento, essendo al contempo fonte di calore e di luce.

    Una volta entrato, Aneirin si sedette su una delle due panche che si allungavano sui lati - e che di notte divenivano letti -, e stette per un po’ a guardare il fumo nerastro del focolare levarsi nell’aria e uscire dal foro sul tetto.

    Era tempo di mettersi a studiare. Suo padre era a casa, ed era lui il principale maestro del bambino. Erano le lezioni di vita quelle che Aneirin aveva presto imparato a riconoscere come le più importanti, oltre naturalmente agli insegnamenti dell’Arcidruido.

    Ma all’improvviso si sentì bussare in modo assai concitato. Gawain, incuriosito ma sospettoso come sempre, andò ad aprire con una certa cautela, e subito si trovò di fronte due soldati che, senza neppure lasciargli il tempo di meravigliarsi tanto dell’ora quanto dei modi bruschi e inusuali, gli chiesero di seguirli immediatamente, perché era accaduto un fatto gravissimo.

    A quel punto il comandante uscì dalla sua abitazione in tutta fretta, lasciando moglie e figlio in preda allo stupore e alla preoccupazione.

    Solo a sera, dopo il rientro di Gawain, sarebbero riusciti a sapere cosa era successo: quattro Iceni erano stati aggrediti all’improvviso e senza alcun motivo apparente dai soldati romani. Erano disarmati, ed anche abbastanza distanti dall’accampamento dei Romani. L’unico dei quattro che era sopravvissuto era corso ad avvertire gli altri Iceni di prepararsi alla battaglia, perché ormai era chiaro che i Romani avrebbero attaccato con l’intenzione di spazzare via tutto e tutti. Era la guerra.

    Meinwen scoppiò in lacrime nel sentire il marito pronunciare la parola guerra, come se avesse avuto il sentore che quella sarebbe stata la sua ultima battaglia.

    Lo pregò di non combattere. Tentò, come aveva fatto Andromaca con Ettore, di dissuaderlo facendogli pensare al destino che attendeva lei, che sarebbe presto rimasta vedova, e il loro unico figlio, che sarebbe cresciuto orfano, se anche fosse scampato alle spade dei Romani.

    Ma sapeva che Gawain era troppo orgoglioso per accettare di passare come un vile agli occhi del popolo iceno.

    Il comandante strinse forte a sé la moglie e poi abbracciò teneramente Aneirin, che aveva gli occhi inumiditi da lacrime che però il bambino si rifiutava ostinatamente di far scorrere sul volto. Poi, guardando il cielo già pieno di stelle, disse:

    - Se è un destino di morte quello che mi attende, lo accetterò, se dovesse servire per la salvezza del nostro popolo. Ma Voi, Dèi, concedete la vita e la libertà a mia moglie e a mio figlio! Fate che Aneirin cresca sano, forte e valoroso come me, sicché in futuro possa tornare da ogni battaglia in trionfo, portando le spoglie dei nemici che ha ucciso, onorato dalla gente che dirà: Neanche suo padre possedeva il suo coraggio! E fate che mia moglie possa allietare il suo cuore con le lodi che saranno rivolte alla prodezza di suo figlio! -

    Sapeva che i Romani erano più forti di tutti i popoli contro cui aveva combattuto in precedenza, ed anche lui sembrava presagire un destino di morte a cui, però, era ben deciso a opporsi in ogni modo possibile.

    Il giorno successivo convocò un’assemblea di tutte le autorità degli Iceni, per discutere della guerra imminente. Mentre stava per prendere la parola, giunse all’improvviso un uomo che disse di essere stato aggredito dai soldati romani insieme a due compagni. Fortunatamente erano riusciti a fuggire, ma si trattava di un altro segnale importante.

    Le provocazioni degli invasori continuavano. Il giorno precedente non si era trattato di un errore o di un fatto casuale ed isolato, come avevano auspicato alcuni. La guerra era sempre più vicina.

    Gawain prese la parola ed espose il suo piano e le sue strategie per la battaglia, ma aggiunse anche che i soldati romani erano più numerosi dei loro e che, se gli dèi non li avessero aiutati, probabilmente non ci sarebbe stato scampo per gli Iceni.

    Per tutto il giorno i Druidi, il Re Prasutago e le alte cariche dell’esercito iceno discussero il progetto del comandante, per giungere alla fine alla conclusione che nessuno di loro avrebbe potuto elaborare un piano più efficace, e che dunque conveniva lasciare carta bianca a Gawain, che fu dunque confermato comandante supremo dell’esercito.

    Quando il Re gli comunicò ufficialmente la conclusione a cui erano arrivati, Gawain rimase impassibile. Non solo se l’aspettava, ma gli parve anche una decisione dovuta. Non tradì la minima emozione. Guardò dritto negli occhi il Re e poi

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