Le Costanti Mafiose: Tre saggi su consenso e affari di ’ndrangheta e camorra
Di Enzo Ciconte
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I tre saggi raccontano la ‘ndrangheta che ha avuto sempre una dimensione affaristica e s’è sviluppata sino ad epoca recente a Gioia Tauro la cui importanza strategica viene colta sin dall’Ottocento e spiegano come, con le caratteristiche particolari che la rendono diversa dalle altre mafie, è riuscita ad espandersi nelle regioni del Nord facendo affari anche a quelle latitudini.
La camorra è descritta in un momento delicato quando, a seguito dell’assassinio di un confidente della polizia, riesce a mobilitare il popolino a protezione del vero assassino. La sua forza è tale da riuscire a spostare ad altra sede il processo contro l’assassino del confidente. Testimone d’eccezione è Giustino Fortunato che scrisse pagine importanti sulla vicenda.
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Anteprima del libro
Le Costanti Mafiose - Enzo Ciconte
I Quaderni del Giornale di Storia Contemporanea
collana fondata da
Ferdinando Cordova
ENZO CICONTE
LE COSTANTI MAFIOSE
Tre saggi su consenso e affari
di ’ndrangheta e camorra
Proprietà letteraria riservata
© by Pellegrini Editore - Cosenza - Italy
Edizione eBook 2014
ISBN: 978-88-6822-177-5
Via Camposano, 41 - 87100 Cosenza - Tel. 0984 795065 - Fax 0984 792672
SitI internet: www.pellegrinieditore.com www.pellegrinilibri.it
E-mail: info@pellegrinieditore.it
I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.
Ricordo ancora quando Nando Cordova mi chiamò per propormi di collaborare alla rivista che dirigeva. Ero a casa mia a Roma, sul telefono di casa, e fu una lunghissima chiacchierata. Parlammo di tante cose, di storia naturalmente, dei suoi e dei miei argomenti preferiti, della nostra Calabria, della necessità di dare un contributo d’idee per vivacizzare quella realtà e sollecitare le forze intellettuali e i giovani a reagire, guardare avanti, leggere con uno sguardo diverso la realtà complessa e non sempre facile da decifrare che non rimaneva certo immobile ma cambiava di continuo.
Mi propose di collaborare con la rivista, di scrivere e di scegliere un argomento che riguardasse i temi di cui mi occupavo. Ci pensai su qualche giorno e poi lo chiamai per proporgli il saggio che fu poi pubblicato – con il titolo ‘Ndrangheta, politica e imprenditoria in un’area del Mezzogiorno: la piana di Gioia Tauro – nel n. 1 del 1999, il secondo anno di Giornale di storia contemporanea.
Ricordo che gli piacque molto la ricostruzione storica e lo sguardo nuovo, di lunga durata, su una realtà multiforme e in rapida evoluzione. Mi disse che voleva presentare il numero della rivista con il mio saggio all’Università della Calabria. Mi richiamò qualche tempo dopo, tutto mortificato e imbarazzato, per comunicarmi che la presentazione non si poteva fare perché qualcuno nel Psi di Cosenza aveva posto il veto.
Nel saggio su Gioia Tauro, seppure di sfuggita, avevo fatto cenno alla vicenda giudiziaria che coinvolgeva in quel momento Giacomo Mancini nel quadro delle scelte politiche dei Piromalli che erano davvero poliedriche e lungimiranti. La ‘ndrina, infatti, aveva rapporti con la Dc – è noto l’atteggiamento del sindaco Vincenzo Gentile ed è altrettanto noto il fatto che Giulio Andreotti partecipò alla solenne cerimonia della posa della prima pietra mentre faceva gli onori di casa Gioacchino Piromalli – e aveva rapporti con il Partito radicale al punto che s’iscrisse a quel partito Peppino Piromalli. Infine aggiunsi testualmente (nota compresa): inoltre, i Piromalli pare abbiano avuto rapporti con altri uomini politici come l’onorevole Giacomo Mancini
[1].
A Nando raccontai come qualcosa di simile era successo qualche anno prima dopo la pubblicazione del mio ‘Ndrangheta dall’unità ad oggi pubblicato da Laterza nel 1992. Qualcuno del Pci aveva bloccato la presentazione prevista ad Arcavacata perché nel libro avevo parlato del rapporto del Pci con la ‘ndrangheta in un’area ristretta della locride reggina. Evidentemente i rimasugli stalinisti del Pci e del Psi di Cosenza erano prevalsi sullo spirito di ricerca e confronto di idee che è proprio delle università. Ci facemmo su una risata.
C’è da dire che da lì a poco la vicenda di Mancini ebbe un esito a lui favorevole. Il processo che la Corte d’appello di Reggio Calabria con decisione del 24 giugno 1997 aveva spostato per incompetenza territoriale
a Catanzaro lo mandò assolto con una sentenza emessa il 19 novembre 1999 dal giudice Vincenzo Calderazzo perché – così scrisse – non esiste prova alcuna
delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. La Procura appellò la sentenza, ma il processo d’appello rinviato a nuovo ruolo nel giugno del 2000 non ebbe mai inizio perché Mancini morì l’8 aprile 2002.
Il rapporto con Nando continuò negli anni successivi. Ogni tanto andavo a trovarlo presso la sua università, la Sapienza, per continuare le nostre discussioni che poi proseguivamo per telefono. Volle che io tenessi una lezione agli studenti del suo corso. Sedemmo insieme in cattedra e per me fu un’esperienza intensa di cui conservo un ricordo tutto particolare.
Scrissi ancora per la sua rivista. Nel n. 2 del 2005 un saggio sulle trasformazioni della potenza della ‘ndrangheta a cavallo dei due millenni e infine nel n. 1 del 2008 uno scritto dal titolo Stato, camorra e consenso nella Napoli di fine anni Ottanta dell’Ottocento.
L’occasione di quest’ultimo saggio era data dal ritrovamento nell’Archivio centrale dello Stato di un fondo della Direzione generale Affari penali del Ministero di Grazia e Giustizia contenente una serie di relazioni che avevano per oggetto l’assassinio di un confidente della polizia di Napoli per mano di un killer della camorra.
L’interesse della vicenda era dato dall’enorme consenso popolare goduto all’epoca dalla camorra che riuscì a condizionare a tal punto la situazione da indurre a spostare fuori da Napoli il processo all’assassino del confidente. Fu un caso clamoroso che vide persino l’interessamento di un cronista d’eccezione, Giustino Fortunato, che scrisse due articoli apparsi su Rassegna settimanale
del 10 gennaio1878 e del 18 giugno 1879.
Tre saggi diversi che hanno come scenario vari momenti della storia di organizzazioni mafiose e della storia d’Italia (le due cose, come si sa, vanno in parallelo) ma che hanno come tratto comune la ricerca del consenso da parte di questi mafiosi che hanno compreso come per la loro sopravvivenza c’è assolutamente bisogno di costruire un sistema di relazioni su più piani.
È questo il punto su cui occorre ancora lavorare, studiare, ricercare perché la posta in gioco è molto alta e la lotta alle mafie non potrà concludersi solo con le armi della repressione. Lo si vede tutti i giorni con l’emergere di fitti e perversi intrecci con il mondo della politica, dell’economia, delle professioni, con il variegato universo che definiamo colletti bianchi. Non è esagerato dire che è in atto uno scontro per l’egemonia.
Nando era sensibile a questi temi – lo aiutava anche la sua origine reggina – e aveva aperto la sua rivista, già ricca di altri temi e sensibilità, anche a questi argomenti che un tempo erano inusuali per uno storico calabrese.
Enzo Ciconte
[1] In merito a questi supposti rapporti, la cautela è d’obbligo vista la vicenda processuale che ha coinvolto l’esponente socialista, imputato di aver avuto frequentazioni con alcune ‘ndrine tra cui quella dei Piromalli. Con sentenza in data 25 marzo 1996 il tribunale di Palmi lo condannava a tre anni e sei mesi di reclusione. Con successiva decisione della corte di appello di Reggio Calabria si disponeva l’annullamento della sentenza del tribunale di Palmi per incompetenza territoriale e il rinvio degli atti al giudice competente. Attualmente pende, davanti al GIP presso il tribunale di Catanzaro, richiesta di rinvio a giudizio proposto dalla DDA di Catanzaro. Su questo vedi Tribunale di Palmi, Miranda Bambace, Sentenza contro Mancini Giacomo, 1996. Per le tesi dell’accusa vedi DDA presso il tribunale di Reggio Calabria (Salvatore Boemi), Note illustrative alla requisitoria formulata dal pubblico ministero di Reggio Calabria nel procedimento penale a carico di Mancini Giacomo, 1996. Per le tesi della difesa vedi Francesco Kostner, Sulla giustizia: il caso Mancini, Periferia, Cosenza 1995. Il volume contiene una intervista di Mancini e l’arringa difensiva dell’avvocato Enzo Paolini.
‘Ndrangheta, politica e imprenditoria
in un’area del Mezzogiorno: la piana di Gioia Tauro
La piana di Gioia Tauro è la più grande pianura della Calabria grazie ai suoi 515 Kmq di ampiezza. Essa è diventata un caso unico nel panorama regionale e meridionale per il concentrarsi di alcuni fattori che possono essere così sintetizzati: a) la piana è contrassegnata, sin dalla prima metà dell’Ottocento, da una relativa dinamicità economica che la rende diversa rispetto alle altre zone della Calabria; b) in quest’area, a partire dai primi anni settanta di questo secolo, ci sono stati notevoli investimenti di capitali pubblici e si è determinata la singolare caratteristica della mancata realizzazione di tutti gli obiettivi pubblicamente dichiarati; c) agli inizi degli anni novanta investimenti di capitali privati, con il determinante ausilio del capitale pubblico, sono riusciti a rendere operativo un porto la cui attività si sviluppa su scala europea ed extraeuropea; d) a Gioia Tauro c’è stata, a partire almeno dalla seconda metà dell’Ottocento, una costante presenza di attività mafiose; queste, nel secondo dopoguerra, sono state controllate da una famiglia mafiosa, quella dei Piromalli, che ha dominato il territorio, l’economia e la politica mostrando una longevità che ha davvero pochi paragoni nella storia del crimine organizzato in Italia; e) in un quadro caratterizzato da una robusta e radicata presenza mafiosa e da notevoli