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Dandy Day
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Ebook138 pages1 hour

Dandy Day

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About this ebook

Dandy Day è una cameriera sui pattini di trentacinque anni, con la fobia dell’impegno e lo spirito libero, che bazzica sempre sul pontile di Venice. Quando viene improvvisamente abbandonata dalla sua terapista, proprio quando stavano per capire il motivo per cui le sue relazioni non durano mai più di tre mesi, Dandy decide di prendere il comando della situazione e affrontare da sola i suoi problemi sentimentali. Con il riluttante aiuto del suo migliore amico di una vita, Simon, Dandy rintraccia i suoi ex uno dopo l’altro e compie delle autopsie relazionali per risolvere il mistero della sua travagliata vita sentimentale.       

LanguageItaliano
Release dateFeb 28, 2016
ISBN9781507125182
Dandy Day

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    4/5
    I received a copy of Dandy Day by Annie Wood in exchange for an honest review.

    Dandy Day – yes that is her real name – is 35 years old and as neurotic as anyone could ever be. She decides to find out what it is about her that makes none of her relationship work out for longer than three months and goes about interviewing her exes to find out where she went wrong.

    This was a very funny, short story, I could not help but like Dandy, even when she did not exactly have a “Dandy Day”… Her obsession with analyzing her emotions were a hoot, and even though she was overly analytical, it make the story very funny.

    Loved it!

Book preview

Dandy Day - Annie Wood

PARTE PRIMA

CAPITOLO 1

Dandy:

Mi trovo in mezzo a un campo, con le braccia protese. Tutto inizia con Robert Downey Jr, poi arriva Johnny Depp, seguito subito dopo da Colin Farrell, Bradley Cooper e infine Hugh Jackman. Cadono tutti su di me come pioggia dal cielo, ognuno di loro intrappolato in una singola goccia. Sento che posso farcela a prenderli tutti, a salvarli tutti, e quindi, così facendo, a salvare me stessa. Allungo le braccia, pronta a raccogliere gli uomini-goccia, ma qualcosa va tremendamente male. Sono molto più pesanti di quanto mi aspettassi, e scopro che le gocce sono in realtà di vetro. E davvero troppo pesanti per me, così sono costretta a lasciarle e a rimanere a guardare con orrore mentre si schiantano rumorosamente contro il suolo. Bradley, Hugh, Colin, tutti si frantumano in un milione di piccoli pezzi proprio davanti ai miei occhi. E solo perché non sono stata in grado di mantenerli.

Penso di mettermi a piangere, e invece...

Mi sveglio.

La sveglia parte con la stessa musica di sempre, I Know Something About Love. Sono un’amante dell’ironia. Il mio sogno ricorrente sulla pioggia di uomini non mi turba più, ormai. Ci ho fatto l’abitudine. Però c’è sempre un momento, mentre li vedo scivolarmi tra le mani, in cui mi rattristo profondamente. Mi rattristo perché so che è inevitabile.

Lo schianto.

I frantumi.

La fine.

Prendo la mia colazione, che consiste in una bottiglina di frappé al cioccolato, e mi metto i pattini. Mi ripropongo di provare un frappé alla fragola, qualche volta, giusto per dare una scossa alla mia esistenza. È un altro giorno di sole sul pontile del lungomare di Venice, e sono pronta a pattinare verso il mio incontro con la strizzacervelli. Perché mi sto facendo strizzare il cervello? Perché vivo a Los Angeles. È così che funziona qui. In più, la mia assicurazione sanitaria copre le spese, ed ero curiosa di scoprire su cosa stesse rimuginando il mio subconscio. Per lo più, sugli uomini. Amo gli uomini. Penso che anche loro mi amino, ma a quanto pare solo a piccoli sprazzi, poi PUFF! L’amore è scomparso. Sembra che non riesca ad avere una relazione duratura. Ho trentacinque anni. Mi piacerebbe davvero averne una che duri.

Per la maggior parte della mia vita ho vagato, esplorato, e mi sono divertita. Sono quello che viene definito uno ‘spirito libero’. Se adesso stessi parlando ad alta voce, avrei sicuramente fatto le virgolette con le dita, anche se sono contenta di non averle fatte, perché è plateale. (Ma le virgolette rimangono sottintese). Il fatto è che, per quanto io sappia che ‘spirito libero’ non è un insulto, in genere viene detto dopo che ho combinato qualcosa di veramente stupido, come per esempio innamorarmi di un tipo perché ha le sopracciglia ben disegnate, cadere in una piscina al coperto a un party super chic, oppure spiaccicarmi a terra mentre pattino sul pontile del lungomare. In effetti pare che io cada decisamente molto spesso. In ogni caso, so cosa loro intendono con ‘spirito libero’. Intendono: pazza, scatenata, ferma al primo sviluppo, eterna bambina, donnaccia. E forse hanno ragione. È che mi piace vivere secondo le mie regole, il che spiegherebbe perché non ho un vero lavoro. Okay, fare la cameriera è un vero lavoro, ma non nel modo in cui lo faccio io. Indosso i pattini per tutto il giorno, e il mio capo è un tipo hippie, così è raro che mi venga data la colpa per gli ordini che incasino e i piatti che rompo (e la frequenza di entrambi gli incidenti è alta). Pattinare mentre si mantengono in equilibrio piatti pieni di roba da mangiare non è la cosa più semplice da fare per gli imbranati come me; ma di sicuro non è nemmeno uno dei lavori più impegnativi. Trentacinque anni.

Mi piace ripetermi il numero in mente, qualche volta. Trentacinque, trentacinque, trentacinque, trentacinque. Lo ripeto per vedere se magari prende forma e diventa qualcosa di concreto. Che significato ha questo numero in particolare? Come avevo immaginato la mia vita a trentacinque anni? Non sono esattamente una donna di mezza età, a meno che non vivrò fino a settant’anni; in quel caso, starei esattamente a metà. Forse sono una donna di mezza età in questo momento! Però mio nonno ha novantacinque anni, e se ci arriverò anch’io vuol dire che attualmente sono appena una bambina. Mia madre è morta quando avevo otto anni, e questo significa che all’epoca aveva... trentacinque anni. Aspettate un attimo... Attualmente ho l’età che aveva mia madre quando è morta. Wow. 

Questo è probabilmente il motivo che mi ha inconsciamente spinta dall’analista prima del previsto, quest’anno. Il mio ‘vivere il momento’ mi ha trascinato fino a questo, di momento, che non è orribile, ma neanche un granché, a dire il vero. Lavoro con la mia migliore amica, Debbie, e vivo porta a porta con il mio migliore amico, Simon. Lavoro e passo il mio tempo sul pontile del lungomare di Venice. Vado a trovare mio nonno una volta alla settimana, ma a parte questo mi limito a... esistere. Quindi, o sono super spirituale o super pigra. La dottoressa Karen mi chiede sempre se sono felice. Io penso di essere felice, ma come posso esserne sicura?

Non sono infelice.

La felicità è l’assenza di infelicità?

Mi piacerebbe avere una relazione, qualcuno con cui condividere la mia vita.

Ma forse non è scritto nel mio destino.

La dottoressa Karen mi chiede che cosa provo ad avere trentacinque anni. Non so che significato dovrebbe avere la mia età, ma so che è importante saperlo, perché la gente parla sempre di quanto sia vecchia, di quanto sia giovane, di quanto tempo pensano di avere ancora a disposizione per fare tutte le cose che avrebbero ‘già dovuto iniziare a fare’. A me i numeri stancano. C’è troppa paura e preoccupazione dietro tutti questi ragionamenti. Perché non ci limitiamo semplicemente a vivere le nostre vite, a divertirci, magari a fare qualche buona azione qui e lì e a dimenticarci il numero che viene dopo il nostro nome? Quel numero oh-così-importante domina sempre la scena. Ogni volta che leggo un articolo in qualche rivista, la storia inizia sempre con un elenco di nomi di persone subito seguiti dalla loro età. Blanche Smith, 47 anni. Richard Donner, 23. Stella Burnside, 59. Ma perché? Perché piuttosto non inseriscono qualche informazione utile, tipo: Blanche Smith, detestabile narcisista; Richard Donner, bugiardo patologico; Stella Burnside, avida cacciatrice di dote. Queste informazioni forniscono un quadro decisamente più interessante rispetto a un paio di stupidi numeri. 

Ehi, Dandy! Hai fatto di nuovo tardi? mi urla Simon dalla sua finestra.

La coerenza prima di tutto! gli grido in risposta.

Io e Simon comunichiamo spesso così, a suon di grida. È il mio migliore amico da quando avevamo undici anni e vivevamo nella San Fernando Valley. È la spalla su cui piansi quando mio nonno  venne a prendermi a scuola, quel giorno. Piangeva tanto mentre cercava di spiegarmi dell’incidente. Non avevo mai visto un adulto piangere, fino a quel momento. Fu orribile. Appena mi disse della morte di mia madre, sua figlia, ricordo che avvolsi con le mie braccia le sue spalle di sopravvissuto e gli dissi che sarebbe andato tutto bene. Mio padre era scappato di casa quando ero piccola, e ora anche la mamma se n’era andata, e mia nonna era morta prima che fossi nata. Eravamo rimasti solo io e il nonno. Non piansi finché Simon non venne a casa a giocare. Non sapeva cosa fare, ma mi permise di abbracciarlo mentre piangevo, e ricordo che mi accarezzò la testa un paio di volte. Mi sentivo così vicina a Simon, in quel momento; anche se eravamo solo dei bambini, mi ritrovai a pensare ‘per favore, non abbandonarmi mai’. E fortuna ha voluto che Simon sia l’unico uomo, a parte il nonno, che non mi ha mai abbandonato. 

Anche Simon ha trentacinque anni, ma non sembra che la cosa lo preoccupi. Non si è mai sposato e non ha pianificato praticamente nulla della sua vita. Fa il barista in un fantastico locale storico di Venice, Da Zane. Era uno spaccio clandestino di alcolici, negli anni ’20. Ah, gli anni ’20. Ho sempre avuto

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