CODICE ROSSO. Sanità tra sperperi, politica e 'ndrangheta
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E sono vere e proprie trivelle le penne dei due attenti giornalisti calabresi, Arcangelo Badolati e Attilio Sabato, che scavano in un sistema putrido e putrescente e ne tirano fuori esalazioni nocive e mortifere che fanno rabbrividire. C’è di tutto nel sistema sanitario calabrese: ruberie, sprechi indicibili, conclamati sistemi clientelari, infiltrazioni mafiose strategiche, ritardi inspiegabili, immobilismo atavico, ospedali fatiscenti, disinteresse e disattenzione e tante, forse troppe, morti in corsia.
La Sanità calabrese è da sempre un pozzo senza fondo che consuma tre quarti del bilancio regionale e spende più della metà di quanto incassa. È un sistema rimasto imbrigliato nelle maglie di una politica pasticciona che ha inaugurato ospedali mai aperti e strutture mai utilizzate. Un pianeta diventato appannaggio dei partiti che ne controllano la gestione attraverso l’occupazione sistematica delle aziende diventate vere e proprie “fabbriche del consenso”.
L’inferno.
Che la “rivoluzione copernicana” attuata negli ultimi anni con il “piano di rientro” ha reso ancora più infuocato. Una cura dimagrante che ha dimezzato reparti, ha tagliato posti letto, ha prodotto una forte emigrazione sanitaria nel mentre le risorse per migliorare gli ospedali fatiscenti si sbriciolano e sbrindellano in ogni dove.
E poi quegli ospedali vengono chiusi o ridimensionati.
Ed è per questo che in Calabria si muore di “sanità”.
Spesso. Troppo spesso.
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CODICE ROSSO. Sanità tra sperperi, politica e 'ndrangheta - Arcangelo Badoladi - Attilio Sabato
malasanità
Introduzione
La Calabria non è l’unica regione ad avere un sistema sanitario sofferente in cui si registrano ritardi e sprechi. Lazio, Campania e Molise sono più o meno allo stesso livello a causa di errori gestionali accumulati in anni di disordine organizzativo e di condotte allegre.
Un pianeta, quello della sanità, attraversato da ruberie e drammi, scandali e promesse. È l’emblema del modus operandi calabrese che ha favorito
esborsi di denaro ingenti senza raggiungere i risultati sperati. Il nostro sistema è un pozzo senza fondo che consuma tre quarti del bilancio regionale e spende più della metà di quanto incassa (46,4%). La sanità calabrese è stata più volte stimolata
dal governo centrale affinché contenesse la spesa, ma non è successo, se è vero com’è vero che è finita nell’elenco delle regioni sorvegliate speciali, il cui debito è spaventoso.
Una cifra importante che è stato difficile finanche quantificare (oggetto di aspre polemiche tra vecchia e nuova giunta). Un elenco infinito di spese, alcune neanche certificate, che hanno impoverito il sistema, rendendolo debole, fragile e insicuro. A giudicare dalla quantità di denaro che si consuma, l’impressione è che la sanità calabrese venga percepita come un bancomat. Una cassa continua che risponde alle molteplici sollecitazioni. Una vacca da mungere, un limone da spremere, una gallina dalle uova d’oro, tanto chi se ne frega! Eppure in molti hanno promesso interventi miracolosi, gestioni oculate e soluzioni rivoluzionarie, senza, però, addivenire a nulla. Molte delle cose dette negli anni sono rimaste impresse nelle pagine delle cose da fare.
La normalizzazione
, brutta parola, sempre auspicata e attesa, è rimasta relegata nel limbo delle buone intenzioni e consumata, semmai, solo negli asfittici confronti tra le parti, all’ombra, magari, di qualche campagna elettorale. La sanità calabrese è rimasta imbrigliata nelle maglie di una politica pasticciona che negli anni ha inaugurato ospedali mai aperti e strutture mai utilizzate, sparse in ogni angolo della regione.
Un lungo elenco di anomalie che hanno segnato e condizionato la qualità dei servizi erogati. Il pianeta
è stato da sempre appannaggio dei partiti che ne controllano la gestione attraverso l’occupazione sistematica delle aziende, diventate sempre più vere e proprie fabbriche del consenso
. La scelta dei manager è attività precipua della politica e avviene, quasi sempre, seguendo il percorso dell’appartenenza, indipendentemente dalle specifiche competenze. Questa pratica ha contribuito e non poco allo sfilacciamento e al depauperamento della sanità della Calabria, tant’è che l’ex ministro Renato Brunetta utilizzò una frase ad effetto per rappresentarla: 20 letti, 200 dipendenti
.
Il clima, però, oggi, è notevolmente cambiato: commissariamento, debiti, restrizioni, percorsi obbligati. Messa sotto tutela e controllata a vista, la Calabria si è riscoperta debole e fragile, inadeguata, spendacciona, approssimativa e ritardataria. L’ex governatore Agazio Loiero aveva promesso di rivoluzionare il comparto
imponendo razionalità, rigore e tagli, ma non ce l’ha fatta a chiudere la legislatura con il botto
. Il Piano di rientro, che pure la sua giunta aveva redatto, non è riuscito a vedere la luce. L’ex presidente ha preso tempo, si è lasciato imbrigliare
dai dubbi pre-elettorali, ha subito le perplessità dei suoi compagni di viaggio, terrorizzati dall’idea che l’imminente competizione potesse essere condizionata dall’intervento massiccio in campo sanitario.
Loiero, insomma, non ha voluto legare il suo nome e quello del suo governo alla chiusura di un consistente numero di ospedali, pensando che lo si potesse fare ad urne chiuse, magari a vittoria ottenuta. Sappiamo tutti com’è andata a finire: centrosinistra bocciato e centrodestra che fa il pieno di consensi anche perché ha saputo giocarsi le sue carte puntando proprio sulla sanità.
La cambieremo
annunciava Scopelliti dalle piazze della Calabria, promettendo ai cittadini una vera e propria rivoluzione
. Vennero, quindi, gli annunci, le conferenze stampa, le cartelle patinate, i grafici, le proiezioni di numeri e programmi, le accuse ai predecessori e il nuovo corso.
Per mesi si è argomentato di strutture Hub e Spoke, case della salute, sprechi da cancellare, personale da ridurre e di piccoli ospedali che invece di guarire ammazzano la gente
.
Il neo presidente ha parlato di scelte coraggiose
, interventi urgenti
, ticket necessari
, blocco del turnover
e di grandi presìdi.
E mentre Scopelliti commissario fatica a far passare le sue idee dal rigoroso tavolo Massicci, in alcune realtà della regione iniziare un percorso di cure continua ad essere problematico.
Varcare la soglia dei nostri ospedali è come incamminarsi in uno dei gironi infernali descritti dal sommo Dante, senza avere un Virgilio a fungere da guida.
Le sofferenze patite dai cittadini-utenti sono inenarrabili e non sempre per responsabilità di medici e operatori, costretti, in alcuni casi, ad operare in condizioni impossibili. Il viaggio nei nostri nosocomi prevede molte tappe e troppe soste
: Pronto Soccorso sempre affollato e ricoveri difficili per l’atavica mancanza di posti letto. Cosenza, Catanzaro, Reggio, Vibo e Crotone la situazione è identica. Non muta neanche per ciò che concerne le liste d’attesa: oltre un anno per una visita urologica (è accaduto a Vibo); 360 giorni per una risonanza magnetica; 250 per una visita gastroenterologia; 200 per un’ecografia dei reni neonatale; 180 per un esame cardiologico; 180 per una mammografia.
Reparti dimezzati (dermatologia a Cosenza ha subito il taglio dei posti letto) e tante disfunzioni: pazienti che necessitano del ciclo di radioterapia costretti ad attendere oltre 200 giorni, perché le strutture accreditate sono soltanto tre in tutta la Regione.
Ciò determina una forte emigrazione sanitaria (dal 2008 ad oggi, per esempio, la media per i malati oncologici è di oltre 10.000 all’anno), un continuo ricorso al viaggio della speranza
che costa alle casse della Regione 270 milioni di euro ogni anno.
Un fiume di denaro che scorre sotto i nostri occhi e che si disperde in mille rivoli: all’Annunziata
di Cosenza, per esempio, ci sono voluti quattro anni per mettere in funzione le nuove sale operatorie, ultimate da tempo, inaugurate più volte e solo recentemente aperte a pazienti e chirurghi.
Risorse impiegate e congelate
, come quelle utilizzate per migliorare ospedali fatiscenti, salvo, poi, a lavori ultimati deciderne la chiusura o il ridimensionamento.
Un caso su tutti: il Santa Barbara
di Rogliano.
Il plesso è stato interessato negli anni scorsi da un importante e significativo intervento strutturale, costato diverse decine di milioni, che ha consentito all’ospedale del Savuto di dotarsi finanche di nuovissime sale operatorie rispondenti alle norme più moderne di sicurezza per i pazienti e gli operatori sanitari.
Soldi, tanti soldi, investiti per costruire ciò che, oggi, il Piano di rientro relega in un angolino a simboleggiare il cambio
di passo, la fine di un’epoca e il ritorno alla sanità centralizzata.
La periferia costretta
a fare un passo indietro tra proteste e petizioni popolari. In tempo di vacche magre bisogna fare i conti con le tante aziende riempite di personale: dirigenti, impiegati, tecnici che animano una miriade di strutture complesse, articolate, semplici, il cui livello di produttività, in alcuni casi, rimane un mistero.
Un vero e proprio esercito che ha raggiunto e superato da tempo le 22.000 unità. Centinaia di figure professionali che, quotidianamente, raccontano
e organizzano
… che cosa?
Per non parlare della strumentistica medica, acquistata a suon di milioni e finita nei sottoscala di tanti nosocomi: dai mammografi agli elettrocardiografi, dalle sterilizzatrici all’ortopantomografo. Da Gioia Tauro a Locri, da Oppido a Melito, da Scilla a Vibo, tanto per citare qualche esempio. Illuminanti a tal proposito le tante inchieste giudiziarie che hanno portato alla luce situazioni imbarazzanti.
È il prezzo che i cittadini pagano per colpe che non hanno mai commesso.
Il dissesto perdura da decenni senza avere lasciato indizi certi di responsabilità. Fardello pesantissimo di scelte sbagliate che pesa anche sulle spalle di tanti bravi professionisti (medici e paramedici) che pure ci sono ed operano con onestà e professionalità e, seppur in un contesto