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Il Mio Cosenza
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Ebook143 pages1 hour

Il Mio Cosenza

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About this ebook

La prima volta allo stadio, la scintilla che ha acceso la passione per il giornalismo sportivo, un allenatore dalla grande personalità o la squadra che si vorrebbe vedere ancora in campo. Ogni giornalista ha qualcosa di speciale da raccontare. Il mio Cosenza è la raccolta di brevi racconti che la Società Cosenza Calcio ha voluto mettere insieme in questo volume per celebrare i cento anni del calcio cosentino. Giornalisti di diverse generazioni si sono cimentati in ritratti, ricostruzioni storiche e aneddoti legati al calcio che si intrecciano con la storia della città e la vita dei cosentini, talvolta della propria
LanguageItaliano
Release dateDec 19, 2014
ISBN9788868222468
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    Il Mio Cosenza - Gianluca Pasqua

    Il mio Cosenza

    a cura di

    Gianluca Pasqua

    Proprietà letteraria riservata

    © by Pellegrini Editore - Cosenza - Italy

    Edizione eBook 2014

    ISBN: 978-88-6822-246-8

    Via Camposano, 41 (ex via De Rada) - 87100 Cosenza

    Tel. (0984) 795065 - Fax (0984) 792672

    Sito internet: www.pellegrinieditore.com - www.pellegrinilibri.it

    E-mail: info@pellegrinieditore.it

    I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

    Introduzione

    La storia di una squadra calcistica si intreccia con la vita di una città e dei suoi abitanti. L’entusiasmo che segue ai successi, la depressione per le sconfitte, ogni sentimento o sensazione che deriva dall’andamento della formazione che porta i colori di una comunità, incide sulla percezione del senso di appartenenza alla collettività. Vale per gli sportivi, per i tifosi e anche per i giornalisti che, fatto salvo l’obbligo professionale di equidistanza, nella maggior parte dei casi sono sportivi e tifosi.

    Ecco perché nell’ambito delle celebrazioni del Centenario del calcio cosentino abbiamo chiesto ai giornalisti di scegliere e racchiudere in un breve racconto un aspetto riguardante le vicende calcistiche della squadra della città. Un campionato, una squadra, un allenatore o un giocatore, ogni spunto può servire a ricostruire un momento storico vissuto dalla città e dalla tifoseria.

    Quando è stato immaginato Il mio Cosenza non aveva l’ambizione di essere un’opera dalla struttura omogenea con una correlazione tra i testi e uno sviluppo cronologico degli eventi, eppure ci sono diversi punti di contatto tra i vari racconti. Come se un filo conduttore li tenesse ancorati l’uno all’altro, tanto da farli viaggiare talvolta in parallelo. Alcuni personaggi, alcuni episodi, sono citati o raccontati in testi di due o più autori, che, comunque, mai risultano sovrapponibili. Perché ognuno offre il proprio punto di vista e la propria chiave di lettura dei fatti.

    E così leggeremo più volte il nome di Oscar Montez o quello di Agide Lenzi, rivivremo partite giocate all’Emilio Morrone e domeniche al San Vito, traguardi sfumati all’ultima giornata e il tripudio per le indimenticabili promozioni. Ma anche delle pesanti squalifiche inflitte in seguito alle intemperanze della tifoseria rossoblù e del tragico destino di Denis Bergamini.

    Tutti i colleghi che hanno aderito alla iniziativa hanno colto il significato del progetto voluto dalla Società del Presidente Guarascio offrendo il proprio prezioso contributo, professionale e personale. Ogni testo è una testimonianza di vita vissuta e di amore per una professione che regala uno spaccato della nostra storia degli ultimi cento anni.

    Gianluca Pasqua

    Mi piace vivere

    Intervista a Donato Bergamini

    Roberto Barbarossa

    «Andare in serie A, non da solo, con i miei compagni di squadra. Niente di particolare in ambito personale, perché prendo tutto quello che mi viene e, soprattutto, mi piace vivere». Questo il pensiero di Donato Bergamini, in un’intervista da me realizzata per conto di un’emittente privata cosentina con la quale collaboravo, nell’ottobre del 1989, a poche settimane dalla tragica ed ancora misteriosa scomparsa del forte centrocampista rossoblù.

    Donato Bergamini

    Quando la società del Cosenza, nella persona dell’amico e collega Gianluca Pasqua, mi ha chiesto un contributo scritto per i festeggiamenti in occasione del centenario del Cosenza Calcio, dal cassetto dei tanti ricordi legati al rossoblù, è emersa, subito, quell’intervista. Non la solita intervista precedente o successiva alle partite ma, al contrario, una chiacchierata a cuore aperto, realizzata all’interno dello Stadio San Vito, quello ancora a ferro di cavallo, e prima di una seduta di allenamento settimanale di quel Cosenza che, da poco, era approdato in serie B e che faceva sognare tutti: tifosi e giornalisti semmai sia possibile, nel caso specifico, fare una netta separazione tra queste figure.

    Quella stagione avevo deciso di intervistare, ogni settimana, un giocatore o un componente lo staff tecnico dello Cosenza Calcio, evitando di parlare del campionato in corso, delle gare disputate e da disputare ma cercando di scavare nella personalità, nel carattere dei miei interlocutori, affrontando anche temi di quella che era l’attualità sociale, politica ed economica del tempo.

    Tornando indietro negli anni, scavando nella mia memoria ma, anche, riguardando e soprattutto riascoltando quell’intervista su You Tube, mi sembra sinceramente impossibile che, da lì a poche settimane, Donato Bergamini abbia potuto coscientemente decidere di togliersi la vita; per lo più di sabato, alla vigilia di una sentita ed importante partita di calcio. Quel calcio che, per lui, era praticamente tutto. Era la professione che aveva sognato da bambino, che tante soddisfazioni gli stava dando e, soprattutto, dalla quale molto si attendeva e per la quale dava tutto se stesso.

    Non è soltanto la frase voglio vivere a stridere con quello che sarebbe successo dopo poco tempo ma è tutto il contesto dell’intervista che, a mio modesto parere, disegna la personalità di una persona caparbia, cosciente dei propri mezzi, desiderosa di affermarsi nel proprio lavoro e nella vita personale ma, al contempo, serena e solare.

    Da giovane cronista e grande tifoso del Cosenza (mio padre mi portò allo stadio per la prima volta quando non avevo ancora sei anni), frequentavo giornalmente il San Vito seguendo, da vicino, gli allenamenti della prima squadra; questo mi dava la possibilità di conoscere bene molti giocatori e di avere, con loro, un rapporto che, sempre nel rispetto dei reciproci ruoli, andava spesso al di là del rapporto giocatore-giornalista. Ebbene, al di là di un modo di fare e di un atteggiamento che, a prima vista, dava l’impressione di trovarsi di fronte ad un uomo schivo, introverso e presuntuoso, Donato Bergamini era un ragazzo semplice, alla mano, con il quale si dialogava piacevolmente di molte cose, non era mai banale e, giusto per comprendere meglio la persona, umile ma al tempo stesso sicuro dei propri mezzi.

    Sempre in quell’intervista, quando gli chiesi a quale giocatore si ispirava menzionando autentici campioni come Tardelli ed Oriali, veri numeri uno nel suo ruolo, Denis rispose in maniera molto garbata ma ferma che, pur riconoscendo la grandezza dei giocatori da me citati i quali rappresentavano, per lui, dei veri e propri modelli, gli piaceva essere se stesso e lavorare per potere, un giorno, essere preso anche lui a modello. Sia per le sue doti tecniche che, soprattutto, per il suo modo di comportarsi in campo e fuori.

    Non sono uno psicologo ma, oggi, posso dire che il Bergamini che ricordo e che ho conosciuto, al di là dell’intervista ricordata ed in questi anni rispolverata da molti, era un ragazzo nel pieno della sua vita, concentrato e determinato a ritagliarsi un ruolo di primo piano nel panorama calcistico, conscio di dovere lavorare seriamente e con grande impegno per raggiungere questo obiettivo. Un ragazzo sereno e felice, consapevole di avere tante qualità e, soprattutto, senza grilli per la testa nonostante vivesse una condizione professionale importante che, oltre al successo, gli assicurava una tranquillità economica importante. Facile, quindi, montarsi e perdere la testa, soprattutto se sei giovane e non hai ancora costruito una famiglia.

    Denis era, esattamente, il contrario di tutto questo grazie, certamente, alle sue origini umili, di gente concreta ed abituata al lavoro ed al sacrificio. Davvero difficile pensare che, di lì a poco, avrebbe deciso di togliersi la vita. Secondo me, non ne aveva alcun motivo.

    Cento anni di Cosenza

    Sergio Chiatto

    Avere una voce forte e credibile, in quegli anni, i mitici anni Sessanta, era oltremodo utile. Utile e necessario. Consentiva di compattare, infervorandoli, i lunghi cortei studenteschi per condurli sul corso o di farsi udire nettamente dagli spalti del nuovissimo San Vito, distanti dal terreno di gioco e dai Lupi che, a fronte del manto verde e di più eleganti spogliatoi, furono definitivamente privati degli incitamenti del caloroso pubblico del Morrone e della sua complicità, rivelatasi quasi sempre decisiva per buoni risultati calcistici. Parlo di voci nella convinzione che le voci e gli atti di coloro i quali hanno vissuto quel magico momento hanno tracciato

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