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L'economia dei suicidi: Piccoli imprenditori in crisi
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L'economia dei suicidi: Piccoli imprenditori in crisi

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La crisi ha portato alla luce un disagio economico che ha colpito e colpisce le piccole imprese e di conseguenza i piccoli imprenditori che, in alcuni casi, trovano nel suicidio l’espressione estrema di reazione alle difficoltà economiche.

L’autore invita la comunità sociale ed economica a mobilitarsi per offrire iniziative di sostegno agli imprenditori tramite l’aiuto economico e l’ascolto: un sostegno indispensabile che coinvolge le Istituzioni con la creazione anche di fondi antisuicidi.

Prefazione di Giancarlo Maria Bregantini, Vescovo di Campobasso-Bojano e Presidente della Commissione C.E.I. sui problemi sociali e del lavoro
LanguageItaliano
Release dateNov 4, 2015
ISBN9788865124451
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    Book preview

    L'economia dei suicidi - Giuseppe Bortolussi

    Presentazione

    Fa onore essere chiamati e sollecitati a presentare libri come questo di Giuseppe Bortolussi; L’economia dei suicidi. Piccoli imprenditori in crisi.

    È infatti un testo molto documentato, con cifre ed analisi puntuali ed attualissime. È solido nell’analisi del fenomeno drammatico dei suicidi degli imprenditori, su cui compie una coinvolgente ed appassionata riflessione che ci pone tutti in verifica. È poi puntuale, perché il dramma ci sta interpellando con la forza di un terremoto che spaventosamente travolge tutta la società.

    Ed è fondativamente etico, perciò mi chiama in questione anche nel mio ruolo di Vescovo che presiede la commissione episcopale della CEI sui temi del lavoro e del creato, oltre che di Pastore della Chiesa di Campobasso-Bojano, che questi drammi è chiamato ad affrontare ogni giorno sempre di più. Grazie quindi al direttore Bortolussi.

    La tesi del libro, infatti, ben condotta da chi di queste cose se ne intende per lunghi e precisi studi, è lucida: i suicidi dei piccoli e medi imprenditori altro non sono che la punta dell’iceberg, cioè l’emergere violento di una crisi che ci sta travolgendo tutti, se non sappiamo affrontarla con la forza della fede e della speranza. Questa forza si esprime nella subitanea solidale attenzione e prossimità verso chi vive la precarietà finanziaria, alla guida di una azienda piccola, ma bella, perché costruita con fatica, in anni di sacrificio e di impegno, spesso coinvolgendo tutta la sua famiglia e il paese che lo guardava con stima.

    La Crisi, invece, scompone tutta questa rete positiva e pone tutto in discussione.

    La zona di studio è il Veneto. Ma lo è solo per poter dare all’argomentazione quella certezza fondativa che esige la chiarezza metodologica dell’argomento. Perché subito il lettore si accorge che, mentre si studia il Veneto, si intravede il dramma di ogni altra regione italiana. Soprattutto quelle del Sud, dove da sempre opero, come vescovo, an- ch’io interpellato proprio come pastore, davanti a questi drammi sociali e familiari.

    La crisi sta sullo sfondo. È ben analizzata e descritta, con rapide ma succose pennellate nei capitoli iniziali. Ma si pone subito come evento che richiede una riflessione specifica, di ampio respiro, come quello religioso e spirituale.

    Spesso ne parlo, soprattutto con i giovani. Ne ascolto i drammi conseguenti. E quindi mi pongo davanti ad essa come si poneva il credente ebreo davanti al dramma dell’esilio: Perché il Signore ha permesso questa deportazione, questo sradicamento, questa perdita di ogni cosa? Quanto durerà? E nel frattempo, come gestire il quotidiano?

    Il profeta Geremia, in una celebre lettera agli esuli di Babilonia, ci restituisce una risposta meravigliosa e concretissima, che cito, perché è il diretto riflesso spirituale alle serrate analisi di Bortolussi.

    Scrive infatti il profeta: Costruite case ed abitatele, piantate orti e mangiatene i frutti; prendete mogli e mettete al mondo figli e figlie. Moltiplicatevi lì e non diminuite. Cercate il benessere del paese in cui vi ho fatto deportare. Pregate il Signore per esso, perché dal suo benessere dipende il vostro benessere! (Geremia 29, 4-7).

    Questa è infatti la risposta che il libro sollecita: una visione di speranza che i suicidi rischiano di cancellare e diminuire.

    Per far ciò, il testo evidenzia due strade di risposta: quella economica e quella relazionale. Intrecciate.

    Su quella economica, non mi trattengo. Perché le cifre, i dati, le tabelle parlano chiaro e lucida ne è la lettura. Del resto, è mille volte analizzata in tanti studi, tutti necessari. Ma che poi debbono sfociare in quella seconda parte che il libro mette in bella luce: la necessità di una accresciuta prossimità verso chi è in crisi, nelle piccole ma preziosissime realtà imprenditoriali di cui l’Italia è ricca ed intessuta.

    Se si arriva alla fase estrema di togliersi la vita, infatti, è per una serie maledetta di concause negative: l’orgoglio ferito, il veder falliti anni di sacrificio, il senso di inutilità, il vuoto esistenziale che questo nostro tempo coltiva, la paura del futuro. Ma tutto questo ha un nome tristissimo: la solitudine.

    Per questo, dopo un’analisi chiarissima, ecco le due proposte che sono le risposte da suscitare nel cammino sociale e comunitario delle nostre parrocchie, paesi e città.

    Una rete di assistenza tecnica che permetta a chi è nella crisi di avere immediate risposte economiche dirette. Ma questo richiede una nuova concezione delle Banche che non siano impostate sul patrimonio, ma sulle idee. Dalla mia dura esperienza diretta, infatti, noto nel parlare con i dirigenti di banca una freddezza calcolatrice ed una durezza relazionale simile a certi controllori dei biglietti sul treno: nessun tono compartecipato, solo indice di condanna, freddezza nelle risposte, voluto senso di giudizio di colpevolezza. Senza invece capire che i caduti d’impresa sono nostri eroi, silenziosi ma preziosissimi. Sono quelli che sostengono con rete solidale la nostra economia nei piccoli paesi. Sono coloro che vanno aiutati perché, se franano le piccole imprese, franeranno anche le grandi banche. Sono infatti i piccoli che salvano i grandi, non il contrario.

    Questo è il nocciolo etico della questione, che il libro solleva, spingendo tutti noi ad operare con prossimità verso ogni fratello in difficoltà. Non si tratta infatti, nell’aiutare un imprenditore in fatica, di fare del buonismo facile, ma di avere la consapevolezza che quel gesto viene subito restituito. Ha una ricaduta sociale per tutti! Una prossimità che si fa rifondazione sociale: piantate orti e mangiatene i frutti!

    Aveva ben ragione la piccola indomita Madre Teresa di Calcutta: il grande male dell’Occidente è l’indifferenza!

    È contro l’indifferenza e l’anonimato che si rivolge questo bel libro.

    Auguro che inquieti tanti di noi, che ci ponga nel cuore la voglia di quella prossimità del Buon Samaritano che salva il ferito caduto nelle spire negative della finanza pungente: e si prese cura di lui!

    Questo è l’obiettivo del libro: prendersi cura della crisi dell’altro, come unica strada per risolvere la nostra personale crisi diretta.

    Grazie a Giuseppe Bortolussi e grazie alla Marcianum Press. Ed un saluto alla città di Venezia, che ricordo con passione, essendo stato operaio nelle fabbriche della Fertilizzanti di Porto Marghera, negli anni esaltanti dell’esperienza dei preti Operai.

    Con stima.

    + GIANCARLO MARIA BREGANTINI

    Vescovo di Campobasso-Bojano

    Prefazione

    Questo libro vuole celebrare quelli che per noi sono i piccoli eroi del quotidiano ma che spesso, per la opinione pubblica, sembrano essere i perdenti dell’economia. Sono tutti quei piccoli imprenditori che hanno avuto il coraggio, a volte estremo, di affrontare a viso aperto i problemi. Molti hanno vinto, qualcuno, sicuramente troppi, hanno perso, ma a tutti va il riconoscimento di aver segnalato il malessere imprenditoriale del nostro paese. Forse, anche grazie a questo, molti imprenditori ora possono ancora vivere l’attività d’impresa e speriamo tra poco poter dire di avere vinto.

    Ci sono i caduti di guerra e i caduti sul lavoro. Questo libro vuole essere un monumento virtuale ai caduti d’impresa.

    Spesso, parlando di piccola impresa, si sente dire che gli imprenditori, per primi, devono fare la propria parte per il paese, devono mettersi insieme per competere, mentre a nostro avviso è il Paese, in questo momento, che deve cambiare per mettere ognuno in condizione di fare impresa. In Europa questo lo hanno capito: i primi due punti dello Small Business Act1, per creare condizioni di concorrenza paritarie per le PMI e migliorare il contesto giuridico e amministrativo nell’intera UE, dicono che è necessario:

    1. Dar vita a un contesto in cui imprenditori e imprese familiari possano prosperare e che sia gratificante per lo spirito imprenditoriale.

    2. Far sì che imprenditori onesti, che abbiano sperimentato l’insolvenza, ottengano rapidamente una seconda possibilità.

    La realtà dei fatti ci dice che questo, in Italia oggi non si verifica.

    Non e vero che i suicidi degli imprenditori sono solo eventi personali, riflettiamo e capiamo se non siamo un po’ tutti responsabili, perché sono eventi che derivano anche dal fatto che in Italia le condizioni per fare impresa sono ormai al limite del possibile.

    Dove, in quale paese, l’energia si paga il 40% in più del resto d’Europa? Dove si pagano i trasporti

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